Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 09-03-2011) 04-04-2011, n. 13563

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

– Che con l’impugnata sentenza, in riforma di quella di primo grado, con la quale F.A. era stata condannata alla pena ritenuta di giustizia per il reato di ingiurie in danno del fratello F. C., nonchè al risarcimento dei danni in favore di quest’ultimo, nella misura simbolica di un Euro, fu dichiarato non doversi procedere a carico dell’imputata in ordine al suddetto reato per intervenuta prescrizione, confermando tuttavia le statuizioni civili;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, con atto a propria firma, l’imputata, denunciando:

1) violazione di legge per non essere stata rilevata la tardività della querela, siccome proposta circa due anni dopo la data nella quale la lettera a firma dell’imputata, contenente le espressioni asseritamente ingiuriose nei confronti del fratello, era pervenuta all’avvocato Naseddu, che difendeva i di lui interessi in una controversia ereditaria;

2) vizio di motivazione per non essere stata giustificata, a fronte delle specifiche deduzioni difensive, la ritenuta valenza offensiva delle espressioni contenute nella lettera in questione, con le quali l’imputata – si afferma – altro non aveva fatto se non lamentarsi, in termini sobri e pacati, del comportamento scorretto posto in essere dal fratello che, nella sua qualità di avvocato, l’aveva indotta ad aderire ad una causa che sapeva destinata all’insuccesso, venendo poi meno all’impegno di lasciarla comunque indenne da ogni spesa in caso di soccombenza;

3) vizio di motivazione per essere stata apoditticamente ritenuta, nella situazione sopradescritta, la sussistenza anche dell’elemento soggettivo del reato;

4) vizio di motivazione, ancora, per essere stata ritenuta la sussistenza del reato senza considerare che la condotta posta in essere dall’imputata, oltre a non aver prodotto alcun comprovato danno al prestigio professionale del querelante (contrariamente a quanto da quest’ultimo sostenuto), sarebbe stata comunque giustificata come espressione di legittima critica a fronte del comportamento da lui tenuto, ragionevolmente ritenuto censurabile;

– che il ricorso, già assegnato alla sez. 7^ penale di questa Corte, ai sensi dell’art. 610 c.p.p., è stato poi restituito a questa sezione a seguito di memoria difensiva con la quale, oltre a ribadire le censure già espresse nell’originario atto di gravame, si sosteneva che la pretesa tardività della querela, ancorchè non dedotta nei motivi d’appello, sarebbe stata tuttavia deducibile e rilevabile in questa sede, ai sensi dell’art. 129 c.p.p..
Motivi della decisione

– Che il ricorso non appare meritevole di accoglimento, in quanto:

a) con riguardo al primo motivo, pur dovendosi convenire, in linea di principio, circa la rilevabilità anche per la prima volta in sede di legittimità del difetto di tempestiva querela, trattandosi di ipotesi rientrante fra quelle previste dall’art. 129 c.p.p., comma 1, ciò non significa, tuttavia, che nel caso di specie detto difetto possa essere riconosciuto, dal momento che esso viene prospettato, nel ricorso, sulla sola base, in sostanza, dell’assunto secondo il quale non sarebbe stato credibile quanto sostenuto dal querelante secondo cui, pur avendo l’Avv. Naseddu (successivamente deceduto) ricevuto la lettera dell’imputata al più tardi il 22 maggio 1998, esso querelante ne avrebbe avuto notizia soltanto alla fine del mese di marzo dell’anno 2000, per cui la querela, presentata il 22 giugno 2000, sarebbe stata tempestiva; assunto, quello anzidetto, che si basa, con ogni evidenza, su di una valutazione di inattendibilità del tutto soggettiva ed opinabile, alla quale, pertanto, non può attribuirsi, in questa sede, rilievo alcuno, implicando essa la formulazione di un giudizio di merito del tutto estraneo alle funzioni di questa Corte;

b) con riguardo agli altri motivi, i denunciati vizi di motivazione, oltre a non essere deducibili, come tali, ai fini di una eventuale applicazione dell’art. 129 c.p.p., in presenza di una già maturata e dichiarata causa di estinzione del reato costituita dalla prescrizione (ved., per tutte, Cass. 6, 29 maggio – 30 ottobre 2008 n. 40570, Di Venere, RV 241317), non appaiono neppure riconoscibili, con ogni evidenza, ai limitati fini di cui all’art. 578 c.p.p., dal momento che la denuncia altro non fa se non ripercorrere le linee dei motivi d’appello già esaminati dalla corte di merito e più che ragionevolmente ritenuti non meritevoli di accoglimento, alla luce essenzialmente del fatto, del tutto pacifico, che nella missiva in questione l’imputata accusava esplicitamente il fratello di un vero e proprio reato, quale è quello di patrocinio infedele (il che, all’evidenza, non può non costituire ingiuria), e non è risultato in alcun modo dimostrato che tale accusa, al di là degli asseriti convincimenti nutriti dall’imputata, avesse un oggettivo o comunque plausibile fondamento;

– che la ritenuta infondatezza del ricorso comporta la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchè alla rifusione di quelle sostenute nel grado dalla parte civile, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchè alla rifusione di quelle sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate in Euro 1440,25, di cui Euro 1.300,00 per onorari, più accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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