Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 27-06-2011, n. 14160 Liquidazione, riliquidazione e perequazione della pensione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.M., ex dipendente AMAN (Azienda municipalizzata dell’acquedotto di Napoli) – cui è succeduta dapprima l’ARTN (Azienda risorse idriche di Napoli) e poi l’ARIN s.p.a. – assunto prima del 11.1.63, ricorreva al Tribunale di Napoli giudice del lavoro per l’inclusione dell’indennità denominata ERI e della indennità di incentivazione nella base di calcolo della pensione aziendale a carico dell’Azienda, con condanna della stessa al pagamento delle differenze maturate. Il Tribunale riteneva computabile solo la indennità di incentivazione, perchè l’altra era stata istituita dopo il pensionamento del P.. Su impugnazione di entrambe le parti, la locale Corte d’appello, con la sentenza impugnata del 19 agosto 2006, riconosceva il diritto alla inclusione nella pensione integrativa di entrambe le indennità.

L’ARIN in liquidazione chiede la cassazione della sentenza con un unico complesso motivo. Resiste il lavoratore con controricorso, illustrato da memoria.
Motivi della decisione

Con l’unico motivo si censura la sentenza per violazione degli artt. 64 e 67 del Regolamento organico per il Personale dell’Acquedotto di Napoli 22.9.45 e sue successive modifiche (delib. n. 17 del 1953 e Delib. n. 1 del 1968); della Delib. Commissione amministratrice, n. 404 del 1987, del D.L. n. 55 del 1983, art. 30 convertito in L. n. 131 del 1983; della circolare del Ministero del Tesoro n. 608/83 sui nuovi criteri per la determinazione dei trattamenti di quiescenza e modifica della relativa procedura-emolumenti della retribuzione annua contributiva e pensionabile-certificazione dovuta dall’Ente datore di lavoro e per difetto di motivazione.

Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. applicabile, come nella specie, per le sentenze pubblicate dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40. Detta disposizione stabilisce che l’illustrazione di ciascun motivo di ricorso proposto ai sensi del precedente art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3, e 4, debba concludersi, a pena d’inammissibilità del motivo, con la formulazione di un quesito di diritto. Attraverso questa specifica norma, in particolare, il legislatore si propone l’obiettivo di garantire meglio l’aderenza dei motivi di ricorso (per violazione di legge o per vizi del procedimento) allo schema legale cui essi debbono corrispondere. La formulazione del quesito funge da prova necessaria della corrispondenza delle ragioni del ricorso ai canoni indefettibili del giudizio di legittimità, inteso come giudizio d’impugnazione a motivi limitati. Ne consegue non solo che la formulazione del quesito di diritto previsto da detta norma deve necessariamente essere esplicita, in riferimento a ciascun motivo di ricorso (cfr., in tal senso, Sez. un, n. 7258 del 2007, e Cass. n. 27130 del 2006), ma anche che essa non deve essere generica ed avulsa dalla fattispecie di cui si discute (cfr. Sez. un. n. 36 del 2007), risolvendosi altrimenti in un’astratta petizione di principio, perciò inidonea tanto ad evidenziare il nesso occorrente tra la singola fattispecie ed il principio di diritto che il ricorrente auspica sia enunciato, quanto ad agevolare la successiva enunciazione di tale principio, ad opera della Corte, in funzione nomofilattica.

Inoltre la Corte, con la sentenza 26 marzo 2007 n. 7258 delle Sezioni unite, ha affermato che la disposizione non può essere interpretata nel senso che il quesito di diritto si possa desumere implicitamente dalla formulazione del motivi di ricorso, perchè una tale interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma;

Nè rileva che sia stato eccepito anche il difetto di motivazione, sia perchè manca il momento di sintesi prescritto dal medesimo art. 366 bis, sia perchè, trattandosi di questione di puro diritto, non viene in realtà lamentato alcun difetto di motivazione, il quale peraltro è ammissibile solo sull’interpretazione dei fatti, di cui in questo caso non si fa questione;

Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 36,00 per esborsi ed in duemila Euro per onorari, oltre spese generali, Iva e CPA. Così deciso in Roma, il 5 maggio 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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