Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-03-2011) 01-04-2011, n. 13362

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Napoli, con sentenza in data 19/12/2007, confermava la sentenza del Tribunale di Avellino del 5/10/2005, appellata anche da B.A., Z.G. e D. M.V., dichiarati responsabili di riciclaggio per avere acquistato o comunque ricevuto la cabina di un autoarticolato, immatricolato in (OMISSIS), il relativo cassone e una cabina motrice marca Scania, compendio di furto, compiendo sui predetti beni operazioni tali da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa (asportazione di targhe, contraffazione delle impronte e targhette di identificazione, contraffazione del colore originale, divisioni in parti) e condannati, ciascuno, alla pena di anni sei di reclusione e Euro 2000 di multa. Tutti gli imputati proponevano ricorso per cassazione.

D.M.V. eccepiva l’erronea applicazione della legge penale, difetto di motivazione (violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all’art. 648 bis c.p.), rilevando come la condotta contestata all’imputato, sorpreso mentre caricava pezzi di autoarticolati sul camion appena giunto, condotto allo stesso, non rientrasse nell’alveo dell’art. 648 bis c.p., in mancanza di prova di aver posto in essere atti di occultamento della provenienza del bene stesso.

Il difensore di Z.G. censurava la sentenza per violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), e) sotto i seguenti profili:

a) nullità della notifica al difensore ex art. 161 c.p.p. e della ordinanza dichiarativa della contumacia pronunciata all’udienza del 19.12.2007;

b) erronea qualificazione giuridica con riferimento all’art. 648 bis c.p.;

c) negazione delle attenuanti generiche;

d) omessa ritenuta continuazione con i fatti di cui alle precedenti sentenze definitive;

e) eccessività della pena inflitta. il difensore di B.A. deduceva i seguenti motivi:

a) nullità della sentenza per violazione dell’art. 420 ter c.p.p. e, comunque, del diritto di difesa, non avendo la Corte adeguatamente valutato l’impedimento a comparire dell’imputato, ricoverato presso l’ospedale civile di Avellino;

b) nullità della sentenza di primo e secondo grado per violazione dell’art. 2 c.p., artt. 521 e 522 c.p.p.;

c) nullità della sentenza per violazione dell’art. 178 c.p.p., lett. c), art. 429 c.p., lett. c) e art. 465 c.p., avendo la Corte rigettato l’eccezione di nullità del decreto di citazione in giudizio e della sentenza di primo grado, stante la incomprensibilità e non leggibilità del decreto; nullità della sentenza per violazione degli artt. 521 e 522 c.p., mancando la correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza che ha condannato il B. per un fatto diverso rispetto a quello genericamente contestato; nullità della sentenza non avendo proceduto alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale;

d) nullità della sentenza per manifesta violazione dell’art. 603 c.p.p.;

e) nullità della sentenza per mancanza di motivazione in ordine alla qualificazione della condotta ascritta all’imputato in base al dato oggettivo della disponibilità del capannone;

f) illogicità della motivazione della sentenza, avendo la Corte di merito disatteso la circostanza che il B., al momento dell’accesso della polizia, si era recato spontaneamente all’interno del capannone, mancando la prova soggettiva del reato di riciclaggio, non essendo motivato e giustificato l’erroneo assunto secondo cui il B. era d’accordo con il D.M. per modificare gli autocarri;

g) nullità della sentenza per erronea applicazione della legge penale in quanto l’attività contestata all’imputato manca degli elementi sufficienti per configurare l’ipotesi di riciclaggio, essendosi limitato il B. a consentire la presenza nell’area degli automezzi di D.M. senza essere presente alle operazioni effettuate sui mezzi;

h) in subordine, derubricazione dell’imputazione nell’ipotesi di cui all’art. 648 c.p.;

i) eccessività della pena inflitta;

j) mancata concessione delle attenuanti generiche, non avendo fatto la Corte alcuna distinzione tra la posizione del B. e quella degli altri imputati.
Motivi della decisione

Tutti i ricorsi sono infondati.

1) Va, preliminarmente disatteso il motivo concernente la nullità dell’ordinanza dichiarativa della contumacia dello Z..

La notifica eseguita mediante consegna al difensore ex art. 161 c.p.p., comma 4, in quanto l’imputato non è stato reperito al domicilio dichiarato, è rituale, a nulla rilevando il diverso domicilio del soggetto, pur risultante dal certificato anagrafico, che non sia stato comunicato a norma del disposto di cui al medesimo articolo, comma 1 (Si veda: Sez. 1, Sentenza n. 16717 del 13/03/2007 Cc. – dep. 02/05/2007 – Rv. 236714). Peraltro il ricorrente, di fatto, non specifica se questa presunta irregolarità abbia di fatto impedito la conoscenza effettiva dell’atto di citazione. Inoltre lo stesso difensore di fiducia al quale è stato notificato ex art. 161 c.p.p., comma 4 il decreto di citazione a giudizio era presente all’udienza avanti alla Corte di appello di Napoli del 19.12.2007 e non ha eccepito nulla sia sulla dichiarazione di contumacia sia sulla regolarità della notifica. A tal proposito si osserva che mentre l’omissione della citazione determina una nullità assoluta ed insanabile, rilevabile e deducibile in ogni stato e grado del procedimento, la violazione (nel nostro caso presunta e non specificata dal ricorrente) delle norme di legge stabilite per le notificazioni configura, invece, una nullità a regime intermedio ai sensi dell’art. 180, non più deducibile o rilevabile per la prima volta dopo la conclusione del giudizio nella quale si è verificata tale nullità (Si veda Sez. 4, Sentenza n. 36724 del 01/04/2004 Ud. – dep. 17/09/2004 – Rv. 229678). Appare opportuno, infine, ricordare che sul punto le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato il principio, pienamente condiviso dal Collegio, che: "in tema di notificazione della citazione dell’imputato, la nullità assoluta e insanabile prevista dall’art. 179 c.p.p. ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato; la medesima nullità non ricorre invece nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, alla quale consegue la applicabilità della sanatoria di cui all’art. 184 c.p.p." (Cass. Sez. Un. Sent. n. 119 del 27.10.2004 dep. 7.1.2005 rv 229539; si veda anche: Sez. 2, Sentenza n. 32855 del 04/07/2007 Ud. – dep. 13/08/2007 – Rv. 237698).

Peraltro, secondo la stessa sentenza, "l’imputato che intenda eccepire la nullità assoluta della citazione o della sua notificazione, non risultante dagli atti, non può limitarsi a denunciare la inosservanza della relativa norma processuale, ma deve rappresentare al giudice di non avere avuto cognizione dell’atto e indicare gli specifici elementi che consentano l’esercizio dei poteri officiosi di accertamento da parte del giudice" (Cass. Sez. Un. Sent. citata rv 229541). Tale primo motivo è, quindi, manifestamente infondato.

2) Con riferimento alle altre censure i ricorrenti, sotto il profilo della violazione della legge processuale e del vizio di motivazione, tentano di sottoporre a questa Corte un giudizio di merito, non consentito neppure alla luce della L. n. 46 del 2006. Va premesso che la modifica normativa dell’art. 606 c.p.p., lett. e), di cui alla L. 20 febbraio 2006, n. 46, lascia inalterata la natura del controllo demandato alla Corte di Cassazione, che può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito. Il nuovo vizio introdotto è quello che attiene alla motivazione, il cui vizio di mancanza, illogicità o contraddittorietà può ora essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato, ma anche da altri atti del processo specificamente indicati. E’ perciò possibile ora valutare il cosiddetto travisamento della prova, che si realizza allorchè si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronunzia. Attraverso l’indicazione specifica di atti contenenti la prova travisata od omessa si consente nel giudizio di cassazione di verificare la correttezza della motivazione. Ciò peraltro vale nell’ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia pronunzia conforme il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice d’appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice.

Alla stregua di quanto sopra i proposti gravami sul punto vanno ritenuti manifestamente infondati, atteso che il controllo di legittimità operato da questa Corte è finalizzato a verificare se le argomentazioni poste dal giudice di merito a fondamento della propria decisione siano compatibili con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento. Ed invero il compito della Corte di Cassazione non è quello di sovrapporre una propria valutazione delle risultanze processuali a quella già compiuta dai giudici di merito, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano fornito una corretta interpretazione degli elementi di fatto a loro disposizione ed abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. E tale verifica dell’apparato argomentativo deve ritenersi nel caso di specie senz’altro positiva ove si osservi che la Corte territoriale, con motivazione assolutamente logica che si sottrae pertanto alle censure mosse con il proposto gravame, ha rilevato che presso il deposito della Italbove, gli agenti di P.G., hanno sorpreso cinque operai intenti a riverniciare un cassone risultato di provenienza illecita, rinvenendo anche una cabina Scania di colore rosso sulla quale erano stati apposti i dati identificativi di altro veicolo, e altra cabina marca Man, priva di targhe e targhette identificative, entrambe risultate di provenienza illecita in quanto oggetto di furto. In base a tali non equivoci elementi, i primi giudici hanno affermato la responsabilità del B., avendo accertato che all’interno del suo deposito, veniva svolta attività di sezionamento di autocarri di accertata provenienza furtiva, diretta a consentire la ricomposizione degli automezzi con parti diverse, rendendo difficile la individuazione della loro provenienza delittuosa. Appare, inoltre, coerente e logica la motivazione della Corte territoriale che ha rilevato che, se il B. non fosse stato compartecipe dell’attività illecita, non si comprenderebbe come mai gli operai dipendenti dello stesso avessero potuto, di loro iniziativa, svolgere quella complessa attività di riciclaggio all’insaputa del loro datore di lavoro.

Anche la responsabilità dei coimputati Z. e D.M. è stata, con motivazione coerente e logica, affermata dei giudici di merito essendo stato sorpreso lo Z., all’interno del capannone di (OMISSIS), intento a tagliare con la fiamma ossidrica una cabina marca Scania 143 M di colore bianco, mentre il D.M. era intento a caricare pezzi di autoarticolati su un camion appena giunto e condotto dallo stesso.

La motivazione della Corte territoriale si appalesa completa, priva di vizi logici, del tutto aderente alle premesse fattuali acquisite in atti, compatibile con il senso comune; e pertanto la ricostruzione dei fatti operata dai predetti giudici di merito, fondata su precisi elementi di giudizio e non su congetture o supposizioni, si snoda attraverso un iter argomentativo nel quale sono stati enunciati i fatti probatori ed esplicitato il processo logico posto a sostegno della valutazione effettuata; e pertanto sul punto il ricorso si appalesa manifestamente infondato.

2) Il concorso nel reato di riciclaggio, con divisione dei ruoli dei vari coimputati, consente di ascrivere anche al D.M. ed allo Z. la condotta tipica del reato di cui all’art. 648 bis c.p..

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, integra il reato di riciclaggio, ex art. 648 bis c.p., il compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza dei beni o delle altre utilità, attraverso un qualsiasi espediente che consista nell’aggirare la libera e normale esecuzione dell’attività posta in essere. (V. Cass. Sez. 2A sent. n. 2818 del 12.1.2006 dep. 24.1.2006 rv 232869).

Si tratta di un reato a forma libera, che può essere integrato con qualunque modalità.

Integra, quindi, tale delitto la condotta del soggetto che manometta il numero di telaio di un veicolo di provenienza delittuosa ovvero alteri detto numero sulla carta di circolazione, poichè entrambe le operazioni mirano ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa della "res". (V., fra le tante, Cass. Sez. 2 sent. n. 38581 del 25.9.2007 dep. 18.10.2007 rv 237989).

Sono idonee a ritenere sussistente, altresì, il predetto delitto operazioni quali l’asportazione di targhe, la riverniciatura del mezzo al fine di modificare il colore originale dello stesso, la divisione in parti dei veicoli, attività che ostacolano l’identificazione della provenienza delittuosa dei veicoli, ascritte in concorso ai singoli imputati, con divisione di ruoli.

3) Lamenta lo Z. l’omessa continuazione con i fatti relativi ad altre sentenze divenute definitive, correttamente disattesa dalla Corte territoriale in quanto dalle altre sentenze non si ricavano utili elementi idonei a far ritenere che i delitti accertati nelle indicate decisioni siano stati commessi nell’ambito di un unico disegno criminoso; nè la difesa ha offerto, nè comunque sono ravvisabili nel procedimento, elementi che possano far ritenere che le singole violazioni siano state deliberate – quanto meno nelle linee essenziali – sin dal momento dell’esecuzione della prima violazione. Sottolinea, poi, la Corte di merito che l’unicità del disegno criminoso non può essere confusa con l’inclinazione a commettere reati o con un generico programma delinquenziale e che, infine, la mancanza degli elementi di cui sopra, unita ad un non irrilevante intervallo temporale, esclude la possibilità di applicare l’istituto della continuazione (Si vedano in proposito, ad esempio: Sez. 1, Sentenza n. 1146 del 21/02/1996 Cc. – dep. 13/05/1996 – Rv. 204608; Sez 1, 11/05/1992, n. 2074, Valinotto e tutta la successiva giurisprudenza conforme).

4) Relativamente alle censure relative alla mancata concessione delle attenuanti generiche e alla eccessività della pena inflitta, dedotte dagli imputati Z. e B., nei rispettivi ricorsi, si prospettano esclusivamente valutazioni di elementi di fatto, divergenti da quelle cui è pervenuto il giudice d’appello con motivazioni congrue ed esaustive, previo specifico esame degli argomenti difensivi attualmente riproposti.

Infatti la Corte territoriale esamina i vari elementi fissati dall’art. 133 c.p. sia per la concessione delle attenuanti generiche, sia per individuare la pena più adeguata.

Questa suprema Corte ha più volte affermato che ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis c.p., il Giudice deve riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 c.p., ma non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti, essendo sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento. (Si veda ad esempio Sez. 2, Sentenza n. 2285 del 11/10/2004 Ud. – dep. 25/01/2005 – Rv. 230691). Inoltre, sempre secondo i principi di questa Corte – condivisi dal Collegio – ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione delle circostanze, ritenute di preponderante rilievo. Ad esempio in un caso posto all’attenzione di questa Suprema Corte – che ha considerato corretta la relativa motivazione – il giudice di merito aveva ritenuto che non potessero concedersi le attenuanti generiche in relazione alla gravità del fatto ed ai precedenti penali dell’imputato. (Si veda Sez. 1, Sentenza n. 3772 del 11/01/1994 Ud. – dep. 31/03/1994- Rv. 196880).

Anche nella fattispecie è stata negata la concessione delle attenuanti generiche con riferimento ai precedenti penali degli imputati, ritenuti sicuro indice della capacità a delinquere dei medesimi e, dunque, della loro pericolosità sociale.

Infatti la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62 bis c.p. è oggetto di un giudizio di fatto, e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talchè la stessa motivazione, purchè, come nel caso di specie, congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato.

(Sez. 6, Sentenza n. 7707 del 04/12/2003 Ud. – dep. 23/02/2004 – Rv.

229768). Lo stesso discorso vale, naturalmente, per l’individuazione, da parte del Giudice, della pena da irrogare. La determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra, infatti, nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 c.p.. (Sez 4, sentenza nr. 41702 del 20/09/2004 Ud – dep. 26/10/2004-Rv. 230278).

5) Anche le ulteriori censure del B. sono infondate.

Relativamente alla dedotta nullità della sentenza per violazione dell’art. 420 ter c.p.p. e, comunque, del diritto di difesa, non avendo la Corte adeguatamente valutato l’impedimento a comparire dell’imputato, ricoverato presso l’ospedale civile di Avellino tale censura si appalesa generica e, come tale, inammissibile; la Corte territoriale ha disatteso la richiesta di rinvio stante la assoluta genericità del certificato medico prosotto da cui non si evince l’assoluto impedimento a comparire.

In ordine al rigetto dell’eccezione di nullità del decreto di citazione in giudizio e della sentenza di primo grado, stante la incomprensibilità e non leggibilità del decreto, il ricorrente si limita a riproporre le medesime argomentazioni già disattese dei giudici di appello che con argomentazione logica e non contraddittoria hanno rilevato che l imputato ha, comunque, avuto precisa cognizione dell’addebito con la possibilità di svolgere una ampia, articolata e puntuale difesa.

Con riferimento al motivo concernente la dedotta mancata correlazione tra l’imputazione contestata e la condanna, la Corte territoriale ha evidenziato che il fatto tipico ascritto all’imputato è rimasto identico a quello contestato nei suoi elementi essenziali, cambiando solo in taluni dettagli le modalità di realizzazione della condotta, senza alcuna modifica radicale della struttura della contestazione che possa far ritenere una diversa qualificazione giuridica del fatto contestato nel capo di imputazione. A tali osservazioni l’imputato formula solo generiche contestazioni che non tengono conto delle valutazioni della Corte di merito, insindacabili nel giudizio di legittimità, quando il metodo di valutazione sia conforme ai principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici, come nel caso di specie.

Anche la richiesta rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale è generica. E’ appena il caso di osservare che la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello è istituto del tutto eccezionale rispetto alla presunzione di completezza dell’istruzione dibattimentale, al quale il giudice può fare ricorso solo quando ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti. E che la Corte territoriale potesse decidere allo stato degli atti lo ha dimostrato – oltre che con la motivazione contenuta nella sentenza e nella separata ordinanza di rigetto dell’istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale – con la sua esaustiva, logica e non contraddittoria motivazione sulla penale responsabilità di ogni singolo imputato, "risultando già acquisiti in atti idonei ed obiettivi elementi di valutazione" (Si veda Sez. 2, Sentenza n. 38871 del 04/10/2007 Ud. – dep. 19/10/2007 – Rv. 238220).

In ogni caso va, per completezza, rilevato che il ricorrente, pur deducendo formalmente la mancata assunzione di prove decisive quale effetto di un immotivato diniego opposto alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, nella sostanza prospetta – come si diceva sopra – una ricostruzione dei fatti diversa da quella accolta nella sentenza impugnata o, quanto meno, un’interpretazione alternativa dei medesimi, indugiando in considerazioni di merito incompatibili con il giudizio di legittimità. (Si veda: Sez. 4, Sentenza n. 37624 del 19/09/2007 Ud. – dep. 12/10/2007 – Rv. 237689).

Conclusivamente tutti i ricorsi vanno rigettati.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta i ricorsi, le parti private che li hanno proposti devono essere condannate al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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