Cons. Stato Sez. V, 06-07-2010, n. 4313 IMPIEGO PUBBLICO

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo e motivi della decisione

I due appelli, proposti contro la stessa sentenza, devono essere riuniti.

La sentenza appellata, in accoglimento del ricorso proposto dalla Signora R.L., concorrente classificatosi al quinto posto della graduatoria di merito, ha annullato gli atti adottati dall’Ente provinciale per il turismo (EPT) di Benevento, concernenti la selezione interna per titoli e colloquio per la copertura di quattro posti di cat. D 1 – Funzionario (delibere 5 maggio 2005, n. 151, e 9 novembre 2005, n. 294, dell’Amministratore EPT di Benevento).

La decisione di primo grado, inoltre, ha annullato il regolamento per la disciplina delle progressioni verticali del personale dell’EPT di Benevento, nella parte in cui prevede la sola prova del colloquio, per la progressione dalla categoria C) alla categoria D), e nella parte in cui attribuisce il punteggio massimo disponibile di 20 punti per la valutazione dei titoli in ordine alla predetta progressione.

I due appelli, proposti separatamente da due dei soggetti controinteressati in primo grado (C.C. e M.R.S.), deducono il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e contestano, nel merito, l’accoglimento del ricorso.

L’appellata resiste al gravame, mentre l’amministrazione, costituitasi nei due giudizi di appello, ha articolato impugnazioni incidentali, di contenuto sostanzialmente analogo agli appelli principali. La Signora Scarinzi, a sua volta, ha riproposto la propria impugnazione anche nelle forme incidentali, nell’ambito del ricorso in appello formulato dalla Signora C..

Gli appellanti principali e incidentali, che possono essere esaminati congiuntamente, in ragione della loro sostanziale omogeneità, deducono, anzitutto, il difetto di giurisdizione amministrativa.

La censura è destituita di fondamento.

La pronuncia appellata ha richiamato il consolidato indirizzo espresso dalla Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. 15 ottobre 2003, n. 15403), secondo cui "considerato che mediante gli accordi collettivi stipulati nel comparto del pubblico impiego è stato previsto un sistema di inquadramento del personale articolato in aree o fasce, all’interno delle quali sono contemplati diversi profili professionali, si deve ritenere che le procedure che consentono il passaggio da un’area inferiore a quella superiore integrino un vero e proprio concorso, tali essendo anche le procedure che vengono denominate "selettive", qualunque sia l’oggetto delle prove che i candidati sono chiamati a sostenere" (in tal senso, Cass. Sez. Un., 18 maggio 2007, n. 11559; Cons. Stato, sez. VI, 22 ottobre 2008, n. 5184).

A dire del TAR, "nel caso di specie, si tratta appunto di una selezione volta ad attuare la "progressione verticale nel sistema di classificazione del personale dipendente, ai sensi dell’art. 4 del CCNL 31 marzo 1999", volta alla copertura di posti della cat. D e riservato ai dipendenti appartenenti alla cat. C, con anzianità di almeno 36 mesi nella predetta categoria.

Deve dunque affermarsi, alla luce dei principi richiamati, la giurisdizione del giudice amministrativo."

Le argomentazioni esposte dagli appellanti non sono persuasive, poiché, in linea di fatto, non emergono dubbi in ordine alla struttura concorsuale della procedura in contestazione.

La pacifica giurisprudenza delle Sezioni Unite, richiamata dalla sentenza appellata, riguarda proprio procedure di "progressioni verticali" analoghe, o identiche, a quella oggetto della presente controversia.

Non è quindi condivisibile l’affermazione degli appellanti, secondo la quale la giurisdizione amministrativa sussisterebbe solo per i concorsi interni che determinano il "passaggio" dall’area "non dirigenziale" a quella "dirigenziale".

D’altra parte, nella giurisprudenza citata, il riferimento alla progressione da un’"area" ad altra superiore non va inteso in senso letterale, ma va letto nel suo significato sostanziale, comprensivo di tutti i passaggi da una "fascia" di inquadramento ad altra, non limitata agli aspetti meramente economici dei diversi livelli in cui si articola, eventualmente, ogni profilo professionale e ogni "area".

L’aspetto novativo della vicenda, ripetutamente sottolineato dalla Cassazione, non è attenuato dalla circostanza che la progressione verticale sia disciplinata tenendo conto della pregressa appartenenza del dipendente alla stessa amministrazione. Questo dato potrebbe spiegare, fra l’altro, la previsione della contrattazione collettiva, secondo cui non è richiesto il superamento di un periodo di prova per la definitiva assunzione del personale selezionato attraverso il concorso interno. Del resto, la disciplina della prova non è decisiva per individuare la natura concorsuale della procedura selettiva. Né può trascurarsi che la nozione generale di novazione oggettiva del rapporto, utilizzata per qualificare la natura giuridica della "progressione verticale" da un’area ad altra superiore, pone in evidenza anche la possibile sussistenza di alcuni – a volte non trascurabili – collegamenti con il rapporto originario.

Pertanto, il motivo di impugnazione concernente l’asserito difetto di giurisdizione amministrativa, deve essere dichiarato infondato.

Gli appellanti sostengono, sempre in via preliminare, l’inammissibilità delle censure proposte contro il bando e contro il regolamento, non immediatamente impugnati.

Anche tale motivo è privo di pregio.

Al riguardo, è sufficiente richiamare i consolidati indirizzi interpretativi, secondo i quali l’onere di immediata impugnazione del bando di gara o di concorso sussiste solo nei casi in cui si intendano censurare clausole incidenti sulla partecipazione di determinati soggetti, o vi sia un interesse qualificato a contrastare la decisione dell’amministrazione di avviare una determinata procedura.

Nella vicenda in esame non sussistono le tassative rigorose condizioni individuate dalla giurisprudenza: il ricorso è pertanto ammissibile, ancorché le censure riferite al bando e al regolamento siano state proposte solo congiuntamente alla contestazione dell’esito della procedura selettiva.

Del resto, prima della conclusione del concorso, era impossibile prevedere se la disciplina del regolamento e del bando avrebbero effettivamente impedito alla ricorrente di primo grado di ottenere una posizione utile in graduatoria.

In questo senso, allora, non sono pertinenti le affermazioni delle parti appellanti, secondo cui la ricorrente di primo grado, partecipando al concorso, avrebbe fatto acquiescenza alle disposizioni generali che lo regolano: la successiva impugnazione del bando e del regolamento, insieme all’esito della procedura, rappresenterebbe una condotta di "mala fede", consistente nella tardiva messa in discussione di "regole del gioco" previamente accettate.

Né è esatto affermare, come sostenuto dagli appelli, che la ricorrente di primo grado non abbia rivolto alcuna specifica censura contro il bando e contro il regolamento.

Al contrario, dal complesso dell’atto introduttivo del ricorso di primo grado, si evince con certezza che l’oggetto della contestazione fosse proprio la disciplina generale della procedura concorsuale, definita dal regolamento e dal bando.

Ciò emerge dalla intestazione del ricorso e dalla sua narrativa. Proprio il fatto che il ricorrente affermi la "conformità" degli atti della procedura alle prescrizioni regolamentari evidenzia come le illegittimità denunciate si concentrassero puntualmente sugli atti generali presupposti.

In ogni caso, tutte le censure proposte muovono dalla contestazione delle scelte compiute dall’amministrazione in ordine alle modalità di svolgimento delle prove concorsuali, con riguardo all’elevato peso del punteggio previsto per il colloquio orale e alla mancanza di una prova scritta.

Sotto altro aspetto, ancora, gli appellanti deducono l’inammissibilità del ricorso di primo grado, per asserita contraddittorietà delle censure proposte.

La tesi è priva di pregio.

Il ricorso ha evidenziato l’illogicità del peso attribuito alla prova orale, sotto due distinti aspetti, niente affatto contraddittori. Da un lato, si è sostenuto che risulta sottovalutato il peso dei titoli; dall’altro, si è affermato che manca una prova scritta. Entrambi gli argomenti indicano l’irragionevole sopravalutazione della prova orale.

Non vi è alcun contrasto logico tra i motivi: secondo la prospettazione di parte ricorrente, il punteggio della prova orale deve essere più proporzionato a quello dei titoli e, inoltre, l’eccessivo peso della prova orale deriva anche dall’assenza di una prova scritta.

Nel merito, il Tar ha giudicato fondato il ricorso in relazione al dedotto vizio di eccesso di potere per irragionevolezza, attraverso un’attenta ricostruzione dei principi, anche di rango costituzionale, che devono governare le procedure concorsuali.

"Occorre, innanzi tutto, osservare che il bando di selezione interna prevede che la prova di esame consiste in un colloquio, cui è attribuito un massimo di punti 30 (art. 4); al punteggio della prova deve poi essere aggiunto il punteggio attribuito ai titoli, per un massimo di 20 punti, che il bando stesso (art. 5) provvede a ripartire.

La previsione del bando risulta conforme a quanto previsto dal regolamento per la disciplina delle progressioni verticali del personale (del. amm. n. 128/2005).

Orbene, appare evidente che una previsione del tipo ora descritto non assicura la piena attuazione dei principi di imparzialità e di buon andamento, sanciti dall’art. 97 Cost., e che devono naturalmente presiedere anche alle procedure di concorso, sia che queste ultime siano volte alla individuazione dei soggetti con i quali instaurare un rapporto di lavoro, sia in quanto volte alla instaurazione di un nuovo rapporto con chi è già dipendente, ma appartenente ad un’area (o simili) inferiore a quella alla quale, per effetto del concorso o selezione, accede.

Ed infatti, per un verso, né il regolamento né il bando prevedono una prova scritta, dove la sussistenza dell’anonimato del concorrente costituisce prima e fondamentale garanzia di imparzialità della Pubblica Amministrazione (e per essa, della Commissione esaminatrice).

Per altro verso, ed in presenza di una sola prova di selezione (il colloquio), il punteggio attribuibile ai titoli (che, in quanto predeterminato, quanto ai titoli valutabili ed ai criteri di valutazione, costituisce garanzia di imparzialità) risulta tale da potere incidere in misura limitata sull’esito del colloquio.

D’altra parte, se è" vero che, nell’ambito di un concorso, il punteggio attribuibile ai titoli non può essere superiore a 10/30 o equivalente (art. 8 DPR n. 487/1994), è altrettanto vero che tale proporzione presuppone una articolazione delle prove comprendente la prova scritta, quella orale e, se del caso, la prova pratica o teoricopratica.

In definitiva, una previsione di bando (e di regolamento) che attribuisce al colloquio una incidenza pari al 60% del punteggio attribuibile si pone in contrasto con i principi di imparzialità e buon andamento (principi che, come si è detto, in attuazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost., devono trovare applicazione quale che sia la tipologia di procedura competitiva), ed è quindi viziata da eccesso di potere per irragionevolezza, posto che non è idonea a salvaguardare la par condicio dei candidati, né consente la selezione dei soggetti più idonei secondo procedure obiettive.

Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento: a) del regolamento per la disciplina delle progressioni verticali del personale dell’EPT di Benevento, nella parte in cui prevede la sola prova del colloquio, per la progressione dalla categoria C) alla categoria D), e nella parte in cui attribuisce il punteggio massimo disponibile di 20 punti per la valutazione dei titoli in ordine alla predetta progressione; b) della delibera 5 maggio 2005, n. 151, e 9 novembre 2005, n. 294, dell’Amministratore EPT di Benevento".

Le censure prospettate al riguardo dagli appellanti non sono meritevoli di accoglimento.

Infatti, se è vero che, in base alla previsione dell’articolo 89 del testo unico degli enti locali, sussiste un notevole margine di discrezionalità delle amministrazioni nella definizione delle procedure di concorso, e, per certi aspetti, nelle opzioni relative alla distribuzione dei punteggi fra le diverse prove, devono essere comunque rispettati criteri ragionevoli e coerenti.

Altrettanto indiscutibile è l’affermazione di principio secondo la quale la normativa generale in materia concorsuale non stabilisce affatto una regola espressa che imponga, in modo assoluto e inderogabile, lo svolgimento di una prova scritta. Tuttavia, l’assenza di un puntuale obbligo per le amministrazioni pubbliche non significa nemmeno che esista uno spazio così ampio e aperto di opzioni applicative. L’imparzialità e il buon andamento rappresentano, in ogni caso, i canoni interpretativi da seguire nella definizione delle specifiche regole concorsuali in seno a ciascuna amministrazione.

Nel caso in esame, la sproporzione del punteggio attribuito alla prova orale è evidente, anche tenendo conto degli oggettivi rischi di violazione del principio di imparzialità, che potrebbero derivare dalla mancanza di anonimato nello svolgimento e nella valutazione dell’esame.

L’eventuale semplificazione della procedura selettiva, del resto, potrebbe essere spiegata e giustificata solo in relazione a quei profili professionali caratterizzati da requisiti particolarmente semplici, rispetto ai quali non emerga alcuna esigenza di verifica della capacità di elaborazione scritta, o per i quali siano scarsamente rilevanti i titoli di servizio e culturali precedentemente acquisiti dai candidati.

Nel caso di specie, la procedura selettiva in contestazione riguarda la progressione verticale verso un’elevatissima posizione della struttura dell’amministrazione, per la quale è certamente indispensabile una valutazione seria e approfondita di tutti gli aspetti della preparazione culturale e pratica degli aspiranti. Il solo colloquio orale non risulta idoneo ad assumere, nel contesto della procedura selettiva, un ruolo così decisivo ed assorbente.

Le parti appellanti osservano che, in concreto, la commissione esaminatrice ha attribuito ai candidati dei punteggi molto contenuti in relazione alle prove orali: le votazioni più alte si sono attestate sui valori di 25/30, mentre la ricorrente ha ottenuto il voto di 21/30. Pertanto, il reale peso del colloquio orale andrebbe determinato nel 50% del totale, a fronte del 60% indicato dalla sentenza appellata e dal ricorso di primo grado.

Neanche questo argomento risulta convincente. Infatti, l’illegittimità del regolamento deve essere valutata in funzione della irragionevolezza della disciplina prevista, anche prescindendo dagli effettivi esiti nella procedura selettiva. Oltretutto, non è possibile ipotizzare quale sarebbe stata la concreta distribuzione dei punteggi, qualora il regolamento avesse previsto anche lo svolgimento di una prova scritta. In ogni caso, poi, anche un’incidenza del colloquio orale pari al 50% rispetto al totale dei voti risulta inadeguata per garantire il rispetto dei principi di ragionevolezza e imparzialità. Nel caso in esame, poi, proprio il divario di punteggio tra i candidati, nell’ambito della prova orale, è risultato decisivo ai fini della formazione della graduatoria.

Senza dire, infine, che la prospettazione degli appellanti trascura di considerare come l’illogicità denunciata non riguardi solo il rapporto di proporzionalità tra i punteggi attribuiti alla prova orale e quelli concernenti i titoli professionali, ma concerna l’assenza di qualsiasi rilevanza di un’altra prova oggettiva, quale l’esame scritto.

È appena il caso di aggiungere che la circostanza, indicata dalla parte appellante, secondo cui tutti gli atti della procedura concorsuale "venivano concordati con le organizzazioni sindacali", valorizza senz’altro il rispetto di principi partecipativi nella formazione di regole incidenti sull’organizzazione del lavoro (peraltro, in un quadro normativo ora in via di superamento, per effetto delle tendenze verso una più rigorosa delimitazione delle materie in cui può svolgersi la contrattazione collettiva), ma non impedisce di riscontrare l’eventuale illegittimità degli atti impugnati in primo grado.

Per le stesse ragioni, poi, la affermata legittimità del regolamento dei concorsi non potrebbe derivare dalla sua asserita conformità alla previsione dell’articolo 4 del CCNL del 31 marzo 1999.

La conferma dei motivi accolti dal TAR rende irrilevante l’esame dell’ulteriore motivo articolato in primo grado dal ricorrente e dichiarato assorbito dalla sentenza impugnata, concernente la mancata attribuzione di 3 punti per titoli.

In definitiva, quindi, gli appelli principali e incidentali devono essere respinti.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, sezione Quinta, definitivamente pronunziando sui ricorsi meglio indicati in epigrafe, riunisce gli appelli e li respinge entrambi;

Respinge gli appelli incidentali;

Condanna le parti appellanti e principali, in solido tra loro, a rimborsare all’appellante le spese del grado, liquidandole in complessivi euro quattromila;

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2010 con l’intervento dei Signori:

Stenio Riccio, Presidente

Gianpiero Paolo Cirillo, Consigliere

Filoreto D’Agostino, Consigliere

Marco Lipari, Consigliere, Estensore

Roberto Chieppa, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *