Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 03-02-2011) 01-04-2011, n. 13353

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente: P.M. propone ricorso per Cassazione avverso la sentenza emessa in data 12.12.2009 dalla Corte di appello di Palermo che aveva confermato la sentenza di condanna del Tribunale di quella città in data 12.07.2007, emessa nei confronti del ricorrente, imputato del reato di partecipazione all’associazione mafiosa, ex art. 416 bis c.p., aggravato ex commi 4 e 6, per avere fatto parte unitamente ad altre persone ( B.G., M.G., A.R., e G.) dell’associazione di tipo mafioso denominata "Cosa Nostra" ed, in particolare, per "avere tutelato la famiglia mafiosa di San Cipirello nonchè per avere gestito di fatto nell’interesse di A. G., allorquando era detenuto ovvero latitante, un’impresa per lavori stradali, cosi contribuendo in modo determinante al mantenimento della supremazia dell’ A. in quel territorio;

fatti commessi fino al (OMISSIS)";

La Corte di appello riteneva che la penale responsabilità dell’imputato rinveniva, oltre che dalle risultanze processuali, anche dalle dichiarazioni di molteplici collaboranti di giustizia.

Nel presente ricorso si deduce:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e).

1) Il ricorrente censura la decisione impugnata per difetto di motivazione, travisamento della prova e violazione dell’art. 192 c.p.p., comma 3; in ordine all’affermata responsabilità dell’imputato;

osserva al riguardo:

– che le chiamate di correo erano state erroneamente valorizzate dalla Corte di appello nonostante che fossero sprovviste di intrinseca credibilità e di riscontri individualizzanti;

– che il collaborante M. aveva escluso la qualità di uomo d’onore del P.;

– che l’affermazione del M., per il quale il P. operava nel campo dell’attività imprenditoriale nel settore stradale in nome e per conto di A.G., era stata contraddetta:

– sia dal provvedimento emesso dalla Corte di appello di Palermo, in sede di procedimento per misure di prevenzione, laddove aveva escluso che i beni del P. fossero riducibili ad attività mafiosa, tanto da avere revocato la confisca dei beni del medesimo, e: – sia dall’attività investigativa dei carabinieri, laddove il capitano Ba. aveva escluso la partecipazione del P. ad appalti pubblici;

– che le dichiarazioni del collaborante L.R.G. non potevano costituire un riscontro alle accuse del M., come erroneamente ritenuto dalla Corte di appello, perchè generiche e contraddittorie;

– che la sentenza era da censurare per travisamento della prova, atteso che il collaboratore C. (valorizzato dalla Corte di appello ai fini del riscontro alle dichiarazioni del M. che aveva coinvolto il P. nel furto di una ruspa ai danni di tale L.G.) si era limitato ad affermare che, successivamente alla consumazione del furto, A.R. (figlio di G.) aveva incaricato il P. per andare a buttare le parti residue della stessa ruspa; erroneamente, perciò, la Corte territoriale aveva ritenuto che tale episodio fosse dimostrativo della partecipazione del P. al furto e costituisse riscontro alle dichiarazioni del M. mentre, in realtà, l’intervento del ricorrente era stato relativo ad un "post factum" privo di rilievo;

– che le accuse del M. riguardo al coinvolgimento del P. in una rapina in villa e in una vicenda di occultamento di armi e di favoreggiamento di un latitante, non avevano ricevuto adeguato riscontro dal collaborante B., risultato vago sul secondo episodio e non convergente con il M. sul primo;

– che, difatti, per nessuno di questi reati era stata iniziata l’azione penale contro il P.;

2)- la sentenza era comunque da censurare per avere ritenuto di ricavare da tali elementi la prova in ordine alla partecipazione del P. all’associazione per delinquere "Cosa Nostra" mentre, al più, gli stessi elementi potevano essere dimostrativi di un legame con il singolo associato, A.G., mancando del tutto la prova della volontà da parte del ricorrente di fornire un apporto causale e diretto all’organizzazione;

CHIEDE l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

I motivi proposti sono totalmente infondati.

Invero il ricorrente propone interpretazioni alternative delle prove già analizzate in maniera conforme dai giudici di primo e di secondo grado, richiamando una diversa valutazione delle dichiarazioni dei testi che risultano vagliate dalla Corte di appello, con una sequenza motivazionale ampia, analitica e coerente con i principi della logica, sicchè non risulta possibile in questa sede procedere ad una rivalutazione di tali elementi probatori senza scadere nel terzo grado di giudizio di merito.

La Corte di appello ha indicato il percorso logico-motivazionale per il quale ha ritenuto provata la penale responsabilità dell’imputato, indicando in maniera chiara gli elementi probatori individuati a tale fine ed osservando:

– che il P. era colpito da "plurime dichiarazioni accusatorie provenienti da vari collaboranti";

– che i predetti (in appresso esaminati) risultavano intrinsecamente credibili per avere operato "nel medesimo contesto territoriale e criminale in cui ha agito l’odierno appellante";

– che le dichiarazioni accusatorie di M.G. attribuivano al P. il ruolo di "prestanome della famiglia di A. di San Cipirello" nella disponibilità di A. G. e Ag.Gr., operando nel settore stradale per conto e nell’interesse di A.G.;

– che tali dichiarazioni erano state riscontrate:

a)- dal collaborante B.G., che ha descritto l’apporto fornito dal P., – sia nella rapina consumata in una villa di (OMISSIS) per punire il titolare che non voleva pagare il pizzo e per la quale il P. aveva fornito un autocarro dopo che il B. ne aveva fatto richiesta a A.R., e – sia nel furto di una ruspa, delitto commesso dal M. in concorso con B.E., C.V. ed altri, oltre che al medesimo P.;

b)- dal collaborante L.R.G. e dalla parte offesa L. G., che avevano rispettivamente confermato il coinvolgimento del P., nella vicenda della rapina e del furto;

c)- dai collaboranti B.E. (fratello di B.G.) e C.M., che avevano descritto il P. come persona di fiducia dei fratelli A. precisando, il primo:

– che il ricorrente curava la campagna e faceva lavori per conto dei predetti fratelli ed il secondo: – che il ricorrente aveva curato la latitanza di A.G.;

d)- dal collaborante B.G. che, oltre agli episodi di cui sopra, aveva precisato che il P. aveva fornito un suo documento per agevolare la latitanza del capomafia Ma.

G., documento (patente di guida) che, infatti, era stato trovato in occasione dell’arresto del Ma. il 6.03.1979.

Si tratta di un contesto motivazionale legittimamente fondato sulle dichiarazioni di vari collaboranti: – che vengono congruamente dichiarati credibili per avere partecipato attivamente al contesto criminale del quale parlano, dal quale ricavano un patrimonio conoscitivo comune, derivante da un flusso circolare di informazioni attinenti a fatti di interesse comune per gli associati. (Cassazione penale, sez. 1, 13 marzo 2009, n. 15554) e: – che la Corte di appello correttamente ritiene attendibili perchè ciascuno riscontrato da dichiarazioni convergenti di altri collaboranti (come gli episodi della rapina in villa e del furto della ruspa) ed anche perchè narrano episodi riscontrati: – da circostanze di fatto oggettive (come il rinvenimento della patente di guida del P. in occasione dell’arresto del Ma.) – da testimonianze di parti lese (come le dichiarazioni di L.G. riguardo al furto della ruspa) – dalle parziali ammissioni dello stesso P. (come nel caso dell’episodio del furto della ruspa).

E’ noto che in tema di valutazione del materiale probatorio, ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 3, le dichiarazioni rese da quelli che legittimamente possono essere definiti collaboratori di giustizia, hanno valore di prova, ove il giudizio sulla loro efficacia probatoria derivi dall’esame della attendibilità intrinseca del referente, nonchè dall’esistenza di riscontri esterni; riscontri che possono venire da qualsiasi altro elemento di prova, di qualsivoglia tipo e natura, idoneo a confermare l’attendibilità. Cassazione penale. sez. 1, 20 febbraio 1996, n. 3070.

Il ricorrente censura la sentenza per travisamento del fatto, osservando che le dichiarazioni di C. e di L.G. non erano dimostrative dell’effettiva partecipazione del P. al furto ma riguardavano il suo intervento in un momento successivo, ma si tratta di una censura che non coglie nel segno atteso che, lungi dall’individuare un travisamento del fatto, censurano la valutazione del fatto e trascurano di considerare che la sentenza impugnata non intende ricavare da tali dichiarazioni la prova della diretta partecipazione del P. ai reati ma il diverso aspetto del riscontro che dagli episodi viene alle dichiarazioni accusatorie dei collaboranti sul coinvolgimento del prevenuto in tali condotte criminose.

Al riguardo occorre sottolineare come in tema di sindacato del vizio della motivazione, la Corte di Cassazione non può fornire una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione di merito, nè può stabilire se questa propone la migliore ricostruzione delle vicende che hanno originato il giudizio, ma deve limitarsi a verificare se la giustificazione della scelta adottata in dispositivo sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento. Cassazione penale, sez. 4, 29 gennaio 2007, n. 12255.

Da tali principi emerge la correttezza ed incensurabilità della motivazione impugnata laddove sottolinea che la molteplicità degli episodi evidenzia il supporto che il P. ha reso al Ma., al B., all’ A., nelle loro attività di esponenti mafiosi delle famiglie e del mandamento cui: "ha garantito nel tempo affidabilità e sicurezza, ed ha fornito un contributo concreto e rilevante all’intera associazione mafiosa" dimostrando in tal modo sia "la consapevolezza della partecipazione al sodalizio" e sia "la conservazione e rafforzamento dell’organizzazione criminale".

Si tratta di un passaggio motivazione particolarmente incisivo al fine di contrastare la tesi difensiva – ribadita nei motivi di ricorso – per la quale l’attività del P. andrebbe relegata nell’ipotesi minore del favoreggiamento ovvero del semplice legame con un singolo associato, tesi difensiva che la Corte di appello respinge osservando, in conformità alla costante giurisprudenza, (Cassazione penale, sez. 6, 08/10/2008, n. 40966) che le ipotesi difensive presuppongono un apporto episodico fornito dopo la consumazione del reato, laddove nella specie vi era la prova di una generale disponibilità a ruoli di supporto attivo nella consumazione di una serie di episodi delittuosi connotati tutti dalle finalità e metodologie mafiose.

Nè può trovare accoglimento la censura di illogicità della motivazione, rinveniente dalla circostanza che per nessuna delle condotte criminose attribuite al ricorrente sia sorto un processo a carico dell’imputato, essendo noto il principio per il quale l’affermazione di responsabilità per il reato di associazione a delinquere non presuppone necessariamente la commissione dei reati- fine, essendo sufficiente la prova degli altri elementi del reato associativo. (Cassazione penale, sez. 2, 23/04/2010, n. 19702).

Così, infine, deve respingersi il motivo con il quale si deduce l’illogicità della motivazione per non avere considerato le risultanze della procedura relativa alle misure di prevenzione, risoltasi in senso favorevole all’imputato, atteso che del tutto correttamente, la Corte di appello ha sottolineato l’autonomia dei due giudizi e, nel contempo, anche la sufficienza degli elementi probatori raccolti ed evidenziati nel presente procedimento, con specifico riferimento anche all’aspetto patrimoniale ed all’origine indimostrata dello stesso, in linea con la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità. (Cassazione penale, sez. 5, 11/07/2006, n. 40731).

Segue il rigetto del ricorso.

Ai sensi dell’art. 592 c.p.p., comma 1, e art. 616 c.p.p. il rigetto o la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione proposta dalla parte privata comportano la condanna di quest’ultima al pagamento delle spese del procedimento. Cassazione penale, sez. 6, 03 giugno 1994.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *