T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 28-03-2011, n. 476 Occupazione d’urgenza Questioni di legittimità costituzionale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Visto l’art. 60 del d. lgs. 2 luglio 2010, n. 104, che consente al giudice amministrativo, adito in sede cautelare, di definire il giudizio con "sentenza succintamente motivata", ove la causa sia di agevole definizione nel rito o nel merito e ritenuto di potere adottare tale tipo di sentenza, attesa la completezza del contraddittorio e il decorso di più di dieci giorni dall’ultima notificazione del ricorso, nonché la superfluità di ulteriore istruttoria;

2. Sentite le parti presenti, le quali non hanno manifestato l’intenzione di proporre motivi aggiunti, regolamento di competenza o di giurisdizione;

3. Premesso in fatto quanto segue:

3.1. Con ricorso sub R.G. 238/10 la sig.ra Marscegaglia ha censurato la previsione urbanistica che ha assoggettato la proprietà della stessa a vincolo preordinato all’esproprio e la successiva occupazione d’urgenza. Esso è stato definito con sentenza n. 1738/2010, con cui è stata affermata la legittimità della destinazione urbanistica e del provvedimento con cui è stato approvato il progetto dell’opera, ma è stata annullata l’occupazione d’urgenza per carenza del presupposto stesso di urgenza.

3.2. Il ricorso oggi in esame ha, quindi, ad oggetto il successivo atto di acquisizione ex art. 43 (correlato alla pretesa, da parte del Comune, utilizzazione senza titolo del terreno in questione), rispetto a cui questo Tribunale non ha ravvisato i presupposti per disporre la richiesta sospensione degli effetti del provvedimento.

3.3. Con ricorso per motivi aggiunti parte ricorrente ha, però, impugnato le successive ordinanze con cui il Comune ha disposto la rimozione dei blocchi di cemento insistenti sulla proprietà che il Comune avrebbe acquisito (ordinandolo all’impresa esecutrice dei lavori) ed intimato alla ricorrente di rimuovere le auto parcheggiate sullo stesso terreno, deducendo le seguenti censure:

a) violazione degli artt. 50 e 54 del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267, difetto di potere ed eccesso di potere per sviamento e difetto di motivazione, per carenza di qualsiasi presupposto di grave pericolo che costituisca minaccia per l’incolumità dei cittadini ovvero di emergenza sanitaria.

Peraltro i provvedimenti si fonderebbero esclusivamente sull’erroneo presupposto per cui le aree in questione sarebbero state acquisite al patrimonio indisponibile comunale, senza peraltro citare alcuna norma legittimante un tale esercizio del potere di ordinanza.

Tale presupposto sarebbe, però, falso, in quanto, pur a prescindere dalla legittimità della delibera di Giunta censurata, alla sua adozione avrebbe dovuto fare seguito quella del provvedimento traslativo della proprietà da parte del dirigente competente;

b) eccesso di potere per difetto di istruttoria ed errore sul presupposto di fatto, in ragione della mancata considerazione della sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 43 più volte citato (sentenza Corte Costituzionale n. 293 dell’8 ottobre 2010). Ne deriverebbe l’illegittimità di tutti gli atti adottati sulla scorta di tale disposizione.

In ogni caso il Comune non avrebbe individuato la norma in base alla quale la proprietà dei fondi dovrebbe attivarsi per la rimozione dei veicoli parcheggiati sulla porzione di fondi in questione, i quali veicoli non risultano essere di proprietà della odierna ricorrente.

3.4. Si è costituito in giudizio il Comune, eccependo, oltre all’infondatezza dell’intero ricorso, l’inammissibilità sia del ricorso per motivi aggiunti, che della domanda cautelare. Con riferimento al ricorso per motivi aggiunti, il Comune ha sostenuto l’inesistenza di un interesse concreto ed attuale all’annullamento del provvedimento, così come sarebbe stato evidenziato nell’ordinanza di rigetto della prima domanda cautelare introdotta con il ricorso principale e in quella del Consiglio di Stato con riferimento alla domanda di sospensione degli effetti della sentenza che ha pronunciato sulle sorti della procedura espropriativa.

Per quanto attiene, invece, alla specifica domanda cautelare, secondo il Comune si tratterebbe della riproposizione di una domanda cautelare già respinta, in quanto rivolta avverso provvedimenti che sarebbero meramente esecutivi di quello che ha già formato oggetto di giudizio in sede cautelare (e cioè quello di acquisizione al patrimonio).

Nel merito l’adozione dei provvedimenti censurati sarebbe debitamente motivata dall’avvenuta acquisizione dell’area (a mezzo del decreto ex art. 43), in quanto già occupata mediante la realizzazione della massicciata (mancavano solo asfaltatura e cordolo, impedite di fatto dalla proprietà), mentre il ricorso per motivi aggiunti sarebbe una stanca riproposizione delle censure già sollevate in relazione al provvedimento ex art. 43.

4. Ritenuto in diritto quanto di seguito sinteticamente riportato:

4.1. Non appaiono meritevoli di positivo apprezzamento le eccezioni aventi ad oggetto la pretesa inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti e della domanda cautelare. Secondo il Collegio, infatti, non pare possa essere negato un interesse concreto ed attuale alla caducazione dei provvedimenti in questione, anche in considerazione del fatto che, ferma restando la natura meramente esecutiva dei provvedimenti impugnati, con il ricorso sono stati dedotti vizi propri (e non solo di illegittimità derivata), che ben legittimano la domanda cautelare autonoma.

4.2. Ciò premesso in rito, nel merito la semplice considerazione della sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 43 del D.P.R. 327/2001 è sufficiente a caducare il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo, in forza del generale principio che regola gli effetti della dichiarazione di non conformità alla Costituzione di una norma, così come già affermato da questo Tribunale nella sentenza n. 4852/2010 avente ad oggetto analoga fattispecie.

Ne discende che, a prescindere dall’idoneità della delibera di Giunta Comunale n. 46 del 7/8/2010 a costituire titolo traslativo della proprietà, l’abrogazione con effetto ex nunc dell’art. 43 del d. lgs. 327/2001 impedisce che lo stesso possa ancora rappresentare il legittimo supporto giuridico degli atti posti sub judice, riflettendosi anche sulla legittimità degli atti impugnati con ricorso per motivi aggiunti, di natura esecutiva rispetto a quello di acquisizione al patrimonio indisponibile.

4.3. Tali ordinanze, infatti, non danno contezza della fonte del potere esercitato, ma anche a prescindere da ogni formalismo, esso appare privo di un adeguato supporto giuridico non essendo ravvisabili, nel caso di specie, le condizioni legittimanti il ricorso nè al potere extra ordinem dell’art. 50 del d. lgs. 267/00, né a quello di autotutela ex art. 823 del codice civile (il quale presuppone l’esistenza di un provvedimento che abbia legittimamente disposto, e non solo previsto, l’acquisizione al patrimonio indisponibile e che, come già detto, non può ritenersi esistente nel caso di specie).

Peraltro la situazione di fatto è tale da rendere evidente l’opportunità di espungere i provvedimenti impugnati dall’ordinamento in modo definitivo, prima che la loro esecuzione possa determinare un grave nocumento anche all’interesse pubblico. Allo stato, infatti, la realizzazione della massicciata non integra quell’irreversibile trasformazione del suolo che ne precluderebbe la restituzione alla proprietaria ed esporrebbe il Comune all’obbligo di risarcire il danno subito dalla stessa per effetto della perdita della proprietà. Ne deriva, quindi, che il semplice annullamento degli atti potrà soddisfare pienamente l’interesse della ricorrente a rientrare nella piena e libera disponibilità del proprio terreno, nonché quello generale al ripristino della legittimità. L’interesse pubblico alla realizzazione dell’opera potrà, invece, essere perseguito, se del caso, mediante l’avvio di una nuova procedura espropriativa sulla scorta della previsione urbanistica ritenuta legittima da questo Tribunale e attraverso una riapprovazione del progetto al solo fine di dichiarare nuovamente la pubblica utilità.

Le spese del giudizio seguono l’ordinaria regola della soccombenza.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla gli atti impugnati.

Condanna il Comune al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in Euro 2.000,00 (duemila/00), oltre ad IVA, C.P.A. e rimborso forfetario delle spese, nonché al rimborso del contributo unificato dalla stessa anticipato ai sensi del comma 6 bis dell’articolo 13 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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