Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 09-03-2011) 04-04-2011, n. 13492

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – Con sentenza in data 02.07.2010 la Corte d’appello di Bologna integralmente confermava la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato il rumeno B.M. colpevole dei reati di minaccia ed incendio e, ritenuta la continuazione tra tali delitti, lo aveva condannato alla pena finale di anni 3 e mesi 3 di reclusione.- Ritenevano invero entrambi i giudici del merito che il predetto imputato, in Bologna il 28.05.2001, dopo avere minacciato di bruciare quattro baracche in legno abitate da suoi connazionali, avesse poi effettivamente appiccato il fuoco alle stesse, cagionando concreto pericolo per l’incolumità degli occupanti.- Si era trattato – ritenevano i giudici territoriali – di vero e proprio incendio di rilevanza penalistica, per la diffusività ed ampiezza delle fiamme provocate.- Tutto ciò sulla base delle affidabili dichiarazioni della parte lesa C.T. e del teste N.G., nonchè sugli esiti delle oggettive constatazioni della p.g.- Il B. era stato poi fermato mentre era in procinto di partire per l’estero.- Movente era ritenuto la volontà dell’imputato di punire i connazionali che l’avevano cacciato da quelle baracche che lui stesso aveva costruito.- 2. IL RICORSO – Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’anzidetto imputato che motivava l’impugnazione svolgendo le seguenti deduzioni: – errata qualificazione giuridica ex art. 423 c.p., anzichè danneggiamento seguito da incendio o semplice danneggiamento, posta la modesta entità del fuoco, la sua limitata diffusione, lo spegnimento delle fiamme in breve tempo.- 3. MOTIVI DELLA DECISIONE – Il ricorso, manifestamente infondato, deve essere dichiarato inammissibile con ogni dovuta conseguenza di legge.- Va dapprima rilevato come l’imputato, odierno ricorrente, nulla deduca nè in ordine al reato di minaccia, nè quanto alla propria personale responsabilità nel merito dei fatti contestati.- L’unica deduzione proposta, relativa alla qualificazione giuridica del fatto ritenuto dai precedenti giudici integrare il reato di cui all’art. 423 c.p., è totalmente infondata.- In proposito deve essere qui rilevato come la Corte territoriale – così come, del resto, il primo giudice – ben ha condotto il necessario esame sulla scorta di corretti parametri valutativi, quali insegnati in materia dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità: vasta proporzione del fuoco, sua potenzialità diffusiva, difficoltà di spegnimento (cfr., ex pluribus, Cass. Pen. Sez. 1, n. 14592 in data 16.11.1999, Rv. 216129, Ascenzi; ecc.).- In tal senso risultano logiche e coerenti, sul punto, le motivazioni dell’impugnata sentenza che fanno riferimento alle dimensioni dell’area attinta, al numero delle baracche interessate dalle fiamme, alla vegetazione circostante parimenti bruciata, così come la stessa sovrastante massicciata ferroviaria, con evidente pericolo concreto per la pubblica incolumità.- A fronte di tali obiettivi quanto eloquenti elementi, risultano perciò del tutto irrilevanti le contrarie deduzioni – peraltro largamente in fatto – svolte nel ricorso.- Assolutamente corretto risulta anche il discorso argomentativo della Corte territoriale nell’escludere la possibile ricorrenza di reato meno grave, in particolare quello di mero danneggiamento (ex art. 635 c.p.), assorbito dalla più grave fattispecie di incendio ritenuta sussistente, ovvero di danneggiamento seguito da incendio (ex art. 424 c.p.), per il quale – elemento differenziale essendo quello psicologico: cfr. Cass. Pen. Sez. 1, n. 6250 in data 03.02.2009, Rv.

243228, Cerasuolo – ben è stato ritenuto che la volontà, del resto espressa apertamente dal B. ("brucerete come maiali"), non fosse quella più limitata di recar danno alle cose, ma quella di provocare un evento ben più distruttivo.- Anche sullo specifico punto, del resto, il ricorso si limita a prospettazione generica, quanto apodittica.- L’impugnazione è dunque inammissibile ex art. 591 c.p.p. e art. 606 c.p.p., comma 3.- Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale ritenuta congrua, di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso totalmente infondato (cfr, sentenza Corte Cost. n. 186/2000).- L’inammissibilità del ricorso per cassazione, come sopra dichiarata, preclude ogni possibilità di rilevare, anche d’ufficio ai sensi dell’art. 129 c.p.p., l’estinzione dei reati per prescrizione, pur anche maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di secondo grado, ma non dedotta, nè rilevata da quel giudice (cfr.

Cass. Pen. SS.UU. n. 23428 in data 22.03.2005, Rv. 231164, Bracale).
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente B. M. al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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