Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-02-2011) 01-04-2011, n. 13388 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

D.B.L., indagata in ordine al delitto di partecipazione ad associazione diretta a commettere più delitti di acquisto e smercio di cocaina ed hashish in (OMISSIS), ricorre avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Bari in data 26.7.2010 che ha confermato l’ordinanza del Gip di Bari in data 7.7.2010 che ha applicato la misura della custodia cautelare in carcere.

Deduce difetto di motivazione per avere il Gip emesso l’ordinanza custodiale senza operare alcun controllo critico alle richieste del P.M., contenente richiami a sequestri di sostanze stupefacenti inconferenti con la fattispecie. Osserva che il Tribunale ha superato le attribuzioni proprie dei suoi poteri nell’integrare i vizi di motivazione del provvedimento custodiale. Deduce che lo stretto periodo di tempo limitato ad un mese in cui si sono svolti i fatti non consente di considerare operante una struttura criminosa, essendo invece i fatti uniti dal mero concorso di più persone nei singoli episodi di spaccio. Sottopone a critica gli elementi sintomatici ritenuti qualificanti della struttura delinquenziale che dice essere estranei ad un collegamento finalizzato al compimento di più delitti della stessa specie. Deduce anche difetto di motivazione con riferimento alla sussistenza di esigenze cautelari presunte, in quanto i reati sono cessati con l’arresto dei prevenuti e rappresenta l’insussistenza di un attuale pericolo di recidiva per la consumazione di analoghi delitti.

Con riferimento al primo motivo di ricorso si osserva che il rapporto tra il disposto di cui all’art. 292 cod. proc. pen., comma 2, lett. c) e c) bis (in base al quale a pena di nullità, rilevabile anche d’ufficio, il giudice nell’ordinanza cautelare deve esporre le specifiche esigenze cautelari e la necessità della custodia in carcere, esponendo i motivi per i quali non sono stati ritenuti rilevanti gli elementi forniti dalla difesa) e quello dell’art. 309 cod. proc. pen., comma 9 (in base al quale il tribunale può anche confermare il provvedimento cautelare per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione dei provvedimento stesso) va stabilito nel senso che al tribunale del riesame deve essere riconosciuto il ruolo di giudice collegiale e di merito sulla vicenda de libertate. Al tribunale non è demandata solo la valutazione della legittimità dell’atto, ma a cognizione della intera vicenda sottostante e, quindi, primariamente la soluzione del contrasto sostanziale tra la libertà del singolo e la necessità coercitiva, con la conseguenza che la dichiarazione di nullità dell’ordinanza impositiva è ultima delle determinazioni adottabili. Tale nullità, invero, può essere dichiarata solo ove il provvedimento custodiale sia mancante di motivazione in senso "grafico", ovvero ove, pur esistendo una motivazione in tal senso, essa si risolva in clausole di stile, onde non sia possibile, interpretando e rivalutando l’intero contesto, individuare le esigenze cautelari il cui soddisfacimento si persegue (Cass. pen., sez. 6, 10.01.2000, n. 52). Inoltre, quando un provvedimento non si limita a richiamare altro atto, ma ne recepisca graficamente il contenuto, non può certo dirsi che "manchi" di motivazione, dovendo, piuttosto, equipararsi la situazione al caso di motivazione per relationem, e cioè del provvedimento che richiami il contenuto di diverso atto, facendone propria la motivazione (Cass. 2^ 39383 in data 8.10.08, depositata 21.10.08, rv. 241868).

In conclusione in materia di misure cautelari, l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere, in cui sia stata trasfusa integralmente e alla lettera la richiesta del pubblico ministero, non può essere considerata nulla per mancanza assoluta di motivazione, se risulta, come coerentemente accertato dal Tribunale del Riesame, che il giudice abbia preso cognizione del contenuto delle ragioni dell’atto richiamato, ritenendole coerenti alla sua decisione (Cass. 6^ n. 35823 in data 1.2.07, depositata 1.10.07, rv.

237841; Cass. 4^ n. 17566 del 18.12.2003 dep. 16.04.2004, Rv.

228169).

Il secondo motivo di gravame è manifestamente infondato risolvendosi in una discrezionale valutazione di insufficienza indiziaria a fronte di un non illogico giudizio di gravità degli indizi accertasti dal giudice di merito. Nel giudizio di cassazione deve essere accertata la coerenza logica delle argomentazioni seguite dal giudice di merito nel rispetto delle norme processuali e sostanziali. Ai sensi del disposto di cui all’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e) la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicchè dedurre tale vizio in sede di legittimità comporta dimostrare che il provvedimento è manifestamente carente di motivazione o di logica e non già opporre alla logica valutazione degli atti operata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica, degli atti processuali (Cass. S.U. 19.6.96, De Francesco).

Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Cass. S.U. 2.7.97 n. 6402, ud. 30.4.97, rv. 207944, Dessimone). In conclusione il controllo di legittimità sui punti devoluti rimane circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) – l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) – l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Cass. 6^ 25.5.95 n. 2146, depositata 16.6.95, rv. 201840). Nella concreta fattispecie il ricorrente lamenta una diversa valutazione del materiale indiziario e quindi rappresenta una differente valutazione dei fatti e non anche una frattura valutativa logica del materiale probatorio, rilevando lo specifico ruolo di intermediaria tenuto dalla prevenuta informata sul giro degli acquirenti, sulle forniture, mettendo a disposizione la propria abitazione per la consegna delle sostanze e svolgendo attività di vedetta per controllare i movimenti delle auto dei Carabinieri in occasione di perquisizioni.

Anche il ricorso relativo alle esigenze cautelari è manifestamente infondato alla luce del principio di legittimità che statuisce che la limitata durata temporale della associazione costituisce di per sè un elemento di carattere "neutro", che non può assumere uno specifico rilievo nella valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari. Ai fini del superamento della presunzione di cui all’art. 275 cod. proc. pen., comma 3, devono essere accertati ulteriori e diversi elementi indicativi del venir meno di siffatte esigenza cautelari. Conseguentemente non ha rilievo il tempo trascorso dai fatti mentre nell’impugnata ordinanza i giudici hanno fatto corretto e concreto riferimento all’inserimento della ricorrente, gravata da altre pendenze, in pericolosi contesti di allarmante criminalità che sono indicativi di concreto pericolo di recidiva.

L’impugnazione è pertanto inammissibile a norma dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 3; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen. la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00. Inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà della ricorrente, deve disporsi ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagata si trova ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del citato articolo 94.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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