Cons. Stato Sez. VI, Sent., 29-03-2011, n. 1885 Equo indennizzo Rapporto di pubblico impiego

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il sig. T. riferisce di aver prestato servizio in qualità di bidello di ruolo presso la scuola media statale di Teulada dal 1976 al 1985 e che con istanza in data 2 maggio 1985 ebbe a presentare al Provveditorato agli Studi di Cagliari domanda volta al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di una grave patologia da lui contratta (‘cardiopatia ischemica’), ai fini del riconoscimento delle provvidenze di cui all’art. 68 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3.

La Commissione medicoospedaliera presso l’Ospedale militare di Cagliari (d’ora innanzi: "la C.M.O.’) sottoponeva l’appellante a visita in data 13 giugno 1986, concludendo per la possibilità di ricondurre la patologia in questione ad una genesi riferibile all’attività lavorativa svolta.

Il Provveditorato chiedeva, quindi, il prescritto parere al Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie (d’ora innanzi: "il C.P.P.O.’) il quale, con atto in data 7 ottobre 1987, esprimeva parere negativo in ordine alla richiesta di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della richiamata patologia.

Conseguentemente, il Provveditorato respingeva l’istanza del sig. T. con provvedimento in data 28 febbraio 1990.

Il provvedimento negativo veniva impugnato dall’odierno appellante con un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, accolto con decisione del 14 giugno 1993

Dal parere reso dal Consiglio di Stato, emerge che l’annullamento è stato disposto per non avere l’amministrazione motivato il provvedimento reiettivo, anche in considerazione della diversità di valutazion fra la C.M.O. e il C.P.P.O.

Il Provveditorato agli studi di Cagliari chiedeva quindi il parere dell’Ufficio medico legale presso il Ministero della Sanità, il quale (con atto in data 20 aprile 1995) esprimeva parere contrario, osservando che nell’attività lavorativa svolta dal dipendente non fosse rilevabile uno stress psicoemotivo che, per quantità e qualità, potesse assurgere a fattore concausale efficiente e determinante nell’insorgenza del’infermità cardiaca.

Conseguentemente, il Provveditorato respingeva nuovamente l’istanza proposta dal dipendente facendo rinvio, per quanto attiene la motivazione del rigetto, alla posizione espressa dall’organo ministeriale.

Col ricorso di primo grado n. 914 del 1998, il provvedimento in questione veniva impugnato dal sig. T. dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna il quale, con la sentenza oggetto del presente gravame, respingeva l’impugnativa, rilevando che:

– il decreto presidenziale di annullamento del primo provvedimento di diniego (quello risalente al 1990) era stato disposto solo con riguardo alla diversità di valutazioni fra la C.M.O. e il C.P.P.O., lasciando per il resto intatto il potere valutativo dell’Amministrazione, che non era certamente vincolata a riconoscere senz’altro il richiesto beneficio;

– il secondo provvedimento di rigetto (quello del marzo 1998) risultava congruamente motivato (sia pure per relationem) con riferimento al giudizio espresso dall’Ufficio medico legale del Ministero della Sanità;

– che il giudizio in questione, caratterizzato da rilevanti profili di discrezionalità tecnica, non fosse viziato da alcun profilo di palese irragionevolezza.

La sentenza del TAR veniva gravata in sede di appello dal sig. T., il quale ne chiedeva l’integrale riforma articolando un unico articolato motivo di doglianza (Eccesso di potere per sviamento di potere ed elusione di giudicato – erronea o insufficiente istruttoria, ingiustizia manifesta, motivazione insufficiente, perplessa, contraddittoria ed incongrua).

Si costituiva in giudizio il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, il quale concludeva nel senso della reiezione del gravame.

All’udienza pubblica del giorno 1° febbraio 2011, la causa veniva trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto da un dipendente del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna n. 161 del 2005, con cui è stato respinto il ricorso n. 914 del 1998 avverso il decreto del Provveditore con cui era stato negato il riconoscimento della dipendenza da causa di sevizio di una grave patologia contratta dall’appellante.

2. Con le sue articolate censure, l’appellante lamenta che il provvedimento in data 18 marzo 1998 (con il quale l’amministrazione aveva negato per la seconda volta il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della grave patologia contratta dopo che un primo diniego risalente al 1990 era stato annullato in sede di ricorso straordinario) risulterebbe insanabilmente viziato per elusione del dictum rinveniente da una precedente decisione del Presidente della Repubblica, che ha annullato un primo diniego, emesso sulla sua originaria istanza.

Al riguardo l’appellante lamenta che la sentenza in epigrafe sarebbe erronea laddove ha affermato che la decisione straordinaria di annullamento avesse annullato il primo diniego soltanto per ragioni connesse al vizio motivazionale.

Ma se così fosse – soggiunge l’appellante – anche il secondo provvedimento di diniego risulterebbe affetto da carenza di motivazione. Ciò in quanto se – per un verso – il provvedimento in questione fa rinvio per relationem all’avviso espresso dall’Ufficio medico legale presso il Ministero della Sanità in data 20 aprile 1995, per altro verso il medesimo provvedimento avrebbe ancora una volta omesso di esplicare le ragioni per cui l’amministrazione non avrebbe tenuto in considerazione l’originario avviso espresso nel 1986 dalla C.M.O., la quale aveva ritenuto la dipendenza da causa di servizio della patologia contratta.

Ed ancora, ad avviso dell’appellante, il giudizio espresso dall’amministrazione (e ritenuto congruo dal T.A.R.) avrebbe omesso di considerare:

– la nota a firma del Preside dell’istituto, il quale aveva affermato di non poter escludere un nesso di causalità con la patologia contratta;

– l’effettiva sottoposizione dell’appellante a mansioni ed attività (es.: lo spostamento di banchi, nella sua qualità di bidello presso una scuola media) la cui specifica gravosità era certamente idonea ad agire come fattore concausale nell’eziopatogenesi della malattia in questione.

2. L’appello in esame non può trovare accoglimento, in quanto l’impianto logico e motivazionale su cui si sorregge la sentenza gravata resiste alle censure mosse dall’appellante.

2.1. Si osserva in primo luogo al riguardo che la sentenza del TAR risulta condivisibile laddove afferma che la decisione del Presidente della Repubblica di annullamento del primo provvedimento di diniego era stato adottato solo in relazione al difetto di motivazione per ciò che riguardava la diversità fra i giudizi espressi dalla C.M.O. e dal C.P.P.O..

Al contrario, in nessun modo il contenuto conformativo della decisione straordinaria (come desumibile dal parere del Consiglio di Stato) deponeva nel senso della doverosità dell’accoglimento dell’stanza, risultando gli obblighi in questione limitati alla sola riedizione del potere valutativo.

2.2. Si osserva in secondo luogo che il giudizio espresso dall’Ufficio medico legale del Ministero della Sanità (giudizio al quale ha fatto rinvio per relationem il provvedimento in data 18 marzo 1998, secondo una modalità operativa comunque ammessa dal comma 3 dell’articolo 3, l. 7 agosto 1990, n. 241) espone in modo dettagliato le ragioni per cui, alla luce del pertinente quadro scientifico di riferimento, dovesse escludersi ogni relazione causale fra la tipologia del servizio prestato e la tipologia di affezione maturata dall’appellante.

In particolare, l’Ufficio Medico Legale ha chiarito, con dovizia di argomenti:

– che lo stress lavorativo può assurgere al ruolo di fattore di rischio di consistente importanza medicolegale solo quando l’individuo espleta per lungo tempo e un modo continuativo mansioni che comportino responsabilità decisionali con diretto rischio personale e/o elevata tensione emotiva. Tuttavia, il quadro descritto non era certamente configurabile nel caso dell’attività lavorativa svolta dall’odierno appellante, la quale, anche se caratterizzata dall’ordinario impegno fisico connesso alle mansioni, non ha presentato condizioni di stress emozionali le quali potessero – secondo un criterio quantitativo e qualitativo – comportare un aumento dell’attività simpatica cardiaca e quindi assurgere, in un soggetto psicologicamente ben strutturato, a fattore concausale efficiente e determinante nell’insorgenza della cardiopatia ischemica;

– che, perché un fattore eziopatogenico possa assumere il ruolo di causa o concausa efficiente e determinante, esso deve essere rinvenuto nell’ambito del servizio prestato con frequenza ed intensità morbigena decisamente maggiore rispetto alle comuni evenienze della vita. Tuttavia, l’Ufficio ministeriale osservava che "un ruolo etiopatogenetico rilevante, nel caso in esame, è stato svolto, non dal tipo di lavoro svolto, quanto dall’ipertensione arteriosa, condizione quest’ultima legata alla costituzione genetica e causata, secondo le più recenti teorie, da un’alterazione della pompa del sodio al livello della membrana del glomerulo renale".

2.3. Si osserva al riguardo:

– che, secondo un consolidato e qui condiviso orientamento giurisprudenziale, gli accertamenti sulla dipendenza da causa di servizio delle infermità dei pubblici dipendenti da parte degli organi a tanto preposti rientrano nella discrezionalità tecnica di tali organi, i quali pervengono alle relative conclusioni assumendo a base le cognizioni della scienza medica e specialistica, con la conseguenza che il sindacato giurisdizionale su detti giudizi sia ammesso esclusivamente nelle ipotesi di evidenti vizi logici, desumibili dalla motivazione degli atti impugnati, dai quali si evidenzi l’inattendibilità metodologica delle conclusioni cui è pervenuta l’Amministrazione (sul punto -ex plurimis -: Cons. Stato, IV, 8 giugno 2009, n. 3500; id, VI, 31 marzo 2009, n. 1889; id., VI, 23 marzo 2009, n. 1711);

– che l’avviso espresso dall’Ufficio Medico Legale del Ministero espone in modo compiuto le ragioni scientifiche e fattuali che hanno indotto ad escludere la dipendenza da causa di servizio della patologia contratta dall’odierno appellante;

– che il tenore dell’avviso espresso dal richiamato organo ministeriale esponesse in modo più che adeguato le ragioni per cui si era pervenuti a conclusioni diverse rispetto a quelle tracciate nel 1986 dalla C.M.O., la quale aveva affermato (con formulazione sintetica e sostanzialmente apodittica) che "il bidello in questione per motivi di servizio è stato sottoposto frequentemente a disagi e a fattori stressanti e che tali fattori agiscono come concausa preponderante nel determinismo dell’infermità cardiaca";

– che, comunque, un siffatto onere di motivazione (il quale, lo si ripete, era stato in concreto soddisfatto anche perché la divergenza di opinioni fra la C.M.O. e il C.P.P.O era stata espressamente richiamata nella nota del 3 dicembre 1993 con cui il parere ministeriale era stato richiesto) non rappresentava neppure un obbligo per l’organo statale chiamato ad esprimerlo. Ciò, in quanto – secondo un condiviso orientamento giurisprudenziale – nel procedimento preordinato alla verifica dei presupposti per la liquidazione dell’equo indennizzo, la funzione assegnata al Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie è diversa da quella attribuita alle Commissioni mediche ospedaliere e non si configura come mera revisione del precedente giudizio sanitario da esse reso, fondandosi invece su ulteriori profili di complessiva valutazione tecnicoamministrativa, così che al Comitato, quando disattende il precedente giudizio, incombe non tanto uno specifico e diffuso onere motivazionale, quanto, più semplicemente, l’obbligo di articolare il proprio parere su una concreta considerazione delle risultanze istruttorie e diagnostiche già scrutinate dalla Commissione (Cons. Stato, V, 28 maggio 2010, n. 3411; id., VI, 28 gennaio 2009, n. 481; id., IV, 30 maggio 2007, n. 2773).

Si tratta, come è evidente, di affermazioni e princìpi estensibili anche al rapporto fra i giudizi tecnicodiscrezionali resi dagli organi a tanto istituzionalmente deputati e il giudizio richiesto nel caso di specie – jussu judicis – all’Ufficio Medico Legale del Ministero della Sanità, al quale era evidentemente richiesta una sintesi massimamente autorevole in ordine ai discordanti avvisi sino a quel momento espressi sulla questione;

– che a conclusioni diverse rispetto a quelle sin qui tracciate non può pervenirsi neppure alla luce del contenuto della nota a firma del Preside dell’Istituto cui era addetto l’odierno appellante (il quale aveva attestato di non poter escludere che l’attività di spostamento dei banchi potesse aver costituito una concausa nell’insorgenza dell’infermità).

Si osserva al riguardo:

a) che la medesima nota aveva, altresì, attestato che il sig. T. era sempre stato adibito unicamente ai compiti propri della sua qualifica (ivi compreso quello relativo allo spostamento di banchi per le pulizie);

b) che il Preside dell’Istituto non ha formulato alcuna specifica valutazione di ordine sanitario, né ha ravvisato una sussistenza ictu oculi del nesso eziopatogenico, e neppure ha evidenziato uno svolgimento del servizio talmente gravoso o logorante, perché non ha richiamato circostanze particolari riguardanti eccezionali o comunque non usuali impegni o carichi di lavoro, ovvero attinenti alla salubrità dell’ambiente di lavoro, né ha fatto cenno a singoli episodi da tenere in considerazione per ritenere attendibili le deduzioni dell’interessato sulla particolare gravosità del suo lavoro;

c) che, comunque, l’esistenza del richiamato nesso (peraltro, affermata dal Preside in forma solo dubitativa) era stata esclusa dagli organi medicolegali con puntuali riferimenti alla situazione di fatto e alla pertinente letteratura scientifica.

3. Per le ragioni sin qui esposte, l’appello in epigrafe deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello n. 1422 del 2006, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante alla rifusione delle spese di lite che liquida in complessivi euro 300 (trecento), oltre gli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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