Cass. civ. Sez. V, Sent., 27-06-2011, n. 14060 Accertamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’8 marzo 2005 la CTR del Lazio (sez. Latina) ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate nei confronti della soc. Shop Discount in liq., confermando l’annullamento dell’avviso di rettifica notificato alla contribuente per IVA 1996.

Ha motivato la decisione ritenendo che: a) alla società contribuente era stato inviato un questionario non chiaro; b) le scritture contabili erano state precedentemente depositate presso l’Agenzia e la circostanza non era stata smentita; c) il ricarico del 17,10%, operato d’ufficio, era stato applicato dalla contribuente solo nel dicembre 1994 prima che, per ingenti perdite, la s.r.l. fosse messa in liquidazione e fossero dismessi i punti vendita; d) lo stesso Ufficio aveva potuto verificare la chiusura del punto vendita di Cassino, costituente anche la sede legale.

Ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un solo motivo, l’Agenzia delle entrate; il liquidatore della società contribuente resiste con controricorso.
Motivi della decisione

01. Con l’unico motivo, denunciando insufficiente e contraddittoria motivazione ( art. 360 c.p.c., n. 5) e violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 (art. 360 c.p.c., n. 3), l’Agenzia assume che immotivatamente la sentenza d’appello afferma che si sarebbe in presenza di una illegittima rettifica del volume d’affari, basata esclusivamente sul fatto che sarebbe stata applicata dalla ditta una percentuale di ricarico notevolmente inferiore rispetto a quella mediamente riscontrabile nei supermercati "discount". Sostiene la ricorrente che, riguardo al volume d’affari dichiarato, le vendite risultavano effettuate a prezzi inferiori ai costi dichiarati del venduto, il che di per sè legittimava il ricorso al metodo induttivo D.P.R. n. 633, ex art. 54, atteso che, risultata vuota la sede sociale, il sintetico questionario conoscitivo inviato alla società, con richiesta di esibizione delle scritture contabili, era stato eluso con una risposta meramente interlocutoria. Aggiunge, infine, che la percentuale di ricarico, applicato sull’ammontare del costo dei beni destinati alla rivendita, è stata sì del 17,10%, ma si trattava di quella praticata dalla parte nell’esercizio chiuso al 31 dicembre 1994, peraltro inferiore quella mediamente praticata in analoghi esercizi.

02. A sua volta la controricorrente, in primo luogo, infondatamente eccepisce l’inammissibilità del ricorso per mancata formulazione del quesito di cui all’art. 366bis, inserito nel c.p.c., con decorrenza dal 2 marzo 2006, dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6. La disciplina transitoria, dettata dall’art. 27, stabilisce infatti che tale disposizione si applica ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze pubblicate dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. cit., cioè dopo il 2 marzo 2006, mentre la sentenza della CTR è stata pubblicata l’8 marzo 2005. 03. In secondo luogo, la controricorrente eccepisce l’inammissibilità del mezzo, atteso che la censura sollevata dall’Agenzia non tocca i rilievi all’operato dell’Ufficio formulati dai giudici d’appello. L’eccezione è fondata.

04. Il motivo di ricorso non coglie nel segno, atteso che esso non censura le reali "rationes decidendi" della sentenza impugnata. Nulla dice il ricorso riguardo alla denunciata "non chiarezza" del questionario inviato alla contribuente, alla circostanza del pregresso deposito delle scritture presso l’ufficio, al rilievo delle ingenti perdite con dismissione dei punti vendita, avvio della liquidazione societaria e negative ricadute sue ricavi. Si tratta dei passaggi argomentativi della sentenza d’appello, del tutto trascurati nella stesura del ricorso. Esso, del resto, mira esplicitamente a "una attenta rilettura della parte motiva dell’avviso dei rettifica" (rie. pag. 5), evidentemente inammissibile perchè si risolve in una sostanziale richiesta di riesame del merito mediante apprezzamento dei fatti differente da quello della sentenza impugnata (Cass. 5066/2007). Se si opinasse diversamente, il motivo di ricorso per cassazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, finirebbe per risolversi in una richiesta di sindacato del giudice di legittimità sulle valutazioni riservate al giudice di merito (Cass. 5274/2007).

05. Nè nel ragionamento del giudice d’appello, quale risulta dalla sentenza e come censurato dalla ricorrente, è riscontrabile alcuna obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento favorevole alla contribuente, nè consta che le ragioni poste a fondamento della decisione stesse risultino contrastanti e tali da non consentire l’individuazione della "ratio decidendi" (Cass. 15693/2004).

06. Inoltre, quanto alla denunciata violazione di legge ( D.P.R. n. 633, art. 54), il giudice d’appello, investito del giudizio sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, ha valutato gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio alla luce della prova indiziaria contraria offerta dalla contribuente, che ne era onerata ( art. 2697 c.c., comma 2). Si tratta di risultati impugnabili in cassazione non per il merito, ma solo per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono, come si è detto in precedenza.

07. Peraltro, siccome nel ricorso per cassazione è denunziata violazione e falsa applicazione della legge e non risultano indicate anche le argomentazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le medesime o con l’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, il motivo è evidentemente inammissibile, in quanto non consente a questa Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 12984/2006).

08. Infine, quanto al pure dedotto vizio di motivazione, è imprescindibile che si precisi – mediante integrale trascrizione nel ricorso delle risultanze dell’avviso di accertamento asseritamente decisive o insufficientemente o erroneamente valutate, in quanto per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione il controllo deve essere consentito sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la S.C. accesso agli atti del giudizio di merito (ult. cit.).

09. E’ necessario, infatti, che la parte ottemperi al principio di autosufficienza del ricorso (correlato all’estraneità del giudizio di legittimità all’accertamento del fatto), indicando in maniera a- deguata la situazione fattuale della quale si chiede un’adeguata valutazione, diversa da quella compiuta dai giudici d’appello, asseritamente erronea (Cass. 9206/2000, 721/2001, 9777/2001).

10. Nella specie manca proprio quell’esposizione esauriente (Cass. 7825/2006), che sola consente la chiara e completa cognizione dei fatti (Sez. Un. 11663/2006 e 2602/2003). Nel contesto del ricorso non si rinvengono, invece, quegli elementi indispensabili per una precisa conoscenza (Cass. 3905/1987 e 13550/2004) della vicenda senza la necessità per questa Corte di ricorrere ad altre fonti ( art. 366 c.p.c.; Cass. 11563/2006).

11. Ne consegue che la parte ricorrente non ha assolto l’onere d’indicare specificamente il contenuto del documento impositivo erroneamente interpretato o giuridicamente mal valutato dai giudici di merito, non avendo provveduto alla sua trascrizione (almeno nei punti salienti), al fine di consentire a questa Corte il controllo della decisività della questione, e, quindi, del documento stesso, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, questa Corte, come si è detto, deve essere in grado di compiere sulla base del contenuto dell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative.

12. Il ricorso va, dunque, disatteso con condanna della ricorrente alle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 2.200, di cui Euro 2.000 per onorario, oltre a rimb. forf., i.v.a. e c.a.p. secondo legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *