Cass. civ. Sez. III, Sent., 27-06-2011, n. 14089

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso ritualmente depositato F.M. chiedeva al Giudice dell’Esecuzione che fosse preliminarmente accertata e dichiarata la carenza di legittimazione attiva dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri a procedere esecutivamente nei confronti dell’opponente in relazione al credito di cui alla sentenza n. 1/2000/R in data 3 gennaio 2000 della Corte dei Conti di condanna dello stesso F. al pagamento delle somme di L. 12.619.972.493 in via principale e di L. 1.920.000.000 in solido con terzi a titolo di risarcimento di danno erariale nell’ambito di un giudizio nel quale la Presidenza del Consiglio non era stata parte e dichiarata l’estinzione della procedura esecutiva n. 104571 con ordine al Conservatore dei Registri Immobiliari di Roma della cancellazione delle trascrizioni pregiudizievoli sui beni del ricorrente. La Presidenza del Consiglio dei Ministri rimaneva contumace.

All’esito del giudizio il Tribunale di Roma con sentenza n. 20205 in data 23 settembre 2005 rigettava l’opposizione dell’esecuzione e in accoglimento dell’opposizione agli atti esecutivi, dichiarava estinta la procedura esecutiva. Con atto di citazione notificato il 23 settembre 2006 il F. proponeva appello contro detta sentenza affermandone l’erroneità in relazione alla ritenuta esperibilità delle azioni esecutive di recupero del danno erariale da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri perchè le stesse erano esperìbili esclusivamente dall’Erario dello Stato e quindi dal Ministero dall’Economia e delle Finanze.

Era quindi chiesto l’accoglimento dell’opposizione proposta con accertamento del dedotto difetto di legittimazione dell’appellato ad agire esecutivamente nei confronti dell’appellante.

La Corte d’Appello di Roma, con la decisione in esame depositata in data 30.5.2008, rigettava il gravame, affermando che "rileva però il collegio che l’appello non ha per oggetto l’estinzione della procedura esecutiva già dichiarata con la sentenza gravata di appello, ma il diritto della Presidenza del Consiglio dei Ministri ad agire esecutivamente contro il F. in forza della menzionata sentenza di condanna della Corte dei Conti. Sulla questione non è affatto cessata la materia del contendere perchè, indipendentemente dalla sorte della procedura esecutiva dichiarata estinta, permane il contrasto tra le parti. Nel merito l’appello è infondato. Il D.P.R. n. 260 del 1988 ha innovato la disciplina dell’esecuzione delle decisioni di condanna al risarcimento del danno erariale attribuendo la relativa competenza alle singole amministrazioni statali danneggiate (art. 1). L’art. 8 ha anche abrogato la precedente normativa di cui al R.D. n. 776 del 1909 il cui art. 5 effettivamente accentrava nell’amministrazione del Demanio l’attività di riscossione delle somme dovute per danno erariale di difficile esazione. E’, quindi privo di rilievo che la Presidenza del Consiglio dei Ministri non sia stata formalmente parte del giudizio di danni davanti alla Corte dei Conti".

Ricorre per cassazione il F. con un unico motivo (deducendo violazione dell’art. 615 c.p.c. in relazione all’art. 474 c.p.c. e all’art. 156 disp. att. c.p.c.). Resiste con controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Motivi della decisione

In relazione al motivo di ricorso è stato formulato il seguente quesito, ex art. 366 bis c.p.c.: "voglia la Suprema Corte di Cassazione enunciare se sulla base del contenuto del titolo (sentenza della Magistratura Contabile), sussista la legittimazione attiva nella procedura esecutiva oggetto di opposizione in capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri o se, alla luce del contenuto del titolo e dell’originario sequestro conservativo concesso e della trascrizione del sequestro stesso, ad opera del Ministro delle Finanze, appaia illegittimo l’impulso operato con versamento del titolo ad opera del terzo (Presidenza del Consiglio dei Ministri), statuendo se nella fattispecie si rilevi violazione del combinato disposto di cui all’art. 474 c.p.c. e art. 156 disp. att. c.p.c., con conseguente carenza di legittimazione attiva della procedente".

Il ricorso è pertanto inammissibile ai sensi di detto art. 366 bis c.p.c..

Deve infatti ribadirsi che, come statuito da questa Corte (tra le altre, n. 7197/2009) il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia.

Nella specie non è dato comprendere la regula iuris che la sentenza impugnata avrebbe violato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese della presente fase che liquida in complessivi Euro 2.200,00, oltre spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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