T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, 05-07-2010, n. 2708 LAVORO

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. Con ricorso depositato il 29 gennaio 2007, la ricorrente ha impugnato il provvedimento in epigrafe, con il quale è stata rigettata l’istanza presentata in data 25 settembre 2001 finalizzata al rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, chiedendo al Tribunale Amministrativo Regionale di disporne l’annullamento, previa sua sospensione, in quanto viziato da violazione di legge ed eccesso di potere.

Si è costituito in giudizio il MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, chiedendo il rigetto del ricorso.

Con ordinanza del 15 febbraio 2007, il Tribunale Amministrativo ha ordinato all’amministrazione di effettuare un supplemento istruttorio al fine di accertare l’effettivo svolgimento del rapporto di lavoro dedotto dalla ricorrente.

Con successiva ordinanza del 24 maggio 2007, in applicazione dell’art. 116, comma 2, c.p.c. (non avendo dato l’amministrazione seguito alla predetta ordinanza istruttoria), il Collegio ha accolto l’istanza incidentale di sospensione degli effetti dell’atto impugnato.

Sul contraddittorio così istauratosi, all’udienza del 10 giugno 2010, la causa è stata discussa e decisa con sentenza definitiva.

2. La legislazione nazionale adottata negli ultimi anni, d.lgs. n. 286 del 1998, l. n. 189 del 2002, d.l. n. 195 del 2002, si fonda sulla radicale premessa per la quale nessun soggetto extracomunitario può entrare nello Stato, ed ivi stabilmente soggiornare, qualora non sia munito di visto di ingresso e di permesso di soggiorno, e cioè di un titolo amministrativo che autorizzi questi allo stabilimento, alla circolazione ed allo svolgimento di attività per specifiche tassative ragioni (di visita, affari, turismo, studio, lavoro, ricongiungimento familiare e motivi familiari, protezione sociale, asilo e protezione temporanea, cure mediche).

3. Il ricorso deve essere accolto per i seguenti motivi.

3.1. L’istanza volta al rinnovo del premesso di soggiorno per motivi di lavoro, nella specie, è stata rigettata dalla Questura poiché, si legge in motivazione, non era stato possibile acquisire prove dell’esistenza né del rapporto di lavoro tra l’IMPRESA EDILE C. e la ricorrente, non essendosi il sig. C.G., titolare dell’impresa, resosi disponibile a produrre documentazione attestante tale rapporto di lavoro; né del rapporto di lavoro con la F.S. di M.V., essendo stato accertato, all’esito dei controlli eseguiti dai Carabinieri, che quest’ultima impresa da lungo tempo non aveva più sede all’indirizzo dichiarato.

3.2. Orbene, era senza dubbio onere dell’istante dimostrare alla pubblica amministrazione di essere in possesso di idonea documentazione atta a confermare lo scopo lavorativo e le condizioni del soggiorno, nonché la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno (art. 4 d.lgs 286 del 1998). In particolare, il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo è subordinato per il lavoratore non appartenente all’Unione europea alla dimostrazione di disporre di idonea sistemazione alloggiativa e di un reddito annuo, proveniente da fonti lecite, di importo superiore al livello minimo previsto dalla legge per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria (art. 26, art. 3 d.lgs 286 del 1998). L’art. 39, comma 3, d.P.R. n. 394 del 1999 specifica la necessaria disponibilità in Italia, da parte del richiedente, di una somma non inferiore alla capitalizzazione, su base annua, di un importo mensile pari all’assegno sociale.

3.3. Sennonché, rileva il Collegio, mentre la ricorrente ha offerto un valido principio di prova circa il possesso di redditi adeguati, l’amministrazione, neppure a seguito del supplemento istruttorio disposto dal Collegio, è riuscita a fornire la prova negativa delle circostanze di fatto addotte dalla prima.

3.4. La ricorrente, infatti, ha depositato in giudizio buste paghe (riferite al primo semestre del 2004) attestante lo svolgimento di un rapporto di lavoro presso la ditta F.S. di M.V.; l’autenticità delle stesse è stata confermata dall’INAIL (vedi relazione in atti, depositata il 9 gennaio 2008). La ricorrente ha, altresì, depositato modelli CUD (compilati e sottoscritti dal datore) per i redditi 2004 e 2003. Tali dati fiscali non sono stati oggetto di alcuna specifica contestazione in giudizio da parte della difesa erariale.

3.5. Nella relazione depositata il 9 gennaio 2008, l’amministrazione (dando corso seppure tardivamente alle disposizioni istruttorie richieste dal Collegio) deduce "l’oggettiva impossibilità di verificare l’avvenuto regolare svolgimento di attività lavorativa della straniera nel periodo di interesse", dovuta ai seguenti motivi: l’INPS, con comunicazione del 18 dicembre 2007 ha comunicato che non risultava aperta nessuna posizione contributiva della ricorrente; del pari, l’Agenzia delle Entrate, con nota del 15 novembre 2007, ha comunicato che la stessa non aveva mai presentato dichiarazione dei redditi per nessun anno di imposta.

A questo punto, è agevole replicare come la posizione contributiva e fiscale della ricorrente, in quanto lavoratrice dipendente, sia dipesa in buona parte dallo spirito di osservanza delle prescrizione di legge da parte del datore, nella sua qualità di sostituto di imposta. Ne consegue che, quanto affermato dalla amministrazione, è compatibile con la situazione di un effettivo svolgimento di rapporto di lavoro sia pure "non in regola" dal punto di vista contributivo e fiscale. Nessuno degli elementi addotti dall’amministrazione sembra far ritenere che il permesso sia stato rilasciato dall’Autorità per effetto di un’attività di raggiro fraudolenta imputabile alla ricorrente la quale, per contro, potrebbe plausibilmente esserne stata anche soltanto una vittima; del resto, nel periodo di permanenza in Italia, la stessa pare avere sempre osservato una condotta incensurata.

3.6. Gli argomenti sopra esposti, evidenziano che l’amministrazione è venuta meno all’obbligo di adeguata istruttoria, tenuto conto anche di quanto prescritto dall’art. 5, d.lg. 25 luglio 1998 n. 286, ovvero di considerare ai fini della determinazione i sopraggiunti nuovi elementi evidenziati dall’interessata che, mancanti ad un primo esame, risultavano invece successivamente posseduti e tali da consentire il rilascio del provvedimento.

3.7. Il rifiuto di rinnovo di permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, in assenza di altre cause ostative, è pertanto illegittimo.

4. Le spese di lite seguono la soccombenza come di norma. Resta altresì fermo l’onere di cui all’art. 13 D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo integrato dal comma 6 bis dell’art. 21 del decretolegge n. 223 del 2006, come modificato dalla legge di conversione n. 248 del 2006, a carico della parte soccombente.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione III, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, così provvede:

ACCOGLIE il ricorso e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.

CONDANNA il MINISTERO DELL’INTERNO al pagamento delle spese di lite in favore del ricorrente che si liquida in Euro 800,00, oltre IVA e CPA come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 10 giugno 2010 con l’intervento dei Magistrati:

Domenico Giordano, Presidente

Dario Simeoli, Referendario, Estensore

Raffaello Gisondi, Referendario

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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