T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, 05-07-2010, n. 2709 STRANIERI

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Il cittadino di nazionalità turca odierno ricorrente si presentava in data 02.11.2009 presso l’Ufficio Immigrazione della Questura di Novara per avanzare verbalmente richiesta di asilo politico, ivi dichiarando di avere fatto ingresso in Italia il 18.10.2009.

Sottoposto ai rilievi fotodattiloscopici, emergeva come lo stesso ricorrente avesse già presentato analoga richiesta in Austria, in data 10.10.2009.

Di tutto ciò veniva reso edotto il Ministero dell’Interno – Unità Dublino che, col provvedimento in epigrafe specificato, disponeva il trasferimento dell’esponente in Austria, individuata quale nazione competente a decidere sulla sua richiesta di asilo politico.

Contro tale determinazione è rivolto l’odierno gravame, affidato ai motivi di seguito sintetizzati:

1) Violazione dell’art. 15 del Regolamento CE 343/2003; ciò, in quanto l’Amministrazione non avrebbe tenuto conto della possibilità di concedere al ricorrente il ricongiungimento per motivi di carattere umanitario, fondati su preminenti ragioni di carattere familiare o culturale, stante la concreta opportunità dell’istante di essere ospitato in Italia dalla sorella, qui residente insieme al marito.

2) Eccesso di potere per ingiustizia grave e manifesta. Ciò, atteso che l’Amministrazione non avrebbe speso alcuna attività istruttoria per valutare le preminenti esigenze del ricorrente, ad es. convocando i suoi familiari residenti in Italia.

Si è costituita l’intimata Amministrazione, controdeducendo con separata memoria alle censure avversarie.

Alla Camera di Consiglio del 27.04.2010, fissata per l’esame della domanda cautelare, il Collegio – valutata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria – sentite sul punto le parti presenti, ha trattenuto la causa per la decisione con sentenza in forma semplificata.

Motivi della decisione

Premette il Collegio come, dalla normativa rilevante in subjecta materia (cfr. la Convenzione CE sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri delle Comunità europee, firmata a Dublino il 15 giugno 1990, cd. "convenzione di Dublino", la cui attuazione ha stimolato il processo d’armonizzazione delle politiche in materia di asilo, nonché, il Regolamento CE che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo, n. 343/2003), si ricava come uno degli obiettivi avuti di mira dal legislatore comunitario sia stato quello di istituire un regime europeo comune in materia di asilo, basato sull’applicazione, in ogni sua componente, della convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 28 luglio 1951, integrata dal protocollo di New York del 31 gennaio 1967, garantendo in tal modo che nessuno sia rinviato in un paese nel quale rischia di essere nuovamente esposto alla persecuzione, in ottemperanza al principio di non respingimento.

In tal senso, è significativo riportare quanto specificato al punto 2 delle premesse del Reg. 343 cit., secondo cui: "gli Stati membri, tutti rispettosi del principio di non respingimento, sono considerati Stati sicuri per i cittadini di paesi terzi".

Ebbene, nel caso che qui occupa, l’Unità Dublino ha correttamente individuato l’Austria come Stato membro competente all’esame della domanda di asilo formulata dal ricorrente, trattandosi del primo Stato membro di cui lo straniero ha varcato i confini (cfr. pg. 3 del ricorso introduttivo), provenendo da un paese terzo, ivi presentando, in data 10.10.2009, la domanda di protezione internazionale.

In tal senso, è utile ricordare come il cit. Reg. CE predisponga una rigida gerarchia dei criteri di determinazione dello Stato membro competente (cfr. Art. 5, secondo cui: "1. I criteri per la determinazione dello Stato membro competente si applicano nell’ordine nel quale sono definiti dal presente capo. 2. La determinazione dello Stato membro competente in applicazione di tali criteri avviene sulla base della situazione esistente al momento in cui il richiedente asilo ha presentato domanda di asilo per la prima volta in uno Stato membro").

Ebbene, proprio l’art. 10 Reg. CE cit. prevede, per la fattispecie all’odierno esame, che: "1. Quando è accertato…che il richiedente asilo ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda d’asilo. Questa responsabilità cessa 12 mesi dopo la data di attraversamento clandestino della frontiera…".

Consegue da ciò che, con la successiva presentazione della medesima domanda di asilo alla Questura di Novara, l’Ufficio competente, avvedutosi della precedente analoga richiesta presentata in Austria, ha attivato la procedura di cd. presa in carico, meglio descritta dall’art. 16.1 c del Reg. cit., secondo cui l’Austria, in quanto Stato membro competente per l’esame della domanda di asilo, "ha l’obbligo di prendere in carico il richiedente la cui domanda è in corso di esame e che si trova nel territorio di un altro Stato membro senza esserne autorizzato".

Né, d’altra parte, può ritenersi applicabile al caso di specie l’art. 15 del Regolamento CE 343/2003 (ai sensi del quale: "Qualsiasi Stato membro può, pur non essendo competente in applicazione dei criteri definiti dal presente regolamento, procedere al ricongiungimento dei membri di una stessa famiglia nonché di altri parenti a carico, per ragioni umanitarie, fondate in particolare su motivi familiari o culturali. In tal caso detto Stato membro esamina, su richiesta di un altro Stato membro, la domanda di asilo dell’interessato. Le persone interessate debbono acconsentire.

Nel caso in cui la persona interessata sia dipendente dall’assistenza dell’altra a motivo di una gravidanza, maternità recente, malattia grave, serio handicap o età avanzata, gli Stati membri possono lasciare insieme o ricongiungere il richiedente asilo e un altro parente che si trovi nel territorio di uno degli Stati membri, a condizione che i legami familiari esistessero nel paese d’origine…"), la cui applicazione è invocata dal ricorrente, atteso che, nel caso di specie, l’Amministrazione non ha ritenuto sussistenti le condizioni cui detta norma àncora la possibilità dell’applicazione della cd. clausola umanitaria.

La ratio della norma che, a ben vedere, introduce una deroga alla gerarchia dei criteri in precedenza definiti nel medesimo regolamento, impone una particolare cautela nell’interpretazione delle "ragioni umanitarie, fondate in particolare su motivi familiari o culturali", a salvaguardia delle quali la norma è posta.

In tal senso, si deve ritenere che, mentre per l’applicazione della suindicata deroga, la P.A. avrebbe dovuto fornire ampia e documentata motivazione, in riscontro delle allegazioni e produzioni addotte dal richiedente a fondamento della propria pretesa al ricongiungimento, lo stesso non può dirsi nel caso in cui la stessa amministrazione faccia applicazione dei criteri tassativamente previsti dalla predetta normativa, non avendo il ricorrente addotto particolari ragioni per avvalersi della "clausola umanitaria".

Né appare censurabile l’interpretazione restrittiva della suindicata clausola fornita dall’Amministrazione, che l’ha ritenuta applicabile solo per determinate categorie di soggetti, ritenuti "vulnerabili", che abbiano altresì legami familiari nel paese "richiedente".

Nel caso all’esame, infatti, il richiedente, non solo, non ha dimostrato l’esistenza di una situazione di vulnerabilità a proprio carico (come, per esempio, quella insita nell’esistenza di gravi patologie, di uno stato di gravidanza, della minore età, ecc.), ma non ha neppure spiegato quali fossero i "particolari motivi" che, ai sensi dell’art. 15 cit., avrebbero dovuto indurre l’Amministrazione a valorizzare la presenza in Italia della sorella, tenuto conto che detto grado di parentela non è, di per sé, rilevante ai fini dell’applicazione del citato Regolamento che, all’art. 2 lett. i), definisce per "familiari", "i seguenti soggetti appartenenti al nucleo familiare del richiedente asilo già costituito nel paese di origine che si trovano nel territorio degli Stati membri:

i) il coniuge del richiedente asilo o il partner non legato da vincoli di matrimonio che abbia una relazione stabile, qualora la legislazione o la prassi dello Stato membro interessato assimili la situazione delle coppie di fatto a quelle sposate nel quadro della legge sugli stranieri;

ii) i figli minori di coppie di cui al punto i) o del richiedente, a condizione che non siano coniugati e siano a carico, indipendentemente dal fatto che siano figli legittimi, naturali o adottivi secondo le definizioni del diritto nazionale;

iii) il padre, la madre o il tutore quando il richiedente o rifugiato è minorenne e non coniugato;…".

La rigorosa interpretazione della suindicata norma, del resto, s’impone, al fine di non svilire l’affermazione contenuta nella premessa posta dal cit. Reg. CE 343, laddove si afferma tutti gli Stati membri sono considerati Stati sicuri per i cittadini dei paesi terzi.

In tal senso, la condizione di "parente a carico", asseritamente rivestita dall’esponente, e sulla quale la difesa ricorrente fa leva per ravvisare le ragioni umanitarie che avrebbero dovuto indurre l’Amministrazione a prendere in esame la domanda di asilo del ricorrente, in deroga agli ordinari criteri, non appare idonea, di per sé, ad integrare quelle "ragioni umanitarie fondate su particolari motivi familiari o culturali", richiamate dall’art. 15 cit. Dette ragioni, infatti, stando allo stesso tenore letterale della norma in questione, dovrebbero aggiungersi a quella di parente "a carico", e non identificarsi con essa.

Per le considerazioni che precedono, i provvedimenti impugnati appaiono immuni dalle prospettate censure.

Conclusivamente, pertanto, il ricorso in epigrafe specificato deve essere respinto.

Sussistono nondimeno giusti motivi per compensare integralmente fra le parti le spese di causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, Sezione IV^, respinge il ricorso in epigrafe indicato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 27 aprile 2010 con l’intervento dei Magistrati:

Adriano Leo, Presidente

Concetta Plantamura, Referendario, Estensore

Antonio De Vita, Referendario

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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