Cons. Stato Sez. V, 06-07-2010, n. 4312 GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

A) – La sentenza di primo grado aveva rigettato il ricorso della Casa di cura C.R. s.p.a., proposto per ottenere, ex art. 35, d.lgs. 31.3.1998, n. 80, e s.m.i., il risarcimento del danno asseritamente derivante dalla delib. n. 278 adottata dalla ex U.s.l. 37 (ora A.s.l. Napoli 1) della Campania in data 28.4.1993, la quale aveva dichiarato risolto il rapporto di convenzionamento in essere tra la Casa di cura e il S.s.n., ai sensi dell’art. 44, legge n. 833/1978, ma era poi stata dichiarata illegittima ed annullata, in via definitiva, con decisione di questo Consiglio di Stato, sezione V, n. 2755/2005, resa il 30.5.2005 ed assunta dall’appellante come presupposto dell’azione risarcitoria.

Tale pronuncia aveva accertato l’illegittimità del provvedimento, rilevando la sussistenza della responsabilità delle appellate nei confronti della Casa di cura ed evidenziando come l’illegittimità della nota di risoluzione del rapporto da parte dell’U.s.l. andasse valutata "sulla base dei principi di correttezza e buona fede che sovrintendono a qualunque rapporto convenzionale e che devono permeare il comportamento dei contraenti… la circostanza che il rapporto intercorrente tra l’Istituto Clinico e il S.s.n. vada inquadrato nell’ambito delle concessioni di pubblico servizio, con la conseguenza che in forza di un tale atto la p.a. viene a trovarsi in una posizione particolare e privilegiata rispetto all’altra parte in quanto dispone, oltre che dei diritti e della facoltà che nascono comunemente dal contratto accessivo al provvedimento concessorio, dei pubblici poteri che derivano direttamente dalla necessità di assicurare il pubblico interesse in quel particolare settore cui inerisce la concessione, non può inficiare il richiamo al principio di correttezza di cui all’art. 1175, c.c., al quale devono essere improntati i rapporti tra le parti, e non introduce elementi di natura tipicamente privatistica, ove si consideri che anche l’azione della pubblica amministrazione dev’essere svolta nel rispetto delle regole di correttezza e trasparenza (cfr. C.S., sez. IV, dec. 13 luglio 2000 n. 3910)…La causa risolutiva da parte dell’amministrazione non può essere individuata in una dichiarazione di rinuncia del privato che, subito precisata nella portata, era, in realtà, dettata e condizionata espressamente da una necessità imposta da sopravvenienze normative che avevano indotto poi il concessionario, alla luce delle successive interpretazioni giurisprudenziali, a considerarla, prima della deliberazione dell’amministrazione, priva di qualunque effetto, con la conseguente affermazione della piena volontà di proseguire nel rapporto".

La decisione citata aveva concluso che "Il comportamento dell’U.s.l., che si è determinata a considerare risolto il rapporto con l’Istituto clinico appellante motivando in base alla comunicazione di rinuncia della Casa di cura del 28 gennaio, contrasta, per quanto considerato, con i sopra ricordati obblighi di correttezza e buona fede".

Risultava in atti come la Clinica avesse richiesto all’A.s.l. di ripristinare il rapporto di convenzionamento, già all’esito dell’ordinanza n. 1565 del T.a.r. Campania di sospensione del provvedimento di risoluzione del convenzionamento, e che, con istanza del 6.2.1995, assunta al protocollo generale dell’A.s.l. Napoli 1 al n. 379 del 20.2.1995, l’appellante aveva chiesto l’accreditamento provvisorio previsto dalla legge n. 724/1994 (sostituente il previo regime di convenzionamento), dichiarando di accettare il sistema di remunerazione a prestazione in base a tariffe predeterminate.

L’accreditamento era stato riconosciuto dalla p.a. soltanto nell’ottobre 2006, dopo la declaratoria d’illegittimità della risoluzione del convenzionamento di cui alla citata pronuncia di questa sezione V n. 2755/2005.

B) – La sentenza gravata aveva rigettato tutte le richieste risarcitorie della Clinica sulla base delle seguenti due argomentazioni:

a) la deliberazione di risoluzione della convenzione n. 278 del 28.4.1993 era stata sospesa dal T.a.r. Campania, Napoli, con ordinanza n. 1565 del 6.7.1993, in accoglimento dell’istanza cautelare proposta dalla Clinica, con la conseguenza che essa sarebbe stata "deprivata fin dall’origine sul piano giuridico dell’attitudine a produrre alcun effetto nei confronti della società ricorrente" e che il rapporto di convenzionamento doveva intendersi ripristinato; il pregiudizio subìto dalla R. s.p.a. sarebbe derivato esclusivamente dalla scelta di non avvalersi della tutela cautelare chiesta ed ottenuta, così escludendosi qualsivoglia responsabilità in capo all’A.s.l. ed alla regione;

b) avendo la società chiesto il risarcimento dei danni derivanti dalla deliberazione di risoluzione del convenzionamento, il giudizio non avrebbe potuto "essere esteso alla legittimità e liceità delle circostanze e delle ragioni che hanno successivamente determinato il mancato o il negato riconoscimento dell’accreditamento provvisorio".

C) – La Clinica interponeva appello per:

a – "errore sul fatto – errore di giudizio – difetto di motivazione – illogicità (sulla pretesa reintegrazione del rapporto convenzionale ad opera dell’ordinanza del T.a.r. Campania, Napoli, n. 1565/1993, e sulla supposta scelta dell’appellante di non avvalersi della tutela cautelare ottenuta)" sotto un duplice profilo, perché i primi giudici non avrebbero tenuto conto della circostanza che la R. si era attivata per ottenere prima la reintegrazione nel rapporto convenzionale e poi il riconoscimento dell’accreditamento provvisorio, una volta entrato in vigore il nuovo sistema a tariffe, previsto dal d.lgs. n. 502/1992 e dalla legge n. 724/1994, mentre, indipendentemente dalle iniziative intraprese, non avrebbe potuto prescindersi da un facere della p.a., con il suo connotato di discrezionalità, sia per ripristinare il convenzionamento che per attribuire l’accreditamento;

b – "errore di giudizio – difetto di motivazione – illogicità (sulla pretesa impossibilità di riconoscere i danni derivanti dall’operato della p.a. successivo alla delib. n. 278 del 28.4.1993)", perché la richiesta avrebbe riguardato tutti i danni subìti dalla Clinica e derivanti dal comportamento della p.a., dall’adozione della deliberazione di risoluzione al momento in cui sarebbe intervenuto l’accreditamento provvisorio;

c – "errore di giudizio – difetto di motivazione (sulla responsabilità dell’amministrazione e sul danno)", risultando sussistenti tutti i presupposti per l’accoglimento della domanda risarcitoria, data la responsabilità della p.a., accertata anche con sentenza passata in giudicato.

Si costituivano in giudizio l’A.s.l. Napoli 1, la Gestione liquidatoria ex U.s.l. 37) e la regione Campania, chiedendo il rigetto dell’appello, in quanto inammissibile ed infondato, contestando la sussistenza di alcun diritto della Casa di cura appellante ad ottenere il richiesto ristoro dei (presunti) danni subìti: con istanza 7 maggio 2009 l’A.s.l. aveva chiesto un rinvio per esame, deducendo che la Casa di cura appellante avrebbe provveduto a depositare la documentazione (costituita da una consulenza tecnica di parte e da una relazione di parte di stima di perdita di avviamento) in data 20 aprile 2009 e, quindi, oltre il termine di trenta giorni liberi prima dell’udienza di discussione, fissata per il 19 maggio 2009.

D) – Rilevava preliminarmente il giudice d’appello che il termine per il deposito di documenti, di venti giorni liberi anteriori al giorno fissato per l’udienza (art. 23, comma 4, legge n. 1034/1971; cfr. C.S., sezione VI, dec. n. 1560/2007), nella specie risultava rispettato dall’appellante e che le parti appellate avevanno comunque potuto usufruire di un congruo spazio temporale a difesa (nella specie, ventotto giorni liberi prima dell’udienza), per cui la richiesta di rinvio veniva disattesa.

L’illegittima condotta della p.a., come la sua colpevolezza, erano state accertate con la decisione di questa sezione V n. 2755/2005 cit., sia per aver adottato il precedente atto di risoluzione del convenzionamento, sia per aver colpevolmente ritardato il riconoscimento dell’accreditamento provvisorio, così configurandosi un’ipotesi di c.d. "danno da disturbo" e di c.d. "danno da ritardo".

Per incarico conferito dalla Casa di cura, con perizia tecnica del prof. Pizzo, era stato quantificato il credito complessivo da essa vantato e pari ad euro 70.588.820,00, più interessi legali per ulteriori euro 176.472,00, con successivo atto di diffida e messa in mora delle amministrazioni tenute al pagamento, intenzionate a versare una somma di gran lunga inferiore a quella rilevata come spettante (euro 382.182,75 più 31,41 giornalieri per interessi maturandi fino al soddisfacimento).

L’A.s.l. Napoli n. 1 si costituiva in giudizio, depositando documentazione istruttoria da cui scaturivano i motivi aggiunti attinenti all’elusione del giudicato del Consiglio di Stato, in rapporto all’originario ricorso per l’esatta quantificazione ed il pieno adempimento dell’obbligo di pagare la somma dovuta.

Seguiva una domanda di rinvio, da parte della regione Campania, che il collegio non riteneva accoglibile, per cui, dopo l’udienza di trattazione in camera di consiglio, la vertenza passava in decisione.

Motivi della decisione

I) – Il ricorso va accolto, risultando palese l’inadempimento sopra meglio descritto, tanto più in rapporto all’esigua somma di contro offerta alla Casa di cura creditrice.

Questo Consiglio di Stato (cfr. sezione VI, dec. 12 marzo 2004 n. 1261) ha precisato che mentre il danno c.d. da ritardo è normalmente individuato nella lesione di un interesse legittimo pretensivo, cagionata dall’indugio con cui la p.a. abbia emesso il provvedimento finale inteso ad ampliare la sfera giuridica del privato, il danno c.d. da disturbo è caratterizzato dalla lesione di un interesse legittimo oppositivo e consiste nel ristoro del pregiudizio asseritamene subìto in conseguenza dell’illegittima compressione di facoltà di cui il privato cittadino fosse già titolare.

Il danno da ritardo era ravvisabile nella lesione dell’interesse legittimo pretensivo della Clinica, cagionata dal ritardo con cui la p.a. aveva emesso il provvedimento finale di accreditamento provvisorio; il danno da disturbo era pure evidente, posto che la Clinica agiva per ottenere il ristoro del pregiudizio patito in conseguenza dell’illegittima compressione delle facoltà di cui era già titolare (nella specie, in quanto convenzionata con il S.s.n. per molte branche specialistiche già dal 1979).

Quanto ai presupposti e condizioni necessari per ammetterne la risarcibilità, in riferimento al danno da disturbo, nel caso di procedimenti amministrativi coinvolgenti interessi di tipo oppositivo, la lesione dell’interesse implica automaticamente la lesione del bene della vita preesistente al provvedimento affetto da vizi di illegittimità, per cui l’accertamento della circostanza che la p.a. abbia agito non secondo diritto di per se stesso implica il consolidamento di un danno ingiusto nella sfera giuridica del privato.

La riscontrata illegittimità dell’atto (posta in luce in via definitiva con la cit. dec. n. 2755/2005) rappresenta, nella normalità dei casi, l’indice della colpa della p.a., tanto più grave, preciso e concordante quanto più intensa e non spiegata sia l’illegittimità in cui essa sia incorsa.

In tali casi spetta alla p.a. provare l’assenza di colpa: il connotato della colpa, necessario ai fini del risarcimento dei danni derivanti da lesione di interessi legittimi, sussiste ogni volta che, in assenza di cause di giustificazione legalmente tipicizzate, il provvedimento annullato sia stato emanato in violazione di un canone di condotta agevolmente percepibile nella sua portata vincolante.

La richiesta di accertamento del danno derivante dalla tardiva emanazione di un provvedimento legittimo e favorevole (l’accreditamento), dopo l’annullamento di un precedente atto illegittimo sfavorevole (la risoluzione della convenzione), se da un lato dev’essere ricondotta al danno da lesione d’interessi legittimi pretesivi per l’ontologica natura delle posizioni fatte valere, dall’altro (per il principio dell’atipicità dell’illecito civile) costituisce una fattispecie di natura del tutto specifica e peculiare, riconducibile all’art. 2043, c.c., per l’identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità.

Pertanto, l’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono presumersi iuris tantum in relazione al ritardo nell’adozione del provvedimento amministrativo, ma il danneggiato deve, ex art. 2697, c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda: l’appellante aveva dimostrato la sussistenza di tutti i presupposti per l’accoglimento della domanda risarcitoria, sussistendo l’elemento soggettivo, ovvero la colpa della p.a., accertata con la pronuncia n. 2755/2005 ed espressamente ricollegata alla violazione degli obblighi di correttezza e buona fede; l’evento dannoso, come anche la qualificazione del danno come ingiusto, in relazione alla sua incidenza su di un interesse rilevante per l’ordinamento e meritevole di protezione giuridica; infine, il nesso di causalità con l’illegittimità degli atti adottati o comunque con la condotta, sia commissiva (illegittima risoluzione del rapporto di convenzionamento) che omissiva (grave e notevole ritardo nel portare a compimento il procedimento di accreditamento) dell’amministrazione.

II) – Nella fattispecie emergeva pure una responsabilità contrattuale di quest.ultima, per non aver ripristinato la convenzione, non consentendo alla Clinica di erogare le relative prestazioni sanitarie, nonostante fosse intervenuta l’ordinanza del T.a.r. Campania di sospensione della risoluzione del convenzionamento e nonostante l’odierna appellante avesse comunicato di accettare il nuovo sistema di remunerazione a tariffa già dal 1995, risultando che la Clinica si era attivata per ottenere prima la reintegrazione nel rapporto convenzionale e poi il riconoscimento dell’accreditamento provvisorio una volta entrato in vigore il nuovo sistema di remunerazione a tariffa.

Inoltre, l’attività dell’amministrazione, con il suo connotato discrezionale, era comunque imprescindibile sia per ripristinare il convenzionamento che per poter attribuire l’accreditamento, che concretizza, allo stesso tempo, sia un atto di accertamento tecnicodiscrezionale, per la parte verificante il possesso, in capo alla struttura che ne faccia richiesta, dei requisiti ulteriori di qualificazione, sia una valutazione connotata da elementi di discrezionalità amministrativa, per la parte ponderante la funzionalità della struttura rispetto alle scelte della programmazione sanitaria regionale, nell’ambito della programmazione nazionale.

L’accreditamento attribuisce la qualifica "istituzionale" di gestore del servizio pubblico, ma non consente all’accreditato di erogare prestazioni "a carico" del S.s.n. se non previa pattuizione di appositi accordi, che definiscono vari programmi di attività, con l’indicazione dei volumi e delle tipologie di prestazioni erogabili: l’attività espletabile nell’ambito e per conto del S.s.r., con conseguente diritto al rimborso, postula, per il suo legittimo esercizio, una specifica ed autonoma valutazione amministrativa relativa al fabbisogno assistenziale, al volume dell’attività erogabile, alla programmazione di settore, al possesso dei requisiti da parte delle strutture private ed agli oneri finanziari sostenibili, non surrogabile o superabile (cfr. C.S., sezione V, dec. n. 2156/2000).

Dunque, l’erogazione di prestazioni sanitarie in regime di accreditamento va preceduta dalla valutazione di tutti gli elementi sopra menzionati e dal conseguimento del relativo titolo amministrativo (accreditamento) e convenzionale (accordo contrattuale), per cui la p.a. avrebbe dovuto ripristinare la convenzione già nel 1993, a seguito del provvedimento cautelare e avrebbe dovuto avviare il procedimento per il riconoscimento dell’accreditamento dopo la formale richiesta inoltrata dall’appellante in data 6.2.1995.

III) – A parte la considerazione che, se l’amministrazione non avesse illegittimamente risolto il rapporto convenzionale, o quanto meno l’avesse ripristinato a seguito dell’adozione dell’ordinanza del T.a.r. 6.7.1993, la Clinica avrebbe avuto il titolo per poter continuare a svolgere, senza interruzioni, le proprie prestazioni a favore del S.s.n., in applicazione della disciplina del passaggio dal vecchio sistema del convenzionamento al nuovo sistema dell’accreditamento sulla base di tariffe predeterminate, resta il fatto che la stessa decisione di questa sezione V n. 2755/2005, nell’accertare l’illegittimità della deliberazione di risoluzione del convenzionamento, costituiva sicuramente un valido presupposto su cui l’appellante poteva fondare la propria richiesta risarcitoria.

Infatti, nell’annullare la deliberazione di risoluzione del 1993, essa evidenziava l’illegittimità dell’operato amministrativo posto in essere, in quanto contrario agli obblighi di correttezza, trasparenza e buona fede, ponendo in luce come "il principio di buona fede oggettiva è posto dall’ordinamento a fondamento non solo dell’attività dei soggetti privati ma anche, a maggior ragione, di quelli pubblici" (cfr. C.S., sezione IV, dec. n. 1111/2000), e che "il dovere di agire secondo correttezza e buona fede non è assolto solo con il compimento di atti previsti in specifiche disposizioni di legge, ma si deve realizzare anche con comportamenti non individuati dal legislatore e che in relazione alle singole situazioni di fatto siano necessari per evitare l’aggravamento della posizione dell’altro contraente".

IV) – Erano poi state esaminate pure le singole voci di danno risarcibile:

– minor utile realizzato a causa della risoluzione del rapporto convenzionale e del mancato accreditamento delle prestazioni sanitarie con la regione per il periodo 30.4.1993/30.11.2006 (= euro 39.756.791,00, secondo la perizia di parte in atti).

– perdita immediata e diretta, da parte della R. s.p.a., delle prestazioni espletate in regime di convenzione, ovvero, ricavi corrispondenti alle attività per le quali era originariamente convenzionata e che avrebbe potuto continuare a svolgere se le fosse stato riconosciuto tempestivamente l’accreditamento provvisorio, con remunerazione a tariffa: importo determinabile ex art. 35, comma 2, del d.lgs. n. 80/1998, stabilendo i criteri in base ai quali la p.a. dovrà proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine.

– mancati introiti, integranti una somma ragguagliata ai risultati conseguiti e documentati nel passato, nonché alla riduzione, avuta nel tempo, della durata media dei giorni di degenza.

Su detti complessivi importi andrà calcolata la rivalutazione monetaria (trattandosi di debito di valore), insieme agli interessi, dal 1993 (momento dell’adozione del provvedimento di risoluzione della convenzione) al riconoscimento dell’accreditamento (2006), oltre agli interessi legali determinati dalla pubblicazione della sentenza al saldo effettivo.

Ulteriori voci di danno (da perdita d’immagine professionale, alienazione di beni immobili e riduzione di personale dipendente) non venivano riconosciute all’appellante, trattandosi di voci di costo ordinariamente ricomprese nella gestione di attività sanitarie convenzionate o rimaste prive di apprezzabile supporto probatorio.

V) – Conclusivamente, il ricorso in ottemperanza va accolto, nominandosi un commissario ad acta, in veste anche di perito d’ufficio, con l’incarico di determinare con precisione la somma in questione e di provvedere al suo versamento alla Casa di cura interessata: a tanto provvederà il dirigente l’Ufficio di ragioneria della Prefettura di Roma, con facoltà di subdelega ad altro dirigente del medesimo Ufficio, che provvederà ai sensi dell’art. 35, comma 2, d.lgs. n. 80 del 1998, formulando una proposta da sottoporre all’avente titolo entro il termine di giorni sessanta decorrenti dalla notificazione o comunicazione della presente decisione, con spese ed onorari processuali, nonché compenso spettante al commissarioperito, liquidati come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione V, accoglie il ricorso in ottemperanza, nomina il commissarioperito con le modalità di cui in motivazione e condanna, in solido, le amministrazioni soccombenti a rifondere alla Casa di cura R. le spese e gli onorari processuali, liquidati in complessivi euro tremila/00, oltre ai dovuti accessori di legge, come pure a corrispondere al commissarioperito il compenso spettantegli, da liquidarsi con separato provvedimento, dietro presentazione di una sua apposita relazione illustrativa.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 4 maggio 2010, con l’intervento dei giudici:

Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente FF

Marzio Branca, Consigliere

Aldo Scola, Consigliere, Estensore

Roberto Chieppa, Consigliere

Eugenio Mele, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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