Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 19-01-2010) 30-03-2011, n. 13116 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Tribunale di Salerno – Sezione del Riesame – con ordinanza dell’8 ottobre 2010 in parziale accoglimento delle richieste di riesame proposte rispettivamente da G.C. e D. F. (entrambi indagati per i reati di induzione, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione aggravato e continuato in concorso – capo A) della rubrica – ed il solo G., inoltre, per i reati di riduzione in schiavitù, furto aggravato, estorsione e violenza sessuale continuata – capo B) della rubrica), avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere (per il G.) e di arresti domiciliari (per la D.) emessa dal GIP del Tribunale di falerno, annullava la detta ordinanza per il G. limitatamente al reato di riduzione in schiavitù di cui al capo b) della contestazione e sostituiva la misura della custodia in carcere applicata nei riguardi dello stesso con la misura degli arresti domiciliari, e la misura degli arresti domiciliari, già applicata alla D., con la misura coercitiva dell’obbligo di dimora presso il Comune di Torre Annunziata con divieto di allontanarsene in determinati orari della giornata.

Il Tribunale del Riesame, rivalutando l’originario quadro indiziario, riteneva non grave lo stesso con riferimento al reato di cui all’art. 600 c.p. (riduzione in schiavitù) affermando che le condotte contestate all’indagato non integrassero detta fattispecie, mancando sia lo stato di soggezione sia le finalità di sfruttamento delle prestazioni sessuali.

Inoltre sotto il profilo delle esigenze cautelari lo stesso Tribunale le riteneva attenuate anche in relazione al mutato compendio indiziario, sostituendo le originarie misure con altre meno afflittive.

Ricorre avverso il detto provvedimento il P.M. presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Salerno.

Con il primo motivo denuncia contraddittorietà e carenza di motivazione in punto di valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della misura cautelare adottata dal GIP. Secondo il ricorrente, infatti, il Tribunale avrebbe omesso alcuni elementi probatori ed avrebbe poi operato una interpretazione illogica delle fonti di prova travisandone la portata.

Secondo il P.M. ricorrente. sarebbe incorso in contraddizione laddove ha affermato l’incompatibilità tra la disponibilità di somme di denaro, anche notevoli, derivanti dall’attività di meretricio e lo stato di assoggettamento continuativo indicato nell’ordinanza, censurando l’errore di diritto in cui il Tribunale sarebbe incorso, in quanto nessuna incompatibilità sarebbe ravvisabile tra tali circostanze.

Anche sul cd. "allentamento della situazione di assoggettamento" derivante anche dalla relazione sentimentale intercorsa tra l’indagato e la vittima e considerata dal Tribunale come sintomo contrario alla sussistenza della riduzione in schiavitù, il P.M. ricorrente ha individuato un grave errore di diritto, anche in questo caso profilandosi una motivazione contraddittoria e/o insufficiente o illogica.

Altro punto di illogicità lo ha rilevato il P.M. ricorrente nell’affermazione del Tribunale del Riesame secondo la quale, visto il comportamento assunto dall’ indagato nei riguardi della sorella della vittima, anche lei proveniente dal Brasile e non contraria all’esercizio della prostituzione (ed alla quale avrebbe poi permesso di ritornare liberamente in Brasile al contrario della sorella odierna persona offesa) tale condotta sarebbe stata un segno della volontà del G. di non schiavizzare la sua donna.

Ma secondo il P.M. una siffatta equiparazione tra situazione del tutto diverse sia soggettivamente che oggettivamente sarebbe del tutto fuor di logica.

Ha poi ravvisato un travisamento del fatto laddove il Tribunale, evidenziando il nuovo legame sentimentale della R.D.S. con un cittadino italiano dopo essere riuscita ad allontanarsi dall’abitazione ove, asseritamente, l’indagato la teneva segregata, avrebbe ravvisato una libertà di movimento della ragazza del tutto inconciliabile con la riduzione in schiavitù.

Sul punto ha offerto una lettura diversa degli avvenimenti effettuata invece in modo non compiuto dal Tribunale che avrebbe omesso di considerare che la R.D.S. era riuscita a farsi ospitare da altro soggetto (tale D.L.F.) solo dopo essere riuscita a fuggire dall’appartamento in cui si trovava sotto il controllo dell’indagato che già il giorno prima, in analoga occasione (allontanamento spontaneo della donna dall’abitazione) l’aveva rintracciata e malmenata sottraendole il denaro che aveva con sè e mettendo a soqquadro la casa ove si trovava e sottraendole anche la patente (testimonianza D.L.).

Altro punto contestato dal P.M. ricorrente è quello della omessa valutazione di alcuni dati importanti (testimonianza M.L.) dai quali emergeva una situazione di soggiogamento continuamente e persistentemente esercitata dall’indagato anche attraverso minacce di ritorsione e minacce di diffusione su internet dei filmati ritraenti violenze sessuali patite dalla ragazza.

Ed ancora, altro punto viziato da contraddittorietà motivazionale riguardava la circostanza – giudicata sintomatica dal Tribunale per escludere la riduzione in schiavitù – del matrimonio "di comodo" fatto dalla ragazza con un posteggiatore abusivo del luogo cui erano stati regalati Euro 400,00 per il favore che aveva consentito alla ragazza di avere la cittadinanza italiana: il P.M. ritiene invece che proprio tale finta libertà sia indicativa della volontà del G. di schiavizzare la ragazza.

Il P.M. ricostruendo sinteticamente gli avvenimenti offre una versione ben diversa e a suo modo di vedere logica degli avvenimenti tutti orientati univocamente nel senso della esistenza di questa schiavizzazione che sarebbe stata persino ammessa dall’indagato (laddove la ragazza avrebbe riferito che era lo stesso G. a dire che lei era la sua "schiava"). Ricorre il P.M. anche nei confronti della D. relativamente alla quale il Tribunale del Riesame avrebbe con motivazione altrettanto carente ed illogica ritenuto salvaguardabili le esigenze cautelari con la misura dell’obbligo di dimora sia pure soggetto a determinati vincoli.

In particolare si lamenta erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 274 c.p.p., lett. a) laddove il Tribunale avrebbe considerato le prove raccolte esaustive e dunque sottratte al pericolo di inquinamento probatorio escluso dal Tribunale. Da qui anche la violazione dell’art. 275 c.p.p. avendo il Tribunale escluso il rischio di recidivanza ed optato per una misura del tutto inutile a preservare dal rischio di inquinamento delle prove e di reiterazione di condotte analoghe quale l’obbligo di dimora. Resiste con memoria la difesa degli indagati che, evidenziando invece la correttezza del percorso motivazionale dell’ordinanza impugnata e denunciando come assolutamente monche le considerazioni del P.M. ricorrente che si sarebbe basato su una parte (minima) degli atti, tralasciando di considerare altre circostanze che dimostrerebbero ancora una volta la correttezza della tesi seguita dal Tribunale del Riesame, chiede il rigetto del ricorso.

La difesa contesta punto per punto i rilievi del P.M. in punto di valutazione delle varie circostanze che invece sarebbero sintomatiche di una libertà di movimenti e di autodeterminazioni del tutto incompatibile con la riduzione in schiavitù. Allega poi, a riprova della insussistenza del pericolo di inquinamento delle prove, l’avviso di conclusione delle indagini nelle more notificato ad entrambi gli indagati che viene considerato incompatibile con il prospettato pericolo di condizionamento delle indagini. Coerentemente con tale difesa è stata richiesta la conferma dell’ordinanza impugnata. Il ricorso del P.M. non può essere accolto.

Sebbene particolarmente articolato e, per certi versi, carico di suggestioni, il percorso argomentativo del P.M. ricorrente non tiene conto della coerenza logica cui si ispira il provvedimento impugnato non solo per quel che attiene alla configurabilità (sia in astratto che in concreto) del reato di riduzione in schiavitù, ma anche per quel che attiene alla consistenza delle esigenze cautelari ed al modo con le quali esse possono essere comunque salvaguardate. Con riferimento al primo dei punti oggetto di gravame, l’ordinanza appare certamente esaustiva ed immune sia da vizi logici sia da vuoti motivazionali.

I dati passati in rassegna dal Tribunale e ritenuti indicativi di una sostanziale – anche se in parte limitata (ma per ragioni connesse al genere di rapporto sentimentale che il G. aveva intrattenuto con la ragazza brasiliana) – libertà di movimento della D.S. sono molteplici ed indicati puntualmente nell’ordinanza impugnata:

(1) la preesistenza della ricordata relazione sentimentale tra i due;

2) l’attività "lavorativa" quale prostituta svolta dalla D.S. nel locale di pertinenza del G. e per la quale era stata remunerata in modo "apprezzabile"; 3) la contrazione di un matrimonio "di comodo" – come riconosciuto dallo stesso Tribunale – allo scopo di consentire alla ragazza di conseguire la cittadinanza italiana; 4) una buona disponibilità economica; 5) una altrettanto apprezzabile libertà di movimento che aveva portato la ragazza a ad abitare in altra città e con altro uomo cui era sentimentalmente legata; 6) il trattamento riservato dal G. alla sorella della D.S. – pur essa impegnata a lavorare nel locale del G. in qualità di prostituta per un certo periodo – cui era stato concesso di lasciare l’Italia e ritornare al suo paese di origine).

Dati che in modo del tutto logico il Tribunale ha elaborato per ricavarne un quadro diverso e meno significativo con riguardo al reato di riduzione in schiavitù che – va ricordato in questa sede – si caratterizza per una situazione di fatto che vede il soggetto passivo ridotto in stato di soggezione e costretto a prestazioni di lavoro stressanti o (come nel caso di specie) alla prostituzione, con sfruttamento dei compensi dovutigli con inganno, per abuso di autorità, approfittando della situazione di inferiorità fisica o psichica o di necessità, oltre che minaccia o violenza (Cass. Sez. 5A 24.9.2010 n. 40045).

E a riprova di tali limitazioni personali va ricordato che siffatte condotte implicano una serie di comportamenti mirati quali la privazione dei documenti di identità, ovvero la corresponsione di somme nettamente inferiori a quelle promesse o a quelle di mercato;

la messa a disposizione di alloggi fatiscenti; l’imposizione di sacrifici personali o privazioni decisamente stringenti ed aventi per oggetto esigenze primarie della vita quotidiana della persona;

l’impossibilità di spostamenti sul territorio.

Correttamente, quindi ed in modo oltretutto coerente con le acquisizioni probatorie il Tribunale ha considerato i dati emersi come sostanzialmente inconciliabili con una situazione quale quella prospettata dalla Pubblica Accusa, riportando invece le eventuali restrizioni in un alveo di controllo più intenso della persona, forse persino morboso, ma comunque dipendente dalla tipologia del rapporto interpersonale affettivo pregresso.

Senza dunque la necessità di ripetere il costrutto argomentativi del Tribunale sufficiente in questa sede valorizzare alcuni dati assolutamente pregnanti come la possibilità per la ragazza di contrarre in matrimonio di comodo con un venditore ambulante locale che certamente depone per una sostanziale libertà di movimenti sul territorio della ragazza e in proiezione futura una possibilità maggiore per la ragazza di allontanarsi definitivamente dal raggio di controllo del G.; ancora – più significativamente – la discreta disponibilità di denaro che avrebbe consentito alla ragazza di operare con maggiore libertà e soprattutto di soddisfare quelle primarie esigenze di vita che nella situazione di schiavitù si profilano come vera e propria chimera.

La ricostruzione alternativa offerta dal P.M ricorrente si fonda su una lettura estremamente rigoristica e formale di alcuni indici che non vale ad inficiare la logicità del ragionamento seguito dal Tribunale. Ragionamento che, oltretutto, si base su alcuni elementi fattuali che non solo non sono stati travisati come pretende il P.M. ma anzi sono stati letti in modo coerente con uno sviluppo progressivo della vicenda che vede gradatamente la persona offesa allentare i vincoli originali con il G. e percorrere altre strade anche sotto il profilo relazionale con terzi del tutto estranei a quel giro.

Anche con riguardo al secondo aspetto dell’ordinanza impugnata concernente il mancato rispetto dei criteri di cui all’art. 274 c.p.p. derivante da una motivazione carente ed in parte anche omessa (con specifico riguardo ad alcuni elementi portati a conoscenza del Tribunale del Riesame a seguito di indagini suppletive e non presi in considerazione dal Tribunale), l’ordinanza appare congruamente e logicamente motivata.

Quanto al pericolo di inquinamento delle fonti di prova, il Tribunale dopo aver passato in rassegna gli elementi a disposizione per verificare lo stato delle indagini sotto il profilo indiziario, ha correttamente evidenziato il momento finale della chiusura delle indagini preliminare che costituisce il confine discriminatorio tra la fase delle indagini preliminari e la fase dell’esercizio dell’azione penale, non senza aver riconfermato la gravità indiziaria per tutti gli altri reati contestati ai due indagati, sostanzialmente recepita da costoro che invero nella memoria difensiva hanno insistito per la conferma dell’ordinanza di cui si discute.

Parlare – come fa il P.M. ricorrente – della necessità di valutare anche il pericolo di inquinamento in una prospettiva futura ed in un’ottica dibattimentale equivarrebbe a sostenere che una misura cautelare, una volta adottata, dovrebbe permanere per sempre, tranne che sia stata raggiunta una prova completa ed appagante tale da garantire il successo per l’Accusa. Ma così facendo si opererebbe una torsione del concetto stesso di misura cautelare destinata per sua natura a limitare la libertà personale per quel tempo indispensabile ad assicurare le prove e garantire la collettività dal rischio di recidivanza o dal pericolo di fuga. A ben vedere il Tribunale, mostrando di fare buon governo delle regole che presiedono al concetto di limitazione della libertà individuale nella fase delle indagini, ha correttamente adeguato allo stato delle indagini i vincoli personali de liberiate, oltretutto non trascurando il rapporto familiare intercorrente tra i due indagati (coniugi) che certamente ha esercitato una influenza minore e diversa nello sviluppo delle indagini rispetto ad una situazione di estraneità.

Inoltre, una volta esclusa – quanto meno allo stato – l’ipotesi della riduzione in schiavitù, la nuova misura cautelare adottata nei riguardi del G. trova una adeguata e logica risposta nel mutato quadro indiziario.

Considerazioni non dissimili e semmai ancor più marcate valgono per la posizione della D. per la quale, in fondo, lo stesso P.M. ha ricordato elementi positivi quali lo stato di incensuratezza ed il ruolo tutto sommato marginale ricoperto nella vicenda che giustificano ampiamente sul piano logico il mutamento in melius della misura adottato dal Tribunale tale comunque da garantire quelle minimali esigenze legate all’art. 274 c.p.p., lett. c). Sulla base di tali considerazioni il ricorso del P.M. va rigettato.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso del Pubblico Ministero.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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