Cass. civ. Sez. III, Sent., 27-06-2011, n. 14080

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 29/2/2008 la Corte d’Appello di Genova, in accoglimento del gravame interposto dal sig. T.E.T. e in riforma della pronunzia Trib. Genova 17/4/2005, rigettava la domanda originariamente proposta nei confronti di quest’ultimo dal sig. S.E. di risarcimento dei danni lamentati in conseguenza della condotta del sig. F.E., promotore finanziario asseritamente "operante per lo studio Tasso", cui aveva versato la somma di 1.400.000 dollari Usa per un’operazione finanziaria che avrebbe fruttato un interesse annuo posticipato del 7,15%, senza che gli venisse poi restituito e corrisposto alcunchè.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il S. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso il T., che spiega altresì ricorso incidentale condizionato sulla base di unico motivo, illustrato da memoria, cui resiste con controricorso il S..
Motivi della decisione

Con il 1^ motivo il ricorrente in via principale denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2049 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente escluso la ricorrenza nel caso dell’occasionalità necessaria tra incombenze affidate e fatto del promotore, laddove i relativi presupposti emergono dal "mandato del 2.1.1996 (v. doc. 4 depositato dalla parte convenuta nel procedimento di primo grado)".

Con il 2 motivo denunzia insufficiente ed "erronea" motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamenta che le argomentazioni poste dalla corte di merito a base della ritenuta esclusione nel caso del presupposto dell’occasionalità necessaria siano invero "inidonee" ed insufficienti a fondarla.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili.

Ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c., nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass. 19/12/2006, n. 27130).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108), e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.

Cass., 17/7/2007, n. 15949).

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, sicchè la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile, non potendo considerarsi in particolare sufficiente ed idonea la mera generica richiesta di accertamento della sussistenza della violazione di una norma di legge (da ultimo v. Cass., 28/5/2009r n. 12649).

Orbene, nel caso il quesito recato dal ricorso non risulta informato allo schema delineato da questa Corte (cfr. in particolare Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), non recando la riassuntiva indicazione degli aspetti di fatto rilevanti;

del modo in cui gli stessi sono stati dai giudici di merito rispettivamente decisi; della diverse regole di diritto la cui applicazione avrebbe condotto a diversa decisione.

Esso si sostanzia invero in richiesta di affermazione di principio di diritto generico e privo di decisività in relazione al caso concreto in esame, non appalesandosi idoneo a consentire, in base alla sua sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 8463), di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr.

Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), nonchè di circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

L’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale invero alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463; Cass. Sez. un., 30/10/2008, n. 26020; Cass. Sez. un., 25/11/2008. n. 28054), (anche) in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444).

La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v.

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Tanto più che nel caso il motivo risulta formulato in violazione del principio di autosufficienza, atteso che il ricorrente fa richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito es., al "mandato del 2.1.1996 (v. doc. 4 depositato dalla parte convenuta nel procedimento di primo grado)", alla "denuncia presentata al Procuratore della Repubblica", alla "missiva del 9 luglio 1999", ai docc. N. 2 e 4 prodotti dal al "dossier titoli di valore corrispondente", alla "targa" apposta alla "dependance imperiese dello studio Tasso", alla "trasmissione al F. del contratto di somministrazione dei titoli intestati al C. per la contestazione al S., all’"incasso" e "versamento in data (OMISSIS) … da parte del F. dell’assegno di L. 50 milioni … intestato allo studio Tasso di (OMISSIS) sul conto del predetto Studio" limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente ed esaustivamente – per quanto specificamente in questa sede d’interesse – riprodurli nel ricorso.

Va ulteriormente posto in rilievo, quanto alla doglianza concernente la prova dell’occasionante necessaria, che l’accertamento della relativa ricorrenza nel caso concreto costituisce giudizio di merito, insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato (v.

Cass., 19/7/2002, n. 10580), come invero nella specie da parte della corte di merito (che l’ha esclusa in ragione della ravvisata impossibilità di farla discendere dalla "sola missiva del 9 luglio 1999 di trasmissione di copia del contratto di amministrazione del dossier titoli per la cointestazione al S. e al C., ben potendo tale profilo di condotta del T. rientrare nell’ambito di una finalità di procacciamento di clienti e non potendo esso per contro venire gratuitamente qualificato alla stregua di "delega sostanziale di attività accessorie al perfezionamento dei contratti di borsa e finanziamento immobiliare").

Quanto al pure denunziato vizio di motivazione, risponde a principio consolidato che a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione:

a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria ( art. 366-bis c.p.c.).

Al riguardo, si è precisato che, rispetto alla mera illustrazione del motivo, l’art. 366-bis c.p.c. impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione "specificamente destinata" (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

Orbene, nel caso il 2 motivo non reca invero la "chiara indicazione" – nei termini più sopra indicati- delle relative "ragioni", inammissibilmente rimettendosene l’individuazione M all’attività esegetica di questa Corte (cfr. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658;

Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Emerge dunque evidente come, lungi dal denunziare vizi della gravata decisione, rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dell’odierno ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, si risolvono in realtà nella mera doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso dal medesimo operata (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., il ricorrente in realtà sollecita, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità dei motivi consegue l’inammissibilità del ricorso, con conseguente assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi. Dichiara inammissibile il ricorso principale, assorbito l’incidentale condizionato. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 18.200,00, di cui Euro 18.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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