T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 29-03-2011, n. 2742

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ato nel verbale;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Banca d’Italia, con provvedimento del 30 luglio 1996, ha respinto l’istanza di riammissione in servizio presentata dal sig. E.I., corredata di copia dell’ordinanza del G.I.P. presso il Tribunale di Roma di revoca della misura cautelare a suo tempo disposta, già sospeso cautelarmente in via obbligatoria dal servizio e dalla retribuzione in relazione al provvedimento di restrizione della libertà personale adottato nei suoi confronti.

Di talché, l’interessato ha proposto il presente ricorso, articolato nei seguenti motivi:

Violazione dell’art. 94, co. 2, Regolamento del Personale della Banca d’Italia, degli artt. 3, 35 e 97 Cost. e principi generali; eccesso di potere.

Il ricorrente sarebbe solo sottoposto ad indagini preliminari dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma e nei suoi confronti non sarebbe pendente alcuna azione penale.

Né la richiesta di rinvio a giudizio potrebbe essere ritenuta equivalente al decreto di rinvio a giudizio, unico atto che darebbe avvio al procedimento penale.

La motivazione del provvedimento sarebbe illogica ed insufficiente.

In particolare, il preteso pregiudizio che potrebbe derivare dalla riammissione in servizio del ricorrente sarebbe infondato in quanto è un operaio addetto al Servizio Elaborazioni Sistemi Informativi e l’episodio che lo ha coinvolto non avrebbe alcuna risonanza ambientale.

Nella fattispecie, inoltre, non sarebbe stato comunicato l’avvio del procedimento.

La Banca d’Italia, con analitica memoria, ha contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto del ricorso.

All’udienza pubblica del 23 febbraio 2011, la causa è stata trattenuta per la decisione.

2. Il ricorso è infondato e va di conseguenza respinto.

La Banca d’Italia, con l’impugnato provvedimento del 30 luglio 1996, ha respinto l’istanza di riammissione in servizio presentata dal sig. E.I. considerato che "le imputazioni a Suo carico assumono una particolare gravità in relazione ai fatti per i quali le stesse sono state formulate e atteso che i fatti medesimi sono tali da menomare la fiducia che è alla base del rapporto di impiego con la Banca, nonché tali da recare pregiudizio all’immagine dell’Istituto, attesa la risonanza ambientale che hanno avuto, e da rendere incompatibile la Sua presenza in servizio".

Pertanto, ha determinato il mantenimento della sua sospensione cautelare dal servizio e dalla retribuzione, commutandone il titolo dal 5° al 2° comma dell’art. 94, parte II, del Regolamento del Personale.

L’art. 94, parte II, del Regolamento del Personale della Banca d’Italia è rubricato "sospensione cautelare dal servizio e dalla retribuzione" e, mentre il quinto disciplina l’istituto della sospensione obbligatoria, conseguente alla sottoposizione del dipendente ad arresto, fermo, custodia cautelare, arresti domiciliari, misura cautelare della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio o altre misure cautelari previste dalla legge che rendano impossibile il normale svolgimento della prestazione, il secondo comma disciplina l’istituto della sospensione facoltativa in quanto attribuisce all’amministrazione la facoltà di sospendere dal servizio e dalla retribuzione il dipendente sottoposto ad azione penale quando la natura dell’imputazione sia particolarmente grave.

Ne consegue che i presupposti affinché l’amministrazione possa legittimamente procedere all’applicazione della misura cautelare di cui all’art. 94, co. 2, del Regolamento del Personale sono due: il primo a carattere vincolato, l’esercizio dell’azione penale; il secondo suscettibile di valutazione discrezionale, la natura particolarmente grave dell’imputazione.

Il ricorrente, con i primi due motivi di impugnativa, ha contestato sia la sussistenza dell’azione penale, sia la logicità della valutazione sulla particolare gravità dei fatti a lui ascritti.

In ordine alla prima questione, il Collegio rileva che, al momento dell’adozione dell’atto, l’azione penale nei confronti del sig. I. era già stata esercitata, sicché sussisteva il presupposto di carattere vincolato per respingere l’istanza di riammissione in servizio e disporre la sospensione cautelare facoltativa del dipendente.

L’esercizio dell’azione penale, e la conseguente assunzione della veste di imputato del soggetto al quale è attribuito il fatto di rilevanza penale, ai sensi degli artt. 60 e 405 del codice di procedura penale, si realizza con la richiesta del Pubblico Ministero di rinvio a giudizio a norma dell’art. 416 c.p.p. ovvero con gli altri atti di cui all’art. 405 c.p.p. con cui si formula l’imputazione.

Nel caso di specie, non solo la Banca d’Italia ha dato atto nel provvedimento contestato che il P.M. presso il Tribunale di Roma ha avanzato nei confronti del ricorrente richiesta di rinvio a giudizio per i reati di cui all’art. 416 c.p., nonché agli artt. 110, 112, 81 cpv., 640, 61 n. 5, 349 e 472 c.p., ma la richiesta del Pubblico Ministero presso il Tribunale di Roma di rinvio a giudizio del dipendente ex artt. 416, 417 e ss. c.p.p. è stata prodotta agli atti del presente processo.

Tale richiesta è stata depositata presso la Cancelleria della Procura della Repubblica del Tribunale di Roma in data 12 luglio 2006 e, quindi, reca una data antecedente a quella, 30 luglio 1996, di adozione del provvedimento impugnato, sicché non può sussistere dubbio che a tale data l’azione penale fosse stata esercitata e che, di conseguenza, fosse presente il presupposto vincolato previsto dalla norma regolamentare per l’esercizio del potere discrezionale di sospensione facoltativa.

L’amministrazione procedente ha evidenziato, in ordine al secondo presupposto per l’adozione dell’atto, vale a dire la natura particolarmente grave delle imputazioni, che le imputazioni a carico del sig. I. assumono una particolare gravità in relazione ai fatti per i quali le stesse sono state formulate e atteso che i fatti medesimi sono tali da menomare la fiducia che è alla base del rapporto di impiego con la Banca, nonché tali da recare pregiudizio all’immagine dell’Istituto, attesa la risonanza ambientale che hanno avuto, e da renderne incompatibile la presenza in servizio.

Il provvedimento, in proposito, indica che la richiesta di rinvio a giudizio è stata avanzata in quanto il ricorrente è imputato dei seguenti reati:

reato di cui all’art. 416 c.p. (associazione a delinquere), perché in Roma, in epoca ricompresa tra il 1990 ed il maggio 1996, si associava con altri soggetti al fine di commettere più delitti di truffa, violazione di sigilli ed uso di strumenti di misura alterati in danno di un numero indeterminato di clienti; più in particolare, in collaborazione con altri soggetti, avvalendosi anche dell’esperienza e competenza nella manutenzione elettronica di impianti di distribuzione carburanti, ideava e fabbricava un dispositivo elettronico da installare presso impianti di distribuzione carburanti, mediante il quale si otteneva l’erogazione di quantitativi di prodotti petroliferi inferiori a quelli ufficialmente indicati dagli strumenti contalitri, allocati all’interno delle singole colonnine di erogazione, promuovendo, organizzando e costituendo un’associazione a delinquere mediante la quale si attivava per il mantenimento e l’espansione dell’impresa criminale reclutando nuovi associati e fornendo altresì assistenza tecnica in relazione all’installazione, funzionamento e manutenzione dei dispositivi elettronici in discorso;

reato di cui agli artt. 110, 112, 81 cpv., 640, 61 n. 5 (concorso in truffa continuata ed aggravata), 349 (violazione di sigilli), 472 (uso o detenzione di strumenti di misura alterati) c.p., perché in Roma, in epoca ricompresa tra il 1990 ed il maggio 1996, agendo con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in concorso con più di cinque persone, mediante artifizi o raggiri consistiti nell’installare – anche previa rimozione dei sigilli apposti all’interno delle colonnine di erogazione carburanti presso più distributori di prodotti petroliferi – i dispositivi elettronici in discorso idonei all’alterazione degli strumenti di misura del carburante erogato, che appariva in quantità superiore a quello effettivamente fornito all’acquirente, si procurava un ingiusto profitto in danno di più persone.

Il Collegio rileva che l’iter argomentativo sulla cui base l’amministrazione ha ritenuto che la natura delle imputazioni sia particolarmente grave e tale da non rendere possibile la riammissione in servizio del dipendente non è manifestamente illogico o irragionevole e, di converso, il provvedimento risulta esaustivamente motivato.

La particolare gravità della natura delle imputazioni, infatti, deve essere valutata in relazione alla compatibilità del rientro o della permanenza in servizio del dipendente e correttamente l’Autorità procedente ha fatto riferimento, da un lato, alla menomazione della fiducia che è alla base del rapporto di impiego, dall’altro, al pregiudizio all’immagine dell’Istituto in ragione della risonanza ambientale del fatto.

I fatti contestati all’imputato, come descritti nella richiesta di rinvio a giudizio e come riportati dall’amministrazione nel provvedimento impugnato, danno ragionevolmente conto della menomazione del rapporto fiduciario anche in relazione al contenuto mansionistico della prestazione lavorativa del ricorrente che tra l’altro, come risulta dalla memoria difensiva depositata dall’amministrazione resistente, ha la possibilità di accesso ai terminali, attraverso i quali sono svolte tutte le attività istituzionali della Banca d’Italia, e svolge compiti di sorveglianza sul personale esterno all’Istituto.

La considerazione che i fatti oggetto dell’imputazione sono tali da recare pregiudizio all’immagine dell’Istituto è parimenti ragionevole, atteso che gli stessi, come puntualmente documentato dall’amministrazione, hanno avuto risalto anche su organi di stampa a diffusione nazionale.

In definitiva, la Banca d’Italia ha esposto congruamente e sulla base di un iter argomentativo immune dai vizi di legittimità prospettati le ragioni per le quali ha ritenuto di adottare il provvedimento di sospensione cautelare facoltativa dal servizio e dalla retribuzione del dipendente ai sensi dell’art. 94, co. 2, II parte, del proprio Regolamento del Personale.

Con riferimento alla prospettata violazione degli artt. 7 ed 8 l. 241/1990, infine, a prescindere dalle evidenti esigenze di celerità insite nell’adozione di un provvedimento cautelare, è sufficiente osservare che l’obbligo di previa comunicazione di avvio del procedimento sancito dall’art. 7 l. 241/1990 non sussiste quando il procedimento, come nel caso di specie, è attivato ad istanza di parte.

3. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in Euro 2.000/00 (duemila/00), sono poste a carico del ricorrente ed a favore dell’amministrazione resistente.
P.Q.M.

Respinge il ricorso in epigrafe.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in Euro 2.000/00 (duemila/00), in favore dell’amministrazione resistente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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