Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-03-2011) 31-03-2011, n. 13332 violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

fano del Foro di Treviso.
Svolgimento del processo

Con sentenza del 25 febbraio 2010, la Corte d’Appello di Venezia riformava parzialmente, riducendo la pena inflitta, la sentenza del G.I.P. di Treviso con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, V.R. era stato condannato per il reato di violenza sessuale commesso in danno della minore B.C. (infraquattordicenne fino al (OMISSIS)) nel periodo compreso tra la primavera del 2002 ed il gennaio 2006.

La condotta contestata si era concretata, secondo quanto evidenziato dalla Corte territoriale, in comportamenti progressivamente adescatori e seduttivi da parte del V., il quale intratteneva una relazione con la madre della minore dopo la separazione dal marito, che erano poi sfociati dapprima in palpeggiamenti e baci e, successivamente in rapporti orali, anche mediante l’uso della forza per vincere la resistenza della giovane ed in tentativi di penetrazione.

A tali comportamenti si era poi aggiunta l’ingiunzione di non rivelare l’accaduto, prospettando alla giovane, in caso contrario, il ripudio dei genitori e l’affidamento in un istituto per minorenni.

Avverso tale decisione il V. proponeva ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva la violazione e falsa applicazione dell’art. 609 bis c.p., comma 2, n. 1 e art. 609 ter c.p. ritenendo che i fatti accertati siano ascrivibili alla diversa ipotesi delittuosa contemplata dall’art. 600 quater c.p. con tutte le conseguenze che la differente qualificazione comporta.

Osservava, a tale proposito, che le accertate condizioni della minore potevano considerarsi di indubbia difficoltà psicologica ma non erano certo riconducibili alla nozione di "inferiorità psichica" ritenuta dalla Corte territoriale.

La minore, secondo il ricorrente, non aveva mantenuto un atteggiamento di passiva soggezione assumendo, in alcuni casi, comportamenti propositivi che, pur non corrispondendo a scelte mature e consapevoli, erano tuttavia idonei a dimostrare che i rapporti sessuali intrattenuti con l’adulto non erano frutto di coercizione, tanto più che la giovane aveva ammesso di aver subito il fascino seduttivo dell’imputato e di sentirsi lusingata dagli approcci che la facevano "sentire donna".

Con un secondo motivo di ricorso deduceva il vizio di motivazione affermando che la sentenza impugnata si risolveva in considerazioni aprioristiche e mere parafrasi del testo normativo e si dimostrava contraddittoria laddove, da un lato, i giudici non negavano che il rapporto intercorrente tra l’imputato e la minore presentasse connotazioni di affettività, mentre dall’altro affermavano la forzosa imposizione degli atti sessuali.

Allegava, inoltre, l’insufficienza della motivazione in ordine alla valutazione delle circostanze in quanto non era stata ritenuta la prevalenza della attenuante riconosciuta rispetto all’aggravante contestata in considerazione della resipiscenza manifestata e dalla particolare personalità documentata con apposita certificazione.

Aggiungeva, infine, che nella determinazione della pena e con riguardo alla continuazione dei reati, non era stato specificato il fatto-reato più grave posto alla base del calcolo della pena finale.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Occorre preliminarmente ricordare quali siano i principi fissati da questa Corte in tema di violenza sessuale in danno di persona che si trovi in stato di inferiorità psichica o fisica.

Tali principi sono stati esaurientemente descritti in più occasioni (Sez. 3^, n. 20766, 3 giugno 2010; Sez. 3^, n. 35878, 1 ottobre 2007;

Sez. 4^, n. 14141, 5 aprile 2007; Sez. 3^, n. 3971, 7 settembre 2005;

Sez. 3^, n. 2646, 27 gennaio 2004; Sez. 3^, n. 47453, 11 dicembre 2003; Sez. 3^, n. 11541, 11 ottobre 1999) e tengono conto del fatto che il legislatore ha voluto assicurare anche ai soggetti in condizioni di inferiorità psichica una sfera di estrinsecazione della loro individualità, anche sotto il profilo sessuale, purchè manifestata in un clima di assoluta libertà e, conseguentemente, ha inteso punire soltanto le condotte consistenti nell’induzione all’atto sessuale mediante abuso delle suddette condizioni di inferiorità.

L’induzione si realizza quando, con un’opera di persuasione spesso sottile o subdola, l’agente spinge o convince il "partner" a sottostare ad atti che diversamente non avrebbe compiuto.

L’abuso, a sua volta, si verifica quando le condizioni di menomazione sono strumentalizzate per accedere alla sfera intima della persona che, versando in situazione di difficoltà, viene ad essere ridotta al rango di un mezzo per il soddisfacimento della sessualità altrui.

Da ciò consegue il dovere del giudice di espletare un’indagine adeguata per verificare se l’agente abbia avuto la consapevolezza non soltanto delle minorate condizioni del soggetto passivo ma anche di abusarne per fini sessuali.

Date tali premesse, deve osservarsi che, nella fattispecie, la Corte d’Appello ha proceduto ad un corretto inquadramento giuridico dei fatti contestati al ricorrente, con la conseguenza che la dedotta violazione di legge appare del tutto insussistente.

La Corte territoriale, infatti, con argomentazioni perfettamente coerenti ed immuni da vizi logici che superano anche le doglianze formulate in ricorso in ordine alla motivazione, ha dato compiutamente atto delle condizioni psicologiche in cui versava la minore e del contesto generale in cui i ripetuti episodi di violenza si sono consumati.

La descrizione effettuata dai giudici dell’appello è inequivocabile.

Risulta infatti evidente come il ricorrente abbia posto in essere, nell’arco di alcuni anni, una condotta sempre più avvolgente ed invasiva nei confronti della minore, inducendola a subire contatti sessuali sempre più incisivi, dall’iniziale bacio sulla bocca fino ai reiterati tentativi di penetrazione.

La minore, dal canto suo, a fronte di tale comportamento risultava completamente passiva e sicuramente non consenziente, come hanno evidenziato i giudici dell’appello, sottolineando anche la credibilità della giovane.

Si legge, infatti, nell’impugnato provvedimento che la minore si era dichiarata "schifata" dal comportamento dell’uomo e che lo stesso, per vincerne la resistenza, non aveva esitato a trattenerla o a prospettarle il ricovero in un istituto per minori.

Tali evenienze fattuali denotano certamente la mancanza di consenso al compimento degli atti sessuali, mentre la descritta passività delinea chiaramente lo stato di soggezione in cui la minore versava.

Tale condizione, se aggiunta al contesto familiare, valorizzato dalla Corte territoriale, connotato dalla recente separazione dei genitori e dal ruolo di figura maschile di riferimento assunta dal ricorrente verso l’adolescente, rende del tutto evidente la assoluta mancanza di capacità di autodeterminazione che ha caratterizzato il rapporto intercorso tra questa ed il V..

La valutazione operata dai giudici dell’appello circa la coercizione subita dalla minore non viene peraltro minimamente scalfita dalle dichiarazioni della stessa sul dichiarato coinvolgimento emotivo con il ricorrente ed il compiacimento per le "attenzioni" ricevute, ben potendosi anch’esse considerare come il risultato della condizione di inferiorità psichica in cui la giovane versava e della condotta posta in essere dal ricorrente, se non addirittura come un inconscio meccanismo di giustificazione degli atti sessuali che era stata costretta a subire.

L’art. 609 quater c.p. non era poi applicabile alla fattispecie.

Tale disposizione, infatti, punisce, in base al comma 1, n. 1), il compimento di qualsiasi atto sessuale da parte di un soggetto imputabile con un minore dei quattordici anni quando la differenza di età tra i due soggetti non sia inferiore a tre anni ed ha lo scopo di tutelare non tanto la libertà sessuale del minore, quanto piuttosto proteggere la maturazione di questa libertà, ancora acerba, dalle insidie provenienti ad opera di soggetti dotati per età di un maggiore potere di condizionamento sessuale e psicologico.

(Sez. 3^, n. 16843, 3 maggio 2007).

Sebbene sia evidente che la condizione di inferiorità richiesta dall’art. 609 bis c.p. non possa essere dedotta semplicemente dalla condizione di minore infraquattordicenne della parte offesa, dovendo, al contrario, consistere in uno stato specifico del soggetto, deve rilevarsi che, nella fattispecie, il quid pluris richiesto risulta ampiamente dimostrato per le ragioni in precedenza indicate, le quali evidenziano come quanto accaduto non sia la mera conseguenza della semplice incapacità di autodeterminazione della minore quanto, piuttosto, il risultato di una condotta preordinata ad abusare delle evidenti condizioni della minore per indurla al compimento di atti sessuali.

La sentenza impugnata risulta immune da censure anche con riferimento al giudizio di comparazione fra le circostanze concorrenti all’esito del quale la Corte di merito, con articolate motivazioni, è pervenuta ad un giudizio di equivalenza.

Trattasi, invero, di un giudizio che rientra nella discrezionalità del giudice che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non postulerebbe neppure un’analitica esposizione dei criteri di valutazione (Sez. 2^, n. 36325, 11 ottobre 2010) presente, al contrario, nella fattispecie.

Altrettanto infondate appaiono, infine, le doglianze mosse in ordine alla determinazione della pena sulla base della continuazione dei reati.

La Corte d’Appello ha compiutamente assolto agli obblighi motivazionali indicando le ragioni che inducevano alla riduzione della pena applicata dal primo giudice, le cui conclusioni richiamavano, limitandosi ad una nuova quantificazione che teneva conto della positiva condotta del ricorrente in epoca successiva al reato.

Il ricorso deve essere pertanto respinto con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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