Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 20-01-2010) 01-04-2011, n. 13381 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Preliminarmente va dato atto che è pervenuta una missiva dell’avvocato Marco Di Dio Datola, che, nel dare atto di aver ricevuto la notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale quale difensore di fiducia di S.S., puntualizza di non essere l’autore del ricorso perchè da tempo revocato quale difensore di fiducia. La revoca della nomina, peraltro, non risulta comunicata alla Corte e di conseguenza è del tutto regolare l’avviso fatto al predetto difensore.

1.1. Nel merito, va rilevato che il Tribunale del riesame di Caltanisetta, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha confermato l’ordinanza genetica della misura custodiale del GIP di quel Tribunale, datata 12.05.2010, a carico di S.S. per il reato di cui agli artt. 110 e 416 bis c.p. (concorso esterno in associazione mafiosa denominata "Cosa Nostra").

Nel provvedimento il Tribunale, dopo aver dato atto che in Enna doveva ritenersi ancora operante un’ articolazione territoriale di "Cosa Nostra" contraddistinta dalla rigida ripartizione di ruoli, ha messo in rilievo la partecipazione alla stessa di S.G. e D.M.I., come referenti del capo Se.Sa., e il ruolo di concorrenti esterni di S.S. e del fratello S.P..

In particolare il Tribunale ha evidenziato gli elementi che di tale concorso esterno qualificano sia gli aspetti oggettivi che quelli soggettivi, evidenziando, per i primi, grave indizio di colpevolezza l’aver coadiuvato nella gestione di una bisca per il gioco d’azzardo prima suo fratello G., intraneo nella cellula territoriale, capeggiata da Se.Sa., come referente di quest’ultimo nella gestione del gioco d’azzardo e, successivamente, D.M. I..

1.2 Avverso tale ordinanza ricorre, in proprio, l’indagato chiedendo l’annullamento dell’ordinanza e lamentando il vizio di violazione di legge e di illogicità della motivazione perchè a suo carico vi sarebbero unicamente le intercettazioni telefoniche delle sue conversazioni con il fratello G., conversazioni, comunque (assai limitate di numero e di scarso valore probatorio in ordine sia all’elemento oggettivo sia all’elemento soggettivo del reato contestatogli. Proprio tale elemento contraddittorio,già posto in luce nel riesame, non è stato preso in considerazione dal Tribunale che così ha reso una motivazione contraddittoria sul punto. La motivazione sarebbe inoltre illogica perchè individua nella collaborazione ai singoli associati, il fratello G. e D. M.I., la condotta illecita di supporto all’associazione mafiosa nella gestione dell’attività illecita di gioco che a quest’ultima fa capo. Sicchè non viene individuato il contributo conservativo o rafforzativo all’associazione senza il quale quest’ultima no poteva raggiungere i suoi scopi e comunque manca la prova della consapevolezza dello S. di agevolare con la propria condotta la gestione dell’attività illecita dell’associazione.

1.3. Anche la motivazione sulle esigenze cautelari è carente perchè si rifà alla presunzione di legge senza tener conto degli elementi favorevoli individualizzanti della specifica situazione dell’indagato che consentivano una valutazione più favorevole per quest’ultimo.

1.4 Infine la motivazione delle richieste di autorizzazione alle intercettazioni telefoniche formulate dal P.M., sarebbe carente sotto il profilo dei gravi indizi.

MOTIVI DELLA DECISIONE 2. Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, perchè propone censure attinenti al merito della decisione impugnata, che è invece congruamente motivata sia in ordine alla sussistenza degli elementi gravemente indizianti sia in ordine alla loro ben specifica collocazione nell’ambito di una condotta di concorso esterno in associazione mafiosa. Per contro il contenuto del ricorso, si sostanzia in una prospettazione e valutazione alternativa degli elementi di prova raccolti, senza che le censure riescano ad individuare quei vizi propri della motivazione che giustificano l’intervento di questa Corte di legittimità. 2.1 E’ principio giurisprudenziale stabile e ripetuto che, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione, come nel caso di specie, sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 4A sent. n. 47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5A sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez, 2A sent, n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955). Il Tribunale del riesame fornisce una motivazione esaustiva, logica e non contraddittoria sulla sussistenza dei gravi indizi di cui all’art. 273 c.p.p.. Il Giudice di merito ricava questi gravi indizi – dopo aver ricostruito la storia processuale dell’associazione mafiosa – dal contenuto di intercettazioni. Nè l’interpretazione data dal Tribunale alle suddette intercettazioni, è affetta dalle contraddizioni e illogicità lamentate dal ricorrente, che in realtà propone solo un’altra e diversa interpretazione . Il Tribunale del riesame nell’affrontare, analiticamente, tutte le censure proposte dalla difesa – che sostanzialmente costituiscono le stesse doglianze contenute nell’odierno ricorso – rileva correttamente gli elementi caratterizzanti della vicenda.

2.3 Il ricorso, per contro, prospetta un lettura alternativa delle conversazioni intercettate e prospetta la mancanza di motivazione nella richiesta di intercettazione telefonica in modo assolutamente generico perchè non indica, nello specifico (i singoli atti che intende criticare. Entrambi i motivi sono, pertanto, generici e tali da non consentire, ai sensi degli artt. 581 e 591 c.p.p., il vaglio di questo Corte per inammissibilità dell’impugnazione.

2.4 Anche sotto il profilo delle esigenze cautelari il ricorso è manifestamente infondato attesa la non praticabilità di altre misure,ex lege, in forza del titolo del reato ascritto ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 3 e l’assenza, a tale riguardo, di qualsivoglia elemento prospettato dal ricorrente, che sia idoneo a superare la presunzione di pericolosità sociale stabilita dalla richiamata normativa.

3. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti; inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal citato art. 94, comma 1 bis.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla cassa delle ammende. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *