Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 03-03-2011) 04-04-2011, n. 13557

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

R.W. e A.A. ricorrono avverso la sentenza 11.2.10 della Corte di assise di appello di Palermo che ha confermato quella, in data 6.4.09, della locale Corte di assise con la quale sono stati condannati ciascuno, riconosciute attenuanti generiche prevalenti, alla pena di anni cinque e mesi quattro di reclusione, oltre le pene accessorie di legge, nonchè al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, per il reato di cui all’art. 600 c.p., consistito nell’avere, in concorso tra loro, mantenuto il minore R.F. in uno stato di soggezione continua, approfittando della sua condizione di necessità, costringendolo ad eseguire continuative prestazioni lavorative, consistite nella vendita di fazzolettini agli automobilisti nei pressi dei semafori della città di Palermo e di rose, in orari notturni, nei ristoranti della medesima città.

Deducono i ricorrenti, nel chiedere l’annullamento dell’impugnata sentenza, con il primo motivo una errata interpretazione dell’art. 600 c.p., non rientrando i fatti contestati nella fattispecie prevista da detta norma che configura un reato di evento a forma vincolata in cui l’evento, consistente nello stato di soggezione continuativa in cui la vittima è costretta a svolgere date prestazioni, deve essere ottenuto dall’agente alternativamente, tra l’altro, mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità ovvero approfittando di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, condizioni che nel caso in esame non si erano invece verificate.

Con il secondo motivo si deduce la violazione di norme di diritto internazionale sostenendosi che, essendo tutti gli autori, attivi e passivi, dei fatti di provenienza dal Bangladesh, cioè da una cultura e da un ordinamento che non considerano come un fatto illecito il lavoro minorile, il "potere maschilista" e la violazione dell’obbligo scolastico, ciò che per il diritto italiano costituisce reato può non esserlo nel Bangladesh, non rientrando il divieto dello sfruttamento del lavoro minorile tra gli illeciti penali universalmente riconosciuti.

Con il terzo motivo si deduce violazione degli artt. 192 e seg. c.p.p., dal momento che il pilastro accusatorio, rappresentato dal minore F., si presentava molto fragile e privo di riscontri dato che la sua testimonianza era stata fortemente condizionata dal suo passato e dalla voglia di riscatto sociale, in particolare il desiderio di essere adottato da una ricca famiglia italiana, come gli era stato prospettato come certezza di cambiamento sì da essere indotto a modellare in funzione di ciò le proprie dichiarazioni.

Inoltre – secondo i ricorrenti – il minore presentava una forza di carattere tale da rendere impossibile qualunque tipo di condizionamento psicologico e tanto meno una sua riduzione in schiavitù, come avevano affermato anche i testi della difesa, tra cui K.A. che con lui aveva convissuto e che mai si era avveduto di un allontanamento notturno del minore, laddove invece i testi di accusa – che peraltro erano stati sempre in contatto con il minore parlandogli del processo, sì da inquinare la genuinità della prova – avevano riferito su fatti appresi dal minore, assistendo solo ad una sua sporadica vendita di fiori, il tutto senza il controllo degli imputati, trovandosi R.W. spesso fuori Palermo e la moglie non essendo in grado di controllare il F. in quanto non era in grado di gestire neanche se stessa.

Osserva la Corte che il ricorso è infondato, limitandosi a ripercorrere i motivi di doglianza già evidenziati nell’atto di appello e compiutamente disattesi dai giudici di secondo grado. Va anzitutto rilevato che la condotta di riduzione o mantenimento di persona in stato di soggezione, ove quest’ultima – come nella specie – versi in una situazione di necessità, si ha con l’approfittamento di tale situazione da parte dell’autore, altrimenti essendo necessarie, per l’integrazione del reato di cui all’art. 600 c.p., la violenza o la minaccia, oppure l’inganno o l’abuso di autorità (cfr.

Cass., sez. 3, 12 marzo 2009, n. 13734), configurando la previsione normativa un reato a fattispecie plurima in cui la finalità di sfruttamento – per il perseguimento di prestazioni lavorative forzate o inumane, di prestazioni sessuali pure non libere, di accattonaggio coatto – è quella che distingue la fattispecie di cui all’art. 600 c.p. da ogni altra forma di inibizione della libertà personale e senza che sia invocabile – nell’ipotesi di mantenimento in servitù posta in essere dai genitori nei confronti dei figli e di altri bambini in rapporto di parentela, ridotti in stato di soggezione continuativa e costretti all’accattonaggio – da parte degli autori delle condotte la causa di giustificazione dell’esercizio del diritto, per richiamo alle consuetudini di popolazioni diverse da quella italiana di usare i bambini nel lavoro o nell’accattonaggio, dal momento che la consuetudine può rivestire efficacia scriminante solo in quanto richiamata da una legge, secondo il principio di gerarchia delle fonti di cui all’art. 8 preleggi. Nella specie, del tutto correttamente i giudici territoriali sono pervenuti alla affermazione di responsabilità degli imputati in ordine al delitto loro contestato, sussistendo tutti gli elementi soggettivi ed oggettivi che hanno integrato il reato di cui all’art. 600 c.p..

Il minore F.R., condotto in Italia all’età di 12 anni perchè affidato dal padre, rimasto vedovo in Bangladesh, alla cognata A.A., moglie del fratello R.W. con il quale – già da tempo a Palermo – si stava ricongiungendo, dopo appena una settimana e senza neppure essere in grado – hanno sottolineato i giudici palermitani – di comunicare con altri, ignorando la lingua italiana, era stato impiegato dal W.R. per la vendita, durante il giorno, di confezioni di fazzolettini di carta ed accendini nelle vicinanze dei semafori cittadini e, la sera (fino a notte inoltrata, le ore 3-4 del mattino), di rose nei ristoranti e nei locali notturni, obbligato poi a consegnare agli zii tutto il denaro ricavato da tale attività e sottoposto dagli stessi a perquisizione personale per accertarsi della integrale consegna fino ad ingiuriarlo, percuoterlo e minacciarlo nel caso in cui il guadagno non fosse stato ritenuto sufficiente.

Inoltre – è rimasto accertato in fatto – il minore era stato insufficientemente alimentato dagli zii, che ne avevano trascurato del tutto l’igiene personale (al contrario di quanto avveniva per la loro figlia), impedito di usufruire di momenti di svago, di frequentare la scuola ed addirittura di comunicare telefonicamente con il padre rimasto in Bangladesh, fino a che F. era stato fermato da agenti di polizia mentre era intento a vendere rose in alcuni locali notturni e, essendo sprovvisto di documento di identificazione, era stato accompagnato presso l’abitazione della A. da dove, una volta allontanatisi gli agenti, dopo un violento alterco con la zia, si era poi recato a chiedere aiuto a persone che aveva avuto modo di conoscere presso il locale "(OMISSIS)" e che gli avevano manifestato solidarietà, per essere poi accompagnato presso il competente ufficio della Squadra Mobile della Polizia ed essere successivamente, con provvedimento amministrativo urgente, adottato ai sensi dell’art. 403 c.c., affidato ad una casa-famiglia di Partinico. Tutti gli elementi probatori a carico degli imputati sono stati acquisiti sulla base non solo delle dichiarazioni della p.o., che i giudici del merito hanno ritenuto del tutto attendibili per la loro genuinità, precisione ed assenza di risentimento verso i congiunti, nonchèper essere state reiterate nel tempo, senza contraddizioni, con pacatezza e senza che il F. abbia mai manifestato segni di insofferenza, ma altresì sulla base delle autonome testimonianze delle persone ( D.G., C. G. – assistente sociale – e Ro.Ma., psicologa) che avevano conosciuto il minore, ritenute del tutto attendibili per la loro integrità morale e la qualificazione professionale, le quali hanno riferito di aver sempre visto il minore, allorchè si erano recate presso il locale "(OMISSIS)" per trascorrere alcune ore della notte, in condizioni di trascuratezza fisica e di prostrazione psichica, in pessime condizioni igieniche, oltre che denutrito e privo perfino di biancheria intima, come confermato anche da altra assistente sociale del Comune di Palermo, N.A., la quale ha avuto modo di aggiungere – hanno osservato ancora i giudici palermitani – che il minore appariva terrorizzato per le minacce rivoltegli dai congiunti, tanto da averle confidato di essere stato spesso da loro percosso, e senza che tali emergenze probatorie potessero essere confutate dalle dichiarazioni dei testi addotti dalla difesa, sia perchè – hanno precisato ancora i giudici territoriali – irrilevanti trattandosi di soggetti che avevano affermato di aver visto solo saltuariamente il F., sia perchè sostanzialmente false, come nel caso del teste K. A., coabitante con gli imputati e a questi legato da vincoli di parentela, che era arrivato perfino a negare che il minore si assentasse nelle ore notturne, pur affermando di dividere con lui la camera da letto.

Al rigetto del ricorso segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, che si liquidano in complessivi Euro 2.250,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre accessori come per legge.
P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione di quella sostenute dalla parte civile, liquidate in complessivi Euro 2.250,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre accessori come per legge.

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