T.A.R. Campania Napoli Sez. V, Sent., 29-03-2011, n. 1824

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Espongono in fatto i ricorrenti di essere proprietari di alcuni terreni siti nel Comune di Castellammare di Stabia, in via Vicinale Grotta San Biagio, identificati in catasto al f. 6, p.lla 335, partita n. 10797, di mq. 59.000 circa, e che con il decreto ministeriale oggetto di impugnazione è stata disposta la proroga di un anno dei termini per il compimento dell’esproprio di cui al decreto ministeriale 11 maggio 1998, a decorrere dal 18 maggio 1999, in continuazione con il citato, precedente decreto. In particolare hanno riferito che l’amministrazione intimata, con decreto del 18 maggio 1986, aveva dichiarato la pubblica utilità inerente l’esproprio degli immobili per cui è causa, siti nell’area archeologica di Villa Arianna e che, con successivi decreti del 17 maggio 1990, 16 maggio 1991, 15 maggio 1992, 12 maggio 1993, 4 maggio 1994, 16 maggio 1995, 13 maggio 1996, 5 maggio 1997 e 11 maggio 1998, la medesima amministrazione aveva disposto la proroga dei termini per il compimento delle espropriazioni. Hanno altresì esposto che i lavori di consolidamento del costone della collina e di sistemazione geologica sarebbero stati da tempo ultimati, con irreversibile trasformazione dello stato dei luoghi, senza che l’amministrazione fosse riuscita, a distanza di quindici anni, a completare la procedura espropriativa.

Con il secondo dei due ricorsi in esame è stato poi impugnato il successivo decreto ministeriale del 16 maggio 2001, di ulteriore proroga di un anno dei termini di compimento dell’esproprio.

Si è costituita in questo secondo giudizio l’amministrazione intimata, per il tramite della locale Avvocatura dello Stato, sia pur con mero foglio di stile.

Con ordinanza collegiale n. 318 del 24 aprile 2009 la Sezione ha dunque disposto la riunione delle cause in trattazione ed ha ordinato incombenti istruttori a carico dell’amministrazione intimata, incombenti reiterati con successiva ordinanza n.739 del 26 novembre 2009 ma neanche in questa occasione è stato possibile acquisire quanto richiesto; allora con ordinanza n.251 del 2010 è stata disposta una consulenza tecnica d’ufficio che, con riguardo alle vicende in contestazione, previa ricostruzione della documentazione per cui è causa, fornisse precisazioni sull’area effettivamente occupata e su quella restituita nonché sullo stato dei lavori e sulla eventuale e presumibile data di irreversibile trasformazione dei beni, quantificando i danni a vario titolo provocati, in esito alla quale è stata depositata una relazione.

Alla udienza pubblica del 24 marzo 2011 le cause sono state chiamate e trattenute per la decisione come da verbale.
Motivi della decisione

1.Con il ricorso in esame parte ricorrente deduce diversi motivi di violazione di legge e di eccesso di potere; oltre a talune censure procedurali (difetto di motivazione, omessa comunicazione di avvio del procedimento), è sollevata in ricorso la questione del superamento del termine ultimo quinquennale entro il quale – rispetto alla dichiarazione di pubblica utilità – sarebbe possibile concludere validamente la procedura con l’adozione del finale provvedimento espropriativo.

2. In via preliminare il Tribunale ritiene di disporre la riunione dei ricorsi, attesa la connessione oggettiva e soggettiva.

3. Il Collegio in punto di giurisdizione ritiene di non aver motivo per discostarsi nella circostanza dall’ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, nella materia dei procedimenti di espropriazione per pubblica utilità, ad eccezione delle ipotesi in cui l’Amministrazione espropriante abbia agito nell’assoluto difetto di una potestà ablativa come mancanza di qualunque facultas agendi vincolata o discrezionale di elidere o comprimere detto diritto – devolute come tali alla giurisdizione ordinaria, sono devolute alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie nelle quali si faccia questione – anche ai fini complementari della tutela risarcitoria – di attività di occupazione e trasformazione di un bene conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilità e con essa congruenti, anche se il procedimento all’interno del quale sono state espletate non sia sfociato in un tempestivo e formale atto traslativo della proprietà ovvero sia caratterizzato dalla presenza di atti poi dichiarati illegittimi, purchè vi sia un collegamento all’esercizio della pubblica funzione (T.A.R. Lombardia, Brescia, I, 18.12.2008, n.1796; 1.6.2007, n.466; Cons. Stato, A.P. 30.7.2007, n.9 e 22.10.2007, n. 12; T.A.R. Basilicata, 22.2.2007, n.75; T.A.R. Puglia, Bari, III, 9.2.2007, n.404; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 18.12.2007, n.6676; T.A.R. Lazio, Roma, II, 3.7.2007, n.5985; T.A.R. Toscana, I, 14.9.2006, n.3976; Cass. Civ., SS.UU., 20.12.2006, nn. 27190, 27191 e 27193).

3.1 Peraltro di recente si è affermato (Cons. Stato, IV, 2.3.2010, n.1222) che l’art.53 del DPR n.327/2001, per come ispirato al principio di concentrazione dei giudizi, ha attribuito rilevanza decisiva ai provvedimenti che impongono il vincolo preordinato all’esproprio e a quelli che dispongono la dichiarazione di pubblica utilità: una volta attivato il procedimento caratterizzato dall’esercizio del pubblico potere, sussiste la giurisdizione amministrativa esclusiva in relazione a tutti i conseguenti atti e comportamenti e ad ogni controversia che sorga su di essi, anche quando trattasi di procedimenti espropriativi diretti alla esecuzione dei lavori per la realizzazione o la modificazione di un’opera pubblica e di atti strumentali alla realizzazione di detta finalità pubblica (Cass. Civ., SS. UU., ord.za 16.12.2010, n.25393). Si è dunque in presenza di una fattispecie riconducibile alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, per come derivante da esercizio di un pubblico potere, anche nel caso in cui si lamenti formalmente l’occupazione di aree non comprese nell’ambito della procedura espropriativa, ma in realtà si abbia riguardo al decreto di esproprio, cioè alla determinazione del suo effettivo contenuto, per la dedotta occupazione di una superficie superiore a quella presa in considerazione da una precedente ordinanza di occupazione d’urgenza, poiché ai fini della liceità o meno va verificato lo specifico contenuto degli atti e degli accordi posti in essere nel corso del procedimento ablatorio.

3.2 Ritenuta dunque la giurisdizione sulla domanda di reintegra nel possesso proposta da parte ricorrente, resta da stabilire se le forme di tutela siano quelle previste dall’art 703 c.p.c., che rinvia agli art. 669 bis e ss. c.p.c., oppure quelle proprie del processo amministrativo. Ritiene il Collegio di seguire la seconda impostazione, poiché, come ha rilevato la Corte Costituzionale – investita di una questione di legittimità con riferimento all’inesistenza di un tutela cautelare ante causam avanti al g.a. – l’applicazione di istituti processualcivilistici non è giustificabile qualora le esigenze ad essi sottese vengano effettivamente tutelate da istituti propri del processo amministrativo (idem T.A.R. Umbria, 4.9.2002, n. 652). Nel caso in esame l’esigenza di tutela immediata, soddisfatta dagli artt. 703669 bis e ss. c.p.c., è efficacemente garantita mediante il procedimento di cui all’art 23bis della Legge n.1034/1971 (ora art.119 del Decr. Legisl. 2/7/2010, n.104 di riordino del processo amministrativo), di cui sussistono tutti i presupposti applicativi (essendo, in particolare, la controversia oggetto del presente giudizio contemplata dalla lettera b) del medesimo articolo).

Tali principi sono stati peraltro codificati nel Decr. Legisl. 2/7/2010, n.104 di riordino del processo amministrativo, che, all’art.133, lett.g), ha espressamente contemplato in siffatte controversie la giurisdizione esclusiva di questo giudice, ferma la giurisdizione del giudice ordinario per le ipotesi di determinazione e corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa.

4. Quanto al merito della controversia in esame, dopo le ordinanze istruttorie rimaste inevase, in sede di consulenza tecnica è stato accertato che il bene in questione è compreso in area con vincolo archeologico in stretta adiacenza all’area in cui sono emersi i reperti di Villa Arianna, oggi intercluso per effetto delle espropriazioni attuate dalla Soprintendenza; a seguito degli smottamenti che nel 1961, nel 1969 e nel 1985 hanno interessato il tratto di pendio ove si affaccia Villa Arianna, la Soprintendenza ha predisposto interventi per il consolidamento della collina di Varano che hanno in gran parte interessato proprio la p.lla 335 per cui è causa con conseguente irreversibile trasformazione del lotto, laddove il recupero della funzione agricola sarebbe possibile nella zona nordest del lotto previa rimozione del materiale che configura la rampa di accesso. E’ stato possibile desumere che la trasformazione del terreno per il consolidamento del costone attraverso la parete in spritzbeton iniziò nel 1986 quando il fondo presentava un impianto a frutteto, la presa di possesso avvenne il 15/9/1986 e la data di ultimazione dei lavori fu il 21/3/1988, allorchè il terreno appariva irreversibilmente trasformato in opera pubblica.

4.1 In punto di diritto pare alla Sezione che il ricorso sia fondato in maniera assorbente sotto il profilo dell’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità, in particolare per l’avvenuta decorrenza del termine di cinque anni dal momento dell’adozione del decreto del 18 maggio 1986 – che aveva dichiarato la pubblica utilità inerente l’esproprio degli immobili per cui è causa – senza che fosse notificato il decreto di esproprio. Al riguardo è appena il caso di ribadire (10.6.2009, n.3192) che l’art.13, comma 3, della Legge n.2359/1865 ha riguardo all’inutile spirare del termine entro cui deve compiersi l’espropriazione ed al venir meno del potere dell’Amministrazione nel caso di inosservanza di tale necessario presupposto; tale quadro normativo non è stato modificato dal DPR n.327/2001, il cui art.13, al comma 6, contempla la sanzione dell’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità nel caso di omessa emanazione del decreto di esproprio entro il termine di cinque anni dalla data in cui è diventato efficace l’atto che aveva dichiarato la pubblica utilità dell’opera.

4.2 Per altro verso, condividendosi quanto puntualmente ancora affermato di recente (T.A.R. Lazio, Roma, II, 3.7.2008, n.6377) circa i "principicardine" che regolano la materia dell’espropriazione, va sottolineato che:

a) i termini per l’inizio e la conclusione delle procedure espropriative devono essere fissati fin dall’atto con cui si dichiara la pubblica utilità dell’opera (o con cui si approva il progetto che dà avvio alla procedura stessa). In mancanza di ciò l’espropriazione è illegittima;

b) l’inutile decorso dei termini fissati dall’Amministrazione per l’avvio e per la conclusione delle procedure espropriative determina l’inefficacia della originaria dichiarazione di pubblica utilità, con conseguente illegittimità del decreto di espropriazione (che si ritiene adottato, anch’esso, fuori termine);

c) se l’Amministrazione intende prorogare il termine (per l’avvio o per la conclusione della procedura espropriativi) può farlo, purchè prima che il termine sia ormai scaduto, "motivando" in ordine alle ragioni che rendono necessaria la proroga e sempre che il ritardo non sia dipeso da cause ad essa imputabili, ma da fatti dipendenti da forza maggiore o, comunque, di altre ragioni non dipendenti dalla sua volontà;

d) la proroga non può che essere accordata dallo stesso Organo che ha fissato il termine originario;

e) la proroga va notificata o comunque comunicata ai soggetti espropriandi, i quali devono essere coinvolti nel subprocedimento che si innesta su quello principale e posto nelle condizioni di interloquire;

f) se il termine per l’avvio o per la conclusione della procedura espropriativa è inesorabilmente scaduto e non appare prorogabile (per mancanza dei presupposti sopra indicati), l’Amministrazione ben può rinnovare l’intera procedura, ma per farlo deve ricominciare (ex novo) dalla "dichiarazione di pubblica utilità", non potendo ritenere ancora efficace quella concernente il procedimento estintosi per inutile decorso dei termini.

4.2.1 Quanto sopra è peraltro condiviso dalla giurisprudenza, la quale ha ritenuto:

– quanto al principio enunciato sub a), che "la mancata indicazione dei termini per la conclusione dei lavori e della procedura espropriativa, di cui all’art. 13 della Legge n. 2359 del 1865 determina l’illegittimità ab origine dell’occupazione di urgenza e l’illiceità permanente dell’opera pubblica, dovendosi escludere che vi possano essere successive indicazioni di detti termini ovvero atti di sanatoria della dichiarazione di pubblica utilità in cui essi siano omessi" (Cass. Civ., SS. UU., 30.3.2007, n.7881); che "la mancata indicazione dei termini per l’inizio e la conclusione della procedura espropriativa e dei lavori nella delibera consiliare di avvio della procedura espropriativa, vizia "in radice" il provvedimento ablatorio (Cons. Stato, IV, 20.3.2000, n.1498); che "dall’annullamento giurisdizionale della delibera di proroga dei termini per il compimento delle operazioni espropriative deriva in via immediata e diretta l’illegittimità del decreto di espropriazione per caducazione dell’atto presupposto, ovvero dell’atto di proroga dell’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità" (Cons. Stato, IV, 31.7.2000, n.4215"; che "nella dichiarazione di pubblica utilità dell’opera devono essere espressamente indicati, oltre ai termini di inizio e di conclusione della procedura espropriativa, anche quelli concernenti l’avvio ed il compimento dei lavori" (Cons. Stato, V, 18.3.2002, n.1561); che "la necessità di prefissione di termini delle procedure di espropriazione risponde alla necessità di carattere costituzionale di limitare il potere discrezionale delle p.a. al fine di evitare che i beni dei privati siano sottoposti ad uno stato di soggezione per un tempo indeterminato" (Cons. Stato, VI, 4.4.2003, n.1768); che "l’indicazione dei termini entro i quali dovranno cominciarsi e concludersi le espropriazioni ed i lavori, ai sensi dell’art. 13 l. n. 2359 del 1865, deve figurare nell’atto con il quale si dichiara un’opera di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, all’evidente fine di far sì che la P.A., che decida di disporre della proprietà privata con l’espropriazione, ponga essa stessa dei limiti temporali per l’inizio e la conclusione dell’opera che poi dovrà rispettare" (T.A.R. Lazio, Roma, II, 10.5.2005, n. 3484; 21.6.2007, n.5656; T.A.R. Campania, Salerno, I, 8.9.2006, n.1330; 11.6.2002, n.457; T.A.R. Abruzzo L’Aquila, 20.5.2002, n.302; Cons. Stato, V, 25.1.2002, n.399; IV, 17.4.2000, n. 2283; V, 11.1.1999, n.1758; T.A.R. Veneto, I, 25.6.1998, n.1206; Cons. Stato, IV, 27.11.1997, n.1326);

– quanto al principio enunciato sub b), che "l’art. 13 l. n. 2359 del 1865 dispone che il decreto dichiarativo della pubblica utilità deve contenere anche i termini entro i quali devono iniziarsi e completarsi le espropriazioni ed i lavori; scaduti tali termini, la dichiarazione di pubblica utilità diviene inefficace e non può procedersi all’espropriazione se non in base ad una nuova dichiarazione di pubblica utilità (T.A.R. Lazio, Roma, II, 10.5.2005, n. 3484; Cons. Stato, VI, 10.10.2002, n. 5443); che "qualora siano scaduti i termini fissati per il compimento dell’espropriazione, nel provvedimento che ha dichiarato la pubblica utilità dell’opera e debba escludersi una valida proroga degli stessi (…) cessa la legittima occupazione dell’area destinata all’espropriazione e diviene irrilevante qualunque proroga del periodo d’occupazione successivamente disposta per legge (Cass. Civ., I, 17.7.2001, n.9700);

– quanto al principio enunciato sub c), che "il prolungamento dell’efficacia di un termine presuppone necessariamente che il termine da prorogare non sia ancora scaduto, per cui i termini fissati nella dichiarazione di pubblica utilità dall’art. 13 della Legge n.2359 del 1865 possono essere prorogati dall’amministrazione al fine di prolungare l’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità stessa, a condizione che la proroga si perfezioni prima della scadenza del termine che si intende prorogare" (Cons. Stato, VI, 23.12.2008, n.6516; IV, 22.5.2006, n.3025; T.A.R. Lazio, Roma, II, 10.5.2005, n. 3484; T.A.R., Sardegna, II, 13.7.2007, n.1618; T.A.R. Lazio, Roma, II, 13.10.2006, n.10374; T.A.R. Toscana, III, 5.3.2003, n.857; Cons. Stato, IV, 22.12.2003, n. 8462); che "l’istituto della proroga del termine, che per il suo carattere generale deve trovare applicazione anche ai termini stabiliti nelle ipotesi di pubblica utilità "ex lege", potrà operare solo se la proroga venga disposta prima della scadenza del triennio per l’inizio dei lavori, senza che possa attribuirsi alcun rilievo all’eventuale maggior termine ancora in corso fissato per l’ultimazione dell’opera, che comporta a sua volta l’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità se i lavori, iniziati tempestivamente, non vengono ultimati nel maggiore termine fissato all’atto dell’approvazione del progetto" (Cass. Civ., I, 8.5.2003, n.6979); che "… il provvedimento di proroga deve essere motivato e non è sufficiente l’indicazione che il protrarsi delle procedure non consente il rispetto dei termini originariamente fissati circostanza quest’ultima che potrebbe essere imputabile all’amministrazione" (Cons. Stato, VI, 10.10.2002, n.5443; T.A.R. Lazio, Roma, II, 10.5.2005, n.3484); che "(…)… l’istituto della proroga riveste caratteri eccezionali e la sua operatività deve essere giustificata dalla reale sussistenza di oggettive difficoltà al compimento di atti espropriativi, e comunque non dipendenti dalla volontà dell’Ente espropriante" (Cons. Stato, VI, 4.4.2003, n.1768; 10.10.2002, n.5443; IV, 28.12.2000, n.6997; 23.11.2000, n.6221; T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 8.3.2001, n.213); che "in base all’art. 13 della Legge n.2359 del 1865 (…) non costituisce valida ragione giustificativa la generica motivazione relativa al protrarsi delle procedure espropriative, che non abbia consentito il rispetto dei termini originariamente fissati" (T.A.R. Toscana, III, 5.3.2003, n.857; Cons. Stato, VI, 4.4.2003, n.1768; IV, 28.12.2000, n.6997) e che "è illegittimo il provvedimento con cui l’amministrazione dispone la proroga dei predetti termini, limitandosi a dare atto dell’impossibilità di concludere le procedure per l’esistenza di un contenzioso (non meglio specificato nel contesto del provvedimento), trattandosi di circostanza non riconducibile al concetto di forza maggiore o di impedimento obiettivo ed insuperabile" (T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 8.3.2001, n.213);

– quanto al principio enunciato sub d), che "qualora siano scaduti i termini fissati per il compimento dell’espropriazione", la proroga – ove possa essere disposta – "… deve provenire dalla stessa autorità che ha dichiarato la pubblica utilità ed ha fissato i termini originari…" (Cass. Civ., I, 17.7.2001, n.9700); che è illegittima la proroga dei termini per la conclusione delle espropriazione che non sia stabilita dalla medesima autorità che ha dichiarato di pubblica utilità (Cons. Stato, VI, 2.5.2006, n.2423);

– quanto al principio enunciato sub e), che "quando un subprocedimento non fa parte dell’ordinaria sequenza procedimentale, come nel caso in cui riguardi la proroga dei termini per il completamento dei lavori di un’opera pubblica e della dichiarazione di pubblica utilità, l’amministrazione deve inviare ai diretti interessati un apposito avviso di inizio del procedimento ex art. 7 l. n. 241 del 1990" (Cons. Stato, IV, 16.3.2001, n.1578); che "la comunicazione di avvio del procedimento è stata ritenuta necessaria anche nel procedimento finalizzato a prorogare i termini del provvedimento di dichiarazione di pubblica utilità, stante la sua natura di sub procedimento autonomo all’interno di quello più generale volto alla dichiarazione di pubblica utilità, anche se implicito, nell’approvazione del progetto di opera pubblica. (…) Del resto la proroga è un provvedimento discrezionale, rispetto al quale la partecipazione del privato non è inutile e può servire ad evidenziare la sussistenza degli eccezionali presupposti per l’adozione del provvedimento (Cons. Stato, VI, 10.10.2002, n.5443); che "è illegittima la proroga dei termini della dichiarazione di pubblica utilità non preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento" (Cons. Stato, VI, 10.10.2002, n.5443); che "nell’ambito di un procedimento espropriativo il provvedimento che proroga i termini per l’intervento ablativo costituisce il frutto di un autonomo sub procedimento eventuale e straordinario rispetto al procedimento tipico; pertanto, in tal caso, l’amministrazione ha l’obbligo di comunicare l’avvio del sub procedimento col quale si proroga il termine di assoggettamento del bene privato all’intervento ablativo" (T.A.R. Lazio, Roma, II, 13.10.2006, n.10374); che "anche in relazione al procedimento di proroga dei termini per l’espropriazione deve essere consentita la partecipazione degli eventuali interessati, potendo l’atto di proroga influire su diversi aspetti, tra cui quello del momento del pagamento dell’indennità" (Cons. Stato, VI, 5.12.2007, n.6183);

– quanto al principio enunciato sub f), che "è illegittimo il provvedimento che, in luogo di rimuovere l’intera procedura, disponga la proroga dei termini per l’inizio della procedura espropriativa stabiliti nel decreto di dichiarazione di pubblica utilità in sanatoria dell’avvenuta scadenza di termini stessi" (Cons. Stato, IV, 23.11.2000, n. 6221); che "la rinnovazione della procedura espropriativa a differenza dell’istituto della proroga dei termini – opera sempre in soluzione di continuità rispetto alla pregressa fase, alla quale non ha la possibilità di raccordarsi con effetti "ex tunc"; conseguentemente è necessario che alla data di adozione del provvedimento di riapprovazione sussistano le condizioni di attualità e concretezza dell’interesse pubblico che si intendono conseguire con la realizzazione dell’opera" (Cons. Stato, IV, 24.7.2003, n.4239); che "l’art. 13 l. n. 2359 del 1865 dispone che il decreto dichiarativo della pubblica utilità deve contenere anche i termini entro i quali devono iniziarsi e completarsi le espropriazioni ed i lavori; scaduti tali termini, la dichiarazione di pubblica utilità diviene inefficace e non può procedersi all’espropriazione se non in base ad una nuova dichiarazione di pubblica utilità" (Cons. Stato, VI, 2.5.2006, n. 2423; 10.10.2002 n. 5443; T.A.R. Lazio, Roma, II, 10.5.2005, n. 3484; Cons. Stato, IV, 23.11.2000, n. 6221; 24.7.2003, n. 4239; T.A.R. Toscana, III, 13.11.2002, n. 2699; Cons. Stato, VI, 10.10.2002, n.5443); che "seppure è in facoltà dell’espropriante condurre a realizzazione un progetto di opera pubblica, di cui siano scaduti i termini obbligatoriamente indicati per il compimento dei lavori, è necessario che la riapprovazione dia luogo ad una nuova dichiarazione di pubblica utilità, con un nuovo avvio del procedimento finalizzato a tale dichiarazione e con una nuova fissazione dei termini, essendo insufficiente la mera proroga dei termini originariamente fissati" (Cass. Civ., SS. UU., 26.4.2007, n.10024).

4.3 Orbene, come emerge dalla narrativa dei fatti, nella fattispecie per cui è causa i predetti principi sono stati tutti disattesi: intanto si è insistito nel prorogare i termini sebbene non fosse configurabile in capo all’Amministrazione una mera facoltà discrezionale di proroga dei termini finali per l’espropriazione, eppoi l’avvenuta acquisizione del bene da parte dell’Amministrazione è intervenuta allorquando il relativo potere (di conferire ad esso definitiva efficacia mediante gli atti di pubblicità a ciò rivolti) si era ormai inesorabilmente ed inutilmente consumato. In particolare fino al 21/3/1988, data di ultimazione dei lavori in cui il terreno appariva irreversibilmente trasformato in opera pubblica, la Soprintendenza non definì l’esproprio, mentre solo successivamente adottò decreti di proroga fino al 16/5/2001 con il quale ancora si intendevano prorogare i termini per il compimento dell’esproprio relativo al primo decreto del 1986.

5. Ciò posto, in ragione della richiesta di parte ricorrente di restituzione dei terreni oggetto di lavori, il Ministero per i beni e le attività culturali) – Soprintendenza Archeologica di Pompei – va condannato alla restituzione dei fondi ai privati con reimmissione dei medesimi nel relativo possesso, previo ripristino dello status quo ante, ciò in ragione dell’accertato utilizzo degli stessi per come materialmente appresi sia pure per fini pubblicistici, atteso che è del tutto irrilevante, nell’ottica di una eventuale traslazione della proprietà della res, che sia stata realizzata l’opera pubblica nella misura in cui questa ha modificato la destinazione originaria dei cespiti e recato un pregiudizio patrimoniale e non a carico dei ricorrenti. Tale statuizione è peraltro compatibile con la restituzione dei cespiti e facoltà dello ius tollendi concessa al proprietario dei manufatti alle condizioni previste dall’art. 935 c.c., comma 1 e art. 937 c.c., laddove il diritto al risarcimento e l’applicabilità dell’art.2058 c.c. entrerebbero in discussione ove si rientrasse nella materia risarcitoria.

5.1 Quanto alla richiesta di risarcimento del danno in ragione dell’impossibilità di disporre del bene il Collegio, alla luce della relazione di consulenza tecnica dalle cui conclusioni ritiene di non aver motivi per discostarsi, è dell’avviso che, ai fini della quantificazione nel rispetto del principio del ristoro integrale del danno subito (Corte cost., n. 949/2007) con riferimento al danno relativo al periodo della sua utilizzazione senza titolo, cioè dalla data di scadenza del termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità sino a quella della effettiva restituzione, debba tenersi conto della valutazione effettuata dal consulente quale aveva individuato in Euro/mq 14,32 il più probabile valore di mercato; la somma da corrispondere – giova infine aggiungere – andrà depurata di ogni corresponsione di somme medio tempore eseguita in favore della parte ricorrente, a titolo indennitario o risarcitorio, in relazione alla vicenda ablatoria per cui è causa. In sede di determinazione dell’importo da corrispondere l’Amministrazione dovrà in ogni caso attenersi ai criteri legali, incrementarlo per interessi e rivalutazione monetaria dovuti dalla data di proposizione del ricorso di primo grado fino alla data di deposito della presente sentenza, e per interessi legali da tale data fino a quella di effettivo soddisfo (cfr. in termini: Tar Lazio, Sez. II Ter, n. 5985 del 2007). In mancanza parte ricorrente potrà adire questo Tribunale al fine dell’esecuzione della presente sentenza e dell’adozione di misure consequenziali, quali la nomina di un Commissario ad acta e la trasmissione degli atti alla Procura Regionale della Corte dei Conti per l’accertamento di eventuali profili di responsabilità contabile nei fatti che avranno condotto a quella fase di giudizio.

6. Per questi motivi, previa riunione, i ricorsi vanno accolti con conseguente annullamento dei provvedimenti oggetto di impugnazione e declaratoria dell’obbligo di restituzione dei fondi ai privati con reimmissione dei medesimi nel relativo possesso, previo ripristino dello status quo ante, nonché risarcimento del danno in ragione dell’impossibilità di disporre del bene.

Le spese del giudizio sono poste a carico di parte soccombente, che provvederà anche alla corresponsione delle spese di consulenza, in parte anticipate da parte ricorrente e definitivamente liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sui ricorsi come in epigrafe proposti, previa riunione li accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti oggetto di impugnazione e dichiara l’obbligo di restituzione dei fondi ai privati e di risarcimento del danno.

Condanna il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali (ora Ministero per i beni e le attività culturali) – Soprintendenza Archeologica di Pompei – al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 2.000,00, nonché delle spese di consulenza, definitivamente liquidate in Euro 5.817,64 oltre IVA e 2% come da documentazione esibita dal consulente tecnico e che erano state poste provvisoriamente a carico di parte ricorrente quanto a Euro 3.000,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

La sentenza è depositata presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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