Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 20-01-2011) 01-04-2011, n. 13378 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

corso.
Svolgimento del processo

1. Avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, che ha rigettato l’appello dell’indagato volto ad ottenere la revoca o sostituzione della misura cautelare in carcere, ricorre il D.M., chiedendo l’annullamento del provvedimento e deducendo a motivo la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) per vizio della motivazione avendo il Tribunale affermato, in linea con la sentenza di questa Corte n. 305/2006, che la presunzione di pericolosità, nel caso di partecipazione ad organizzazione criminale, può essere vinta solo dalla prova che l’associato ha stabilmente rescisso i legami con l’organizzazione così ritenendo imperante l’esigenza di cautela anche se nella realtà è mancata una valutazione sulla necessità oggettiva di tale cautela.

1.2 La motivazione non tiene conto delle deduzioni difensive, rappresentate in appello, che in particolare, hanno evidenziato la lontananza nel tempo del reato contestato, l’età avanzata dell’indagato e le condizioni di salute precarie dello stesso.

1.3 Quest’ultimo, inoltre, aveva chiesto gli arresti domiciliari da scontare il luogo distante da quello ove era stato consumato il reato in modo da evitare all’origine ogni possibilità di reiterazione dei reati.

1.4 Si duole infine, l’indagato che nel caso del coimputato P. R. il Tribunale ha applicato un diverso principio valutativo anche se le due situazioni processuali sono del tutto simili.
Motivi della decisione

2. Il ricorso non è fondato.

2.1 L’art. 275 c.p.p., comma 3 prescrive che la custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata e che "quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all’art. 416 bis c.p. o ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto art. 416 bis c.p. ovvero alfine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari". 2.2 La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che, in forza della disposizione in esame, la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per i delitti sopra indicati giustifica l’applicazione della più grave misura cautelare, considerata, ope legis. l’unica adeguata alle esigenze cautelari riconducibili alla commissione dei suddetti delitti, pertanto la presunzione legale di pericolosità può ritenersi superata soltanto in presenza di concreti e specifici elementi in base ai quali risulti dimostrata l’insussistenza di qualsiasi periculum in libertate (Cass., Sez. 2, 28 gennaio 1994, La Delia e altri; Cass., Sez. 1, 6 ottobre 1993, P.M. in proc. Mazzucchi e altri; Cass., Sez. 1, 9 giugno 1993, Franco).

2.3 Tale linea interpretativa è stata avallata dalle Sezioni Unite, le quali hanno riconosciuto che, ricorrendo gravi indizi di colpevolezza per il delitto di associazione di stampo mafioso, deve essere senz’altro applicata la misura della custodia cautelare in carcere, senza necessità di accertare le esigenze cautelari, che sono presunte per legge, sicchè al giudice di merito incombe solo l’obbligo di dare atto dell’inesistenza di elementi idonei a vincere tale presunzione, mentre l’obbligo della motivazione diventa più rigoroso nell’ipotesi in cui l’indagato abbia posto in evidenza elementi idonei a dimostrare l’insussistenza di esigenze cautelari, dovendosi allora addurre o, quanto meno, dedurre gli elementi di fatto sui quali la prognosi positiva può essere fatta (Cass., Sez. Un., 5 ottobre 1994, Demitry).

2.4 In piena coerenza con tali posizioni, è stato ripetutamente precisato che nei confronti di un indagato per il delitto associativo ex art. 416 bis c.p. la presunzione di pericolosità, sociale, che, a norma dell’art. 275 c.p.p., comma 3 impone la misura della custodia cautelare in carcere, può essere superata soltanto quando risulti dimostrato che l’associato ha definitivamente rescisso i suoi legami con l’organizzazione criminosa (Cass., Sez. 6, 28 marzo 1996, Frascati; Cass., Sez. 1, 8 febbraio 1995, Bonventre).

2.5 Nel caso di specie, il tribunale ha uniformato la propria decisione non solo ad una interpretazione corretta dell’art. 275 c.p.p., comma 2 ma anche all’analisi degli elementi che la difesa ha offerto per superare la presunzione e che, essendo del tutto diversi dalla rigorosa prova di rescissione di ogni contatto con il consorzio criminale di appartenenza, non hanno convinto il Tribunale che con conseguente coerente e organica valutazione delle risultanze processuali, ha ritenuto che mancano gli elementi dai quali desumere che la presunzione doveva considerarsi superata.

2.6 Il procedimento logico del Tribunale non mostra evidenti segni di illogicità ed è del tutto aderente alla giurisprudenza di legittimità; a nulla rileva poi che in un caso che si pretende analogo la decisione del Tribunale sia stata diversa perchè nella giurisdizione ordinaria non vale il principio di segno amministrativo che impone l’adeguamento ad unicità di indirizzo e gestione dei casi simili.

3. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, il ricorrente che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento. Inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter – che copia della stessa sia trasmessa al Direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal cit. art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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