Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 16-02-2011) 31-03-2011, n. 13330 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Ministero che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Lecce, in funzione di giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 12-26 maggio 2010, ha respinto la domanda di R.F., condannato alla pena di anni tre e mesi due di reclusione per i reati (unificati col vincolo della continuazione) di partecipazione ad associazione armata di tipo mafioso e ricettazione, diretta ad ottenere la rideterminazione del reato più grave – già individuato nel delitto associativo giusta sentenza del Tribunale di Taranto in data 18 luglio 2000, parzialmente riformata dalla sentenza della stessa Corte di appello di Lecce del 21 febbraio 2003 – in quello di ricettazione ( art. 648 c.p., comma 1), sanzionato, secondo il R., con pena edittale più elevata, attesa l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza rispetto all’aggravante dell’essere l’associazione armata (art. 416 bis c.p., commi 1 e 4, nel testo vigente prima delle modifiche apportate dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251), e ciò al fine di potere fruire del beneficio dell’indulto sulla pena base e del più favorevole trattamento penitenziario previsto dalla L. 26 luglio 1975, n. 354, con succ. mod., per i reati, come quello di ricettazione, non inclusi nel catalogo dei delitti, tra cui l’associazione di tipo mafioso, ostativi alla concessione dei benefici di cui all’art. 4 bis O.P..

A sostegno della decisione la Corte di appello ha addotto che il delitto associativo, essendo aggravato ai sensi dell’art. 416 bis c.p., comma 4 doveva ritenersi sanzionato, pur considerando il tempo del fatto, con pena edittale più grave, oscillante da un minimo di quattro anni ad un massimo di dieci anni di reclusione, rispetto a quella prevista per la ricettazione compresa tra un minimo di due anni e un massimo di otto anni di reclusione; in ogni caso, lo scioglimento del cumulo giuridico, con l’individuazione di un reato più grave diverso da quello determinato dal giudice della cognizione nella sentenza di condanna divenuta irrevocabile, non era possibile in sede di incidente di esecuzione, attenendo ad un aspetto tipico del giudizio di merito, la cui eventuale erroneità avrebbe dovuto essere fatta valere con gli ordinali mezzi di impugnazione.

2. Avverso la predetta ordinanza il R., tramite il suo difensore, avvocato Franz Pesare del foro di Taranto, ha proposto ricorso a questa Corte, denunciando, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), un duplice vizio: violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 81 c.p., comma 2, poichè il reato più grave è quello sanzionato con pena edittale più elevata e tale, nella fattispecie, era il delitto di ricettazione e non quello di partecipazione ad associazione mafiosa armata, contestata fino alla data del 18 luglio 1996, attesa l’applicazione delle attenuanti generiche in regime di prevalenza sulla circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis c.p., comma 4; illogicità della motivazione, avendo la Corte d’appello ritenuto più grave il reato associativo nonostante la riconosciuta prevalenza delle predette circostanze attenuanti sull’aggravante ad effetto speciale dell’essere l’associazione armata.
Motivi della decisione

3. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.

Non è, infatti, consentito al giudice dell’esecuzione, nell’ambito della stessa sentenza di condanna, la rideterminazione di un reato più grave diverso da quello individuato dal giudice della cognizione nel riconoscere il vincolo della continuazione tra le plurime violazioni contestate.

L’art. 671 c.p.p., commi 1 e 2, attribuisce al giudice dell’esecuzione il potere di applicare la disciplina del reato continuato e del concorso formale solo con riguardo a fatti criminosi oggetto di distinte sentenze o decreti penali irrevocabili (c.f.r., ex multis, Sez. 1^, n. 20169 del 22/01/2009 Cc, dep. 13/05/2009, Belcastro, Rv. 243862), nel rispetto del giudicato per individuare il reato più grave e la misura della pena per esso stabilita (c.f.r., ex multis, Sez. 1^, n. 46905 del 10/11/2009 Cc, dep. 09/12/2009, Castorina, Rv. 245684) e salva l’autonoma rideterminazione degli aumenti di pena per i reati-satellite, con l’unico limite che la pena finale non deve essere superiore alla somma di quelle inflitte con ciascuna sentenza o ciascun decreto (c.f.r., ex multis, Sez. 1^, n. 48833 del 09/12/2009 Cc, dep. 21/12/2009, Galfano, Rv. 245889).

L’interesse sotteso alla domanda del condannato di scissione del cumulo, al fine di fruire in misura più estesa dell’indulto di cui alla L. n. 241 del 2006 e di avere accesso ai benefici penitenziari, non può, quindi, essere perseguito con la rideterminazione del delitto più grave di cui all’unica sentenza di condanna in esecuzione, ma postula l’espiazione della pena relativa al reato ostativo, da ritenersi eseguita per prima, come da pur costante giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1^, n. 14563 del 12/04/2006 Cc, dep. 27/04/2006, Hamdy, Rv. 233946).

All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *