ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 28 del 2008 proposto dalla signora Iachelini Cecilia, rappresentata e difesa dall’avv. Flavio Maria Bonazza ed elettivamente domiciliata presso lo studio dello stesso in Trento, piazza Mosna, 8
CONTRO
– il Comune di Rabbi (Trento), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Marco Dalla Fior e Andrea Lorenzi ed elettivamente domiciliato presso lo studio degli stessi in Trento, via Paradisi, 15/5
per l’annullamento
– “dell’ingiunzione di riduzione in pristino prot. n. 49/2007, di data 9.7.2007, notificata in data 12.7.2007, avente ad oggetto la riduzione in pristino di opere pretesemente abusive, interessanti la p.ed 765, C.C. Rabbi – loc. Valorz”.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione comunale intimata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Uditi alla pubblica udienza di data 15 gennaio 2009 – relatore il consigliere Alma Chiettini – l’avv. Flavio Maria Bonazza per la ricorrente e gli avv.ti Marco Dalla Fior e Andrea Lorenzi per l’Amministrazione comunale resistente;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
F A T T O
1. La ricorrente ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe con ricorso straordinario al Capo dello Stato notificato in data 9.11.2007 e depositato lo stesso giorno presso la sede del Comune di Rabbi. L’Amministrazione comunale, con atto datato 29.12.2007 e notificato il 5.1.2008, ha però chiesto la trasposizione del ricorso in sede giurisdizionale.
La ricorrente si è quindi costituita in giudizio, ai sensi dell’articolo 10 del D.P.R. 24.11.1971, n. 1199, con atto notificato in data 18 gennaio 2008 e depositato presso la Segreteria del Tribunale il successivo 1 febbraio.
2. L’istante espone in fatto essere proprietaria della p.ed. 675 nel C.C. Rabbi. Con concessione edilizia n. 24 di data 19.9.2005 il Comune ha autorizzato i lavori di “ricostruzione e trasformazione di ruderi esistenti” – secondo l’allegato progetto che prevedeva la ristrutturazione dell’edificio rustico e la realizzazione di tre appartamenti da destinarsi ad usi turistici – con alcune prescrizioni, fra le quali quella che imponeva che i locali situati al piano seminterrato avrebbero dovuto essere utilizzati come deposito e quella che non ammetteva alcun genere di ampliamento, né laterale né con sopraelevazione, anche da richiedersi successivamente con eventuali varianti in corso d’opera.
3. In data 31.7.2006 la ricorrente ha presentato una richiesta di variante in corso d’opera relativa ad alcune opere e modifiche esterne, alla realizzazione di un’intercapedine sul lato sud, oltre alla modifica della destinazione d’uso di alcuni locali interni già previsti come deposito a servizio dei tre appartamenti e successivamente realizzati come stanze.
In occasione del sopralluogo, disposto dall’Amministrazione comunale in data 31.5.2007, si è accertato che tutte le opere descritte con la richiesta di variante erano già state realizzate e che altre opere, non richieste con la menzionata domanda di variante, erano state eseguite in difformità rispetto a quanto assentito. In particolare, si trattava della realizzazione di una sala comune e di un locale cucina al piano seminterrato in luogo dei prescritti locali ad uso deposito.
Con l’ingiunzione n. 49/2007, citata in epigrafe, il Sindaco di Rabbi ha quindi ordinato il ripristino dei locali seminterrati secondo quanto prescritto in sede di rilascio della concessione edilizia.
4. Con il ricorso in esame la signora Iachelini ha impugnato detta ingiunzione deducendo:
I – “eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, insussistenza dei presupposti per l’attivazione dei procedimenti sanzionatori di sorta, carenza di motivazione ed erronea applicazione di legge (articolo 122, comma 1, della legge provinciale 5.9.1991, n. 22)”; l’istante contesta la situazione di fatto considerata ai fini dell’ingiunzione ripristinatoria, ossia che vi sia stato un mutamento della destinazione d’uso dei locali in questione, ai quali non sarebbero state apportate modifiche strutturali;
II – “erronea applicazione di legge (articolo 122, comma 1, in relazione agli articoli 86 e 128, comma 6, della legge provinciale 5.9.1991, n. 22) ed ancora eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento della realtà e carenza di motivazione”, posto che il contestato mutamento di destinazione d’uso avrebbe potuto essere legittimato mediante una procedura di variante in corso d’opera: l’impugnata ingiunzione sarebbe stata peraltro adottata prima che la proprietà depositasse la relativa richiesta e la dichiarazione di fine lavori;
III – “erronea applicazione di legge (articolo 122, comma 1, della legge provinciale 5.9.1991, n. 22) ed ancora eccesso di potere per carenza di motivazione”, poiché il provvedimento impugnato non avrebbe indicato il tipo di abuso e precisato il correlato trattamento sanzionatorio.
5. Con il ricorso è stata presentata istanza di sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato.
6. Nei termini di legge si è costituita in giudizio l’Amministrazione comunale intimata, controdeducendo e chiedendo la reiezione del ricorso perché infondato nel merito.
7. Alla camera di consiglio del 14 febbraio 2008, con ordinanza n. 19, la domanda incidentale di misura cautelare è stata respinta.
8. Alla camera di consiglio di data 15 gennaio 2009 la causa è stata trattenuta per la decisione.
D I R I T T O
1. La signora Cecilia Iachelini è proprietaria di un edificio a tre piani situato nella Valle di Valorz, una zona di pregio ambientale nel Comune di Rabbi, già adibito a stalla e quindi oggetto di un intervento di “ristrutturazione e trasformazione ruderi esistenti” per ricavarne appartamenti da destinare ad uso turistico.
A tale proposito, nella relazione che accompagna il progetto di ristrutturazione dell’edificio si allegava che “l’obiettivo è quello di realizzare una struttura con quattro appartamentini”, prevedendo, in particolare, la realizzazione nel seminterrato di locali con la destinazione “cucina, bagno, disbrigo e sala comune per la prima colazione”, al primo piano di due appartamenti indipendenti e di un ulteriore appartamento nel sottotetto con scala esterna.
La concessione edilizia rilasciata dal Sindaco del Comune di Rabbi ha però prescritto, previo parere della Commissione edilizia, che i locali al piano seminterrato per i quali era stata richiesta la destinazione di “cucina e sala comune per la prima colazione” dovessero invece essere adibiti ad uso “deposito”. La ricorrente ha pertanto presentato le nuove tavole riguardanti il piano interrato, sostitutive delle precedenti, con indicata la destinazione autorizzata.
Sul punto, la difesa dell’Amministrazione precisa che la zona in cui è ubicato l’immobile non è servita da alcuna infrastruttura pubblica, che non esiste un sistema comunale di smaltimento fognario e che essa è raggiungibile da una strada forestale: pertanto si sarebbe voluto incentivare, a suo avviso, il solo uso residenziale dell’immobile che si intendeva ristrutturare, ma non quei diversi interventi che potessero prospettare l’uso ricettivo di esso.
Nel corso dei lavori per la realizzazione dell’edificio sono state eseguite alcune opere in difformità rispetto al titolo concessorio per le quali l’istante ha presentato una richiesta di variante in corso d’opera, di cui alla pratica edilizia n. 21/06. Rilevate alcune difformità nelle tavole progettuali allegate a detta richiesta di variante rispetto alle stesse tavole come assentite, l’Amministrazione comunale ha disposto una verifica presso la proprietà della ricorrente.
In occasione del sopralluogo, avvenuto il 31 maggio 2007, è stato accertato che la destinazione dei locali al piano seminterrato non era quella assentita, ossia a mero “deposito”, e che la relativa richiesta di variazione non era ricompresa fra quelle oggetto della richiesta di variante in corso d’opera in fase istruttoria.
2. Con il primo motivo la ricorrente lamenta che il Comune avrebbe travisato le caratteristiche dei due locali e deduce che l’asserzione, contenuta nell’atto sub iudice, che in uno di essi vi sarebbe stato “depositato di tutto” ne confermerebbe la destinazione a deposito.
Il motivo è privo di pregio: nel provvedimento impugnato la situazione riscontrata è chiaramente individuata, ivi descrivendosi “un locale completamente foderato in legno con panche e tavole”, e “ancorchè oggi vi fosse depositato di tutto”, puntualmente “predisposto quale sala comune”; un secondo locale è stato, poi, indicato come “attrezzato per … uso cucina”.
Il Collegio osserva che le fotografie che accompagnano sia il verbale di sopralluogo che il successivo provvedimento con l’ordine di ripristino confermano pacificamente la contestata conclusione, posto che vi si riscontra:
* da un lato, un locale controsoffittato in legno a cassettoni, con pareti anch’esse completamente foderate in legno lavorato, dotato di impianto di illuminazione costituito da applique a muro, con alcuni tavoli, panche e numerose sedie accatastate, il tutto in legno chiaro e in stile tirolese;
* da altro lato, un locale palesemente attrezzato ad uso cucina, dotato delle relative attrezzature per quanto non ancora completamente installate e piastrellato nello spazio murario visibile tra le basi ed i pensili.
In sede di loro apprestamento, nei due locali sono state pertanto eseguiti interventi e rifiniture civili che, “considerati nel loro insieme coordinato” (cfr. C.d.S., sez. V, 12.10.2000, n. 5428), li configurano tipologicamente diversi rispetto al mero deposito assentito e chiaramente idonei ad una diversa destinazione d’uso.
La chiara esorbitanza degli allestimenti per una fruizione non residenziale testimonia poi la chiara l’intenzione di utilizzare gli stessi ad uso cucina e ristoro da parte dei futuri conduttori, come era del resto nelle originarie intenzioni della ricorrente, cui ella aveva receduto al solo scopo di favorire il sollecito rilascio della concessione edilizia.
In tal senso la giurisprudenza, sia pura datata, di questo Tribunale ha avuto occasione di affermare “che nell’ipotesi in cui sia stato realizzato un mutamento di destinazione d’uso in difformità da quanto previsto dalla concessione edilizia, devono considerarsi come opere abusive non solo le opere di costruzione vere e proprie, ma anche tutti quei lavori interni che, per quanto modesti siano, appaiono obiettivamente necessari a rendere possibile la nuova destinazione, rilevando inequivocabilmente la volontà tesa a tale scopo” (cfr. 16.3.1991, n. 94).
3. Con il secondo motivo si afferma, in via gradata, che il cambio di destinazione d’uso avrebbe potuto essere legittimato attivando la proceduta della variante in corso d’opera e che, in tal senso, l’Amministrazione comunale, avrebbe dovuto attendere la presentazione della relativa richiesta prima di dar corso alla repressione dell’illecito edilizio.
Anche detta prospettazione deve essere disattesa.
Nella vicenda in esame, infatti, l’ipotesi formulata dalla ricorrente è rimasta totalmente priva di dimostrazione, restando comunque in disparte il fatto che le opere che rientrano in detta categoria sono esclusivamente quelle di lieve entità apportate in corso d’opera al progetto assentito e che esse, se effettuate su immobili che si trovano in aree tutelate ai fini paesaggistico – ambientali, devono essere valutate con particolare rigore.
All’opposto, risulta agli atti che una denuncia di variante in corso d’opera era stata depositata, ma che in essa non era stata evidenziata la modifica della destinazione d’uso dei locali al piano seminterrato, riscontrata dall’Amministrazione solo in occasione del sopralluogo disposto per verificare altre difformità rispetto al progetto in origine assentito.
4. Infine, con l’ultimo motivo, si censura l’ingiunzione di ripristino in quanto essa sarebbe carente dell’indicazione delle ragioni per le quali le opere de quo sarebbero illegittime, dell’esatta individuazione del tipo di abuso accertato e della specificazione del trattamento sanzionatorio previsto dalla legge.
Osserva il Collegio che il provvedimento impugnato è l’ingiunzione di riduzione in pristino prevista dall’art. 122, comma 1, della legge provinciale 5 settembre 1991, n. 22, la quale, sul piano sostanziale, integra una mera diffida rivolta alla parte privata per renderle noto il perpetrato abuso. Essa assolve dunque una principale funzione garantista, permettendo all’interessato di esercitare le proprie difese, di eliminare l’abuso (sottraendosi così alle ulteriori sanzioni), o di chiedere, se del caso, il rilascio di un provvedimento in sanatoria. L’ingiunzione non contiene né irroga sanzioni. Un siffatto provvedimento di repressione di interventi effettuati sine titulo, pacificamente classificato sia dalla giurisprudenza che dalla dottrina tra gli atti vincolati, richiede necessariamente la descrizione analitica delle opere e l’attestazione di accertamento dell’assenza di ogni atto autorizzativo per la loro realizzazione.
In tal senso, il provvedimento impugnato si presenta completo, posto che precisa cronologicamente i dati dell’iter procedimentale ed i termini della concessione edilizia a suo tempo rilasciata, nonché fornisce una completa descrizione, anche con strumenti iconografici, delle opere eseguite in difformità della concessione stessa, di cui non era stata fatta dall’istante in precedenza alcuna menzione e, cioè, del cambio di destinazione d’uso ai due locali siti al piano seminterrato.
L’ordinanza prosegue poi qualificando espressamente le opere come “eseguite in difformità dalla concessione” e fissando il termine per provvedere al ripristino dei locali con la destinazione “depositi”.
Infine, come evidenzia la difesa della ricorrente, essa presenta un evidente errore nell’individuazione della norma della legge provinciale di riferimento.
Deve però rilevarsi che ciò si risolve in una mera irregolarità del documento, posto che tale elemento non ha obiettivamente precluso alla parte privata né l’ottemperanza all’ingiunzione né la possibilità di richiedere il rilascio di un eventuale provvedimento in sanatoria.
5. In definitiva, per tutte le suesposte motivazioni, il ricorso deve essere respinto.
Le spese del giudizio sono poste a carico della parte soccombente e sono quantificate in dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino – Alto Adige, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 28 del 2008, lo respinge.
Le spese del giudizio, liquidate nella complessiva somma di € 3.000 (tremila), oltre ad I.V.A. e C.P.A., sono poste a carico della ricorrente.
Così deciso in Trento, nella camera di consiglio di data 15 gennaio 2009, con l’intervento dei Magistrati:
dott. Francesco Mariuzzo – Presidente
dott. Lorenzo Stevanato – Consigliere
dott.ssa Alma Chiettini – Consigliere estensore
Pubblicata nei modi di legge, mediante deposito in Segreteria, il giorno 23 gennaio 2009
Il Segretario Generale
dott. Giovanni Tanel
N. 34/2009 Reg. Sent.
N. 28/2008 Reg. Ric.
Fonte: www.giustizia-amministrativa.it