T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, Sent., 28-03-2011, n. 2719 Motivazione dell’atto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Comune di Roma, con la disposizione n. 54/94 dell’11.1.1994, dato atto dell’intervenuta realizzazione, nel locale, destinato ad esercizio commerciale, sito in Roma, in via Margotta n. 61angolo con via Alibert n. 1, delle opere abusive consistenti nella "sostituzione del materiale di copertura di una preesistente tettoia di mt. 5,70×7,00 nel cortile interno del fabbricato da vetro a policarbonato trasparente con piccola apertura a mò di abbaino in policarbonato per il ricambio dell’aria", ha ordinato al signor C.L., nella qualità di amministratore della società A.I. s.r.l., proprietaria dell’immobile di cui trattasi, la restituzione in pristino.

Con il ricorso di cui in epigrafe, notificato e depositato nei termini, il signor C.L., in proprio e nella qualità di amministratore unico di tale società, ha impugnato il provvedimento di cui sopra deducendone l’illegittimità, con un unico complesso motivo di censura, per violazione e falsa applicazione dell’art. 3, co. 3, della L. 7 agosto 1990 n. 241 nonché degli artt. 10 e 26 della L. n. 47 del 1985 e per eccesso di potere per violazione dell’art. 27, co. 2, dello statuto del Comune di Roma e per difetto dei presupposti, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e di idonea motivazione.

Il ricorrente ha dedotto in punto di fatto di avere comunicato al Comune di Roma, ai sensi dell’art. 26 della L. n. 47 del 1985, con l’istanza di cui al prot. n. 24236 del 12.5.1992, di volere effettuare, nei locali di cui trattasi, opere interne di manutenzione, tra le quali anche la sostituzione della copertura del salone centrale, costituita da un lucernaio in vetro montato su struttura di ferro, all’epoca in pessime condizioni di conservazione.

In punto di diritto ha rilevato, ai fini dell’illegittimità, la mancata comunicazione del parere dell’Assessorato della regione Lazio di cui al prot. n. 9564 del 6.8.1993, richiamato in seno al provvedimento impugnato; ha dedotto che trattasi di meri lavori di manutenzione ordinaria non assoggettati all’obbligo del previo rilascio del titolo concessorio.

Mancherebbe, altresì, l’indicazione del verbale dei Vigili Urbani che avrebbero rilevato gli asseriti abusi edilizi.

I materiali utilizzati in sostituzione, comunque, per caratteristiche e consistenza sarebbero assimilabili, dal punto di vista estetico, a quelli originari (ed il vetro sostituito non avrebbe alcun specifico pregio, trattandosi di vetro comune).

Il provvedimento impugnato, inoltre, sarebbe stato adottato da parte del dirigente, ossia di un organo incompetente secondo le disposizioni di legge e nello specifico dello statuto del Comune di Roma.

La Regione Lazio ed il Comune di Roma si sono costituiti in giudizio con comparsa di mera forma rispettivamente in data 2.6.1994 e 9.6.1994.

Il Comune di Roma ha depositato documentazione concernente la vicenda di cui trattasi in data 14.7.1994.

Con l’ordinanza n. 2089/1994 del 14.7.1994 è stata accolta la istanza di sospensione dell’esecutività del provvedimento impugnato.

Alla pubblica udienza del 25.11.2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione alla presenza dei procuratori delle parti come da separato verbale di causa.
Motivi della decisione

Oggetto del ricorso all’esame è il provvedimento con cui il Comune di Roma ha ingiunto alla società A.I. s.r.l. la riduzione in pristino di opere interne consistenti nella sostituzione del materiale di copertura di una preesistente tettoia sita nel cortile interno del fabbricato di proprietà della ricorrente e nella realizzazione di una piccola apertura per il ricambio dell’aria.

Dall’esame della documentazione in atti emerge come il sig. C.L., che ricorre in qualità di amministratore unico della società, in data 12.5.1992 ha presentato al Comune di Roma una asseverazione – ai sensi dell’art. 26 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 – avente ad oggetto la realizzazione, nei locali di cui trattasi, di opere interne di manutenzione, tra le quali anche la sostituzione della copertura del salone centrale, costituita da un lucernaio in vetro montato su struttura di ferro

Come risulta dagli atti, l’impugnato ordine di riduzione in pristino muove dal presupposto che i lavori effettuati sulla chiostrina interna al fabbricato, in quanto realizzati all’esterno del fabbricato, non siano asseverabili ai sensi del richiamato art. 26, e vadano quindi sottoposti al regime autorizzatorio.

Tanto premesso in punto di fatto, in punto di diritto si osserva quanto segue.

Il primo profilo di censura, con il quale è stata dedotta l’illegittimità del provvedimento impugnato per la mancata allegazione alla stesso del parere dell’Assessorato urbanistica ed assetto del territorio della Regione Lazio di cui al prot. n. 9564 del 5.8.1993, ivi testualmente richiamato, è infondato nel merito secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale in materia.

Ed infatti il concetto di disponibilità nella motivazione per relationem comporta non che l’atto amministrativo menzionato per relationem debba essere unito imprescindibilmente al documento o che il suo contenuto debba essere riportato testualmente nel corpo motivazionale, bensì che esso sia reso disponibile a norma di legge, vale a dire che possa essere acquisito utilizzando il procedimento di accesso ai documenti amministrativi, laddove concretamente esperibile; in sostanza, detto obbligo determina che la motivazione per relationem del provvedimento debba essere portata nella sfera di conoscibilità legale del destinatario, con la conseguenza che in tale ipotesi è sufficiente che siano espressamente indicati gli estremi o la tipologia dell’atto richiamato, mentre non è necessario che lo stesso sia allegato o riprodotto, dovendo essere messo a disposizione ed esibito ad istanza di parte.

Pertanto l’art. 3, co. 3, della L. 7 agosto 1990, n. 241, nel consentire la motivazione per relationem, non impone la materiale messa a disposizione o la contestuale comunicazione degli atti richiamati, essendo sufficiente l’indicazione dei medesimi atti, visto che la legge concede all’interessato la possibilità di richiederne l’accesso.

Altrettanto infondato nel merito è l’ulteriore profilo di censura con il quale è stata dedotta l’incompetenza del dirigente che ha provveduto all’adozione dell’impugnata sanzione.

Ed invero, anche prima che l’art. 2, co. 12, della L. 16 giugno 1998, n. 191, espressamente attribuisse al dirigente il potere di ordinare la demolizione d’ufficio in caso di inosservanza dell’ordine di rimozione rivolto all’autore dell’abuso, la competenza in siffatta materia doveva ritenersi attribuita al dirigente e non al Sindaco, essendo il relativo potere espressione di discrezionalità tecnica.

Il legislatore statale, infatti, a partire dall’ordinamento delle autonomie locali approvato con la legge 8 giugno 1990, n. 142, ha stabilito che i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia e di tutela del territorio, tra i quali l’ordinanza di demolizione di opere abusive, in quanto atti di gestione, rientrano nella competenza del dirigente comunale, e non del Sindaco (articolo 51, comma 3; cfr. T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 08 aprile 2010, n. 5889).

Tale principio, con riguardo agli atti emanati dal Comune di Roma, trova conferma nello statuto dell’ente che, all’art. 27, co. 2, attribuisce ai dirigenti la competenza all’adozione, tra l’altro, delle sanzioni in materia edilizia (T.A.R. Lazio- Roma, sez. II, 4 dicembre 2006, n. 13652).

Deve, invece, essere accolto l’ultimo profilo di censura, con il quale si sostiene che l’intervento edilizio realizzato dalla ricorrente – in quando riconducibile nell’ambito della manutenzione ordinaria – non era sottoposto al previo rilascio di alcun titolo edilizio.

Infatti, come già ricordato in fatto, con la sanzione impugnata il Comune di Roma ha contestato testualmente l’intervenuta "sostituzione del materiale di copertura di una preesistente tettoia di mt. 5,70×7,00 nel cortile interno del fabbricato da vetro a policarbonato trasparente con piccola apertura a mò di abbaino in policarbonato per il ricambio dell’aria".

Dalla lettura degli esiti degli accertamenti dei Vigili Urbani del Comune di Roma (di cui al prot. n. 23329/92/PG del 22.10.1992), emerge che, come già evidenziato, l’ordine di ripristino è stato adottato sul presupposto che i lavori effettuati sulla chiostrina interna al fabbricato, in quanto realizzati all’esterno del fabbricato, dovevano ritenersi assoggettati al regime autorizzatorio, e non invece al più semplificato regime dell’asseverazione previsto per le sole opere interne.

Ed infatti l’impugnato provvedimento è stata adottato, sulla base del parere reso al riguardo da parte dell’Assessorato della regione Lazio (prot. n. 9564 del 6.8.1993), ai sensi dell’art. 10, co. 4, della L. n. 47 del 1985, che detta la disciplina sanzionatoria in caso di interventi realizzati in assenza di autorizzazione.

Il presupposto su cui si fonda il provvedimento è errato.

Va infatti osservato che le opere de quibus, – consistenti, come già ribadito, nella sostituzione delle lastre di vetro, con le quali è stata realizzata la tettoia, con analoghe lastre di policarbonato, nella pulitura e restauro della struttura di ferro, nonché nel ripristino della funzionalità della preesistente apertura per il passaggio dell’aria – non sono soggette ad autorizzazione.

Invero – ai sensi dell’articolo 31, della L. 5 agosto 1978, n. 457 – la sostituzione o il rinnovamento di serramenti e, quindi, di infissi, serrande, finestre e abbaini, rientra nel concetto di finiture di edifici, come tale configurabile in termini di manutenzione ordinaria, sia che vengano impiegati gli stessi materiali componenti, sia che la sostituzione o il rinnovamento venga effettuata con materiali diversi.

Sicché la mera sostituzione di infissi, come nella specie ammalorati dal tempo, con nuovi infissi caratterizzati da materiali rispondenti all’evoluzione tecnologica, che consentono un mero miglioramento delle originarie finalità di aeroilluminazione e di coibentazione termica, va ricondotta nell’ambito degli interventi di manutenzione ordinaria, per la realizzazione dei quali il regime vigente all’epoca dell’adozione dell’atto impugnato non richiedeva alcun titolo autorizzatorio.

La richiamata disposizione qualificava infatti interventi di manutenzione ordinaria "quelli che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti" (art. 31, lett. a, della legge n. 457 del 1978).

Va del resto aggiunto che, ai sensi dell’art. 6, comma 1, lettera a), del vigente testo unico in materia edilizia (approvato con decreto legislativo 6 giugno 2001, n. 380), l’intervento di manutenzione ordinaria rientra nell’ambito della "attività edilizia libera",

Risulta, quindi, fondato il profilo di censura, volto a far valere la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della L. n. 47 del 1985, nonché l’eccesso di potere per errore nei presupposti.

Per le considerazioni tutte che precedono il ricorso deve essere accolto siccome fondato nel merito.

Quanto alle spese di giudizio, si ritiene di disporne l’integrale compensazione tra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. II ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie il ricorso in epigrafe e per l’effetto annulla il provvedimento n. 54/94 dell’11 gennaio 1994.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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