Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-03-2011) 31-03-2011, n. 13335 violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 25 febbraio 2010, la Corte d’Appello di Catanzaro confermava la sentenza emessa il 16 marzo 2009, a seguito di giudizio abbreviato, dal G.I.P. presso il Tribunale di Cosenza e con la quale S.D. era stato condannato per il reato di violenza sessuale e lesioni in danno della minore infraquattordicenne D. M.C..

Quest’ultima era stata infatti afferrata da dietro dal S. il quale, trattenendole i polsi con una mano, le strappava i jeans che indossava, allargando con un dito un foro già presente nella parte posteriore dei pantaloni, baciandola e leccandola sulla parte alta della coscia, poco sotto il fondo della schiena, palpeggiandola nelle parti intime, toccandole la gamba, i glutei e la vagina e cagionandole anche lesioni personali guaribili, salvo complicazioni, in sette giorni.

Avverso tale decisione il S. proponeva ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della lieve entità del fatto di cui all’art. 609 bis c.p., u.c..

Rilevava, a tale proposito, che la condotta posta in essere non poteva considerarsi oggettivamente grave in considerazione delle modalità e della durata, nonchè degli effetti e delle conseguenze.

Osservava che la compressione della libertà sessuale della persona offesa poteva ritenersi minima, poichè l’approccio sessuale era connotato dalla repentinità, tanto che neppure aveva accennato a denudarsi e la minore, dopo l’episodio che l’aveva vista coinvolta, non aveva evidenziato alcun problema di natura fisica o psichica, come dimostrava il fatto che il personale di polizia intervenuto aveva descritto la bambina come visibilmente risentita ma non già in stato di shock per quanto subito.

Con un secondo motivo di ricorso deduceva l’assenza di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche concesse sulla aggravante di cui all’art. 609 ter c.p..

Faceva presente, infatti, di aver evidenziato, nei motivi di appello, la sua totale incensuratezza, l’età avanzata, le gravi condizioni di salute, il sincero pentimento provato dopo l’episodio, l’estemporaneità del gesto, la sua brevità e l’assenza di conseguenze per la persona offesa, senza che però la Corte territoriale indicasse le ragioni per le quali non poteva pervenirsi ad un giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche rispetto alla menzionata aggravante.

Con un terzo motivo di ricorso deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al negato rinvio dell’udienza, da parte del giudice di prime cure, a seguito di un malore subito durante la discussione del processo, in quanto l’udienza era stata interrotta ma era poi ripresa dopo le sue dimissioni dal locale nosocomio.

Con un quarto motivo di ricorso deduceva la violazione degli artt. 56 e 609 bis c.p., rilevando che erroneamente era stata ritenuta la violenza sessuale come consumata, mentre ben avrebbe potuto ipotizzarsi il delitto di violenza privata o, al più, il tentativo e ciò in considerazione delle modalità dell’azione e della durata della condotta.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Va preliminarmente ricordato come questa Corte abbia avuto modo di osservare che l’attenuante di cui all’ultimo comma dell’art. 609 bis c.p. può essere applicata allorquando vi sia una minima compressione della libertà sessuale della vittima, accertata prendendo in considerazione le modalità esecutive e le circostanze dell’azione attraverso una valutazione globale che comprenda il grado di coartazione esercitato sulla persona offesa, le condizioni fisiche e psichiche della stessa, le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all’età, l’entità della lesione alla libertà sessuale ed il danno arrecato, anche sotto il profilo psichico (Sez. 3^, n. 40174, 6 dicembre 2006; n. 1057, 17 gennaio 2007; n. 45604, 6 dicembre 2007).

Si è ulteriormente precisato che, per l’applicazione dell’attenuante in questione, non è sufficiente la mancanza di congiunzione carnale tra l’autore del reato e la vittima (Sez. 3^, n. 14230, 4 aprile 2008; n. 10085, 6 marzo 2009).

Alla luce dei summenzionati principi, che il Collegio condivide e dai quali non intende discostarsi, nessuna censura può muoversi alla impugnata decisione.

Occorre infatti osservare, in primo luogo, come la stessa descrizione dei fatti valorizzata dalla Corte territoriale consenta di escludere la possibilità di applicare, nella fattispecie, dell’art. 609 bis c.p., l’ultimo comma.

Invero, la condotta descritta in premessa era stata preceduta, come ricorda la Corte d’Appello, da pesanti apprezzamenti a sfondo sessuale rivolti dal ricorrente alla dodicenne e dei quali aveva riferito la madre della stessa alla polizia giudiziaria intervenuta.

Inoltre il ricorrente, che conosceva già la minore, figlia dei gestori di una rivendita di piante in prossimità del suo negozio, aveva invitato la bambina, che si era recata da lui per acquistare un panino, a portargli una piantina dal negozio della madre e, al suo ritorno, dopo aver chiuso la porta del negozio, aveva abusato della minore la quale, dopo aver tentato invano di farlo desistere, era finalmente riuscita a fuggire.

Tali circostanze sono state quindi correttamente considerate dai giudici dell’appello nella loro oggettività ed adeguatamente valutate, in quanto denotano un comportamento che, lungi dall’essere repentino ed estemporaneo, palesa una accurata preordinazione, caratterizzata dalla scelta del momento più opportuno per rimanere da solo con la bambina e nell’approfittare della pregressa frequentazione, della confidenza con la piccola e del verosimile senso di vergogna che avrebbe indotto la minore a non riferire l’episodio.

E’ stata inoltre attribuita, dalla Corte territoriale, la giusta rilevanza alla natura estremamente violenta dell’azione – caratterizzata, come si è detto, dall’afferrare la minore strappandole i pantaloni e procedendo poi a leccamenti e palpeggiamenti – all’esito della quale la bambina ha riportato lesioni personali.

Non meno determinante appare, ai fini dell’esclusione dell’attenuante, la precoce iniziazione della dodicenne a pratiche sessuali alle quali, come ritenuto dai giudici dell’appello, non era certamente adusa.

Tale elemento, certamente non secondario, unitamente alle possibili conseguenze sullo sviluppo psicofisico della minore è stato correttamente considerato in relazione alla sua potenziale lesività, non essendo necessaria, ad avviso di questa Corte, un’attualità degli effetti dell’abuso sessuale i quali possono manifestarsi, specie nei bambini e negli adolescenti, anche a distanza di tempo.

In definitiva, l’episodio accertato non poteva in nessun caso collocarsi tra quelli che, presentando una lesività minore, consentono la concessione della speciale attenuante la cui applicazione è stata, dunque, correttamente negata.

La correttezza della decisione deve essere riconosciuta anche con riferimento al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto all’aggravante contestata.

Occorre ricordare, a tale proposito, che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti sono censurabili in sede di legittimità soltanto nell’ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico e non anche qualora risulti sufficientemente motivata la soluzione dell’equivalenza allorchè il giudice, nell’esercizio del potere discrezionale previsto dall’art. 69 c.p., l’abbia ritenuta la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena in concreto irrogata.

(Sez. 6^ n. 6866, 19 febbraio 2010).

Nel caso di specie la Corte d’Appello ha valutato l’adeguatezza e la proporzionalità della pena al fatto contestato, valorizzando le medesime argomentazioni utilizzate per la corretta qualificazione del reato e l’esclusione dell’ipotesi di cui all’art. 609 bis c.p., u.c..

Tale assunto appare del tutto coerente con i principi in precedenza ricordati e non presenta alcun profilo di illegittimità.

Del tutto immune da censure e corretta appare, inoltre, la valutazione operata dalla Corte territoriale circa la decisione del giudice di prime cure di non differire ulteriormente l’udienza a seguito di un malore accusato dal ricorrente poichè, effettivamente, non era ravvisabile alcuna lesione del diritto di difesa.

I giudici dell’appello danno infatti atto della circostanza che il giudice di prime cure, accertato lo stato dell’imputato, aveva subito sospeso l’udienza poi ripresa dopo la trasmissione, da parte del presidio ospedaliero, di una certificazione attestante una diagnosi di semplice stato d’ansia e la conseguente dimissione del paziente, cosicchè poteva escludersi legittimamente la sussistenza di un assoluto impedimento a comparire.

Come osservato da questa Corte, infatti, la facoltà di comparire è estrinsecazione dell’esercizio del diritto di difesa, con la conseguenza che la garanzia sottesa a questo diritto comporta che l’imputato sia in grado di presenziare al processo a suo carico come parte attiva della vicenda che lo coinvolge (Sez. 6^, n. 43885, 25 novembre 2008; Sez. 6^ n. 12836, 6 aprile 2005) e certamente la sola sussistenza di uno stato d’ansia accertato presso un presidio sanitario all’esito di un ricovero presso il pronto soccorso non è idoneo a precludere la possibilità di una vigile ed attiva partecipazione all’udienza.

Altrettanto corretta appare, infine, la qualificazione giuridica dei fatti contestati che non possono essere certo ricondotti, come pretende il ricorrente, nella meno grave fattispecie della violenza privata o nell’ipotesi del tentativo di violenza sessuale.

La condotta in precedenza descritta, come correttamente ritenuto dalla Corte d’Appello, presentava tutti i requisiti per essere ricondotta nell’alveo della violenza sessuale consumata poichè inequivocabilmente diretta a raggiungere l’appagamento di un proprio istinto sessuale e certamente idonea a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale, non potendosi altrimenti qualificare i ripetuti toccamenti nelle parti intime.

Del resto, la correttezza dell’interpretazione effettuata dai giudici dell’appello trova conferma nella giurisprudenza di questa Corte laddove viene specificato che il tentativo di violenza sessuale è configurabile nel caso in cui gli atti idonei diretti in modo non equivoco a porre in essere un abuso sessuale non si siano estrinsecati in un contatto corporeo, ovvero quando il contatto sia stato superficiale e fugace e non abbia attinto una zona erogena o considerata tale dal reo per la reazione della vittima o per altri fattori indipendenti dalla volontà dell’agente (Sez. 3^, n. 27762, 8 luglio 2008).

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le consequenziali determinazioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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