Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 03-03-2011) 04-04-2011, n. 13554

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

D.C.C. e M.P. ricorrono avverso la sentenza del Tribunale di Lucca con la quale, in parziale riforma di quella emessa il 22.2.08 dal locale giudice di pace, riqualificato il reato ascritto ai prevenuti al capo D) quale p. e p. dall’art. 594 c.p., sono stati condannati ciascuno alla pena di Euro 100,00 di multa.

Deducono i ricorrenti, nel chiedere l’annullamento dell’impugnata sentenza, violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), anche in relazione all’art. 597 c.p.p., commi 1 e 3, assumendo che con l’atto di appello avevano evidenziato che il reato loro contestato di diffamazione non sussisteva essendo emerso dall’istruttoria che la p.o. era presente all’episodio del 22.7.04, ma tuttavia il Tribunale di Lucca, anzichè annullare la sentenza sul punto accogliendo l’appello, ovvero assolvere gli imputati dal reato di cui all’art. 595 c.p. per insussistenza del fatto, aveva derubricato il reato di diffamazione in quello di ingiurie.

Senonchè – lamentano gli imputati – l’attività difensiva si era concentrata contro la iniziale contestazione del reato di diffamazione, e non di ingiurie, in quanto non era stato chiesto al tribunale di derubricare il reato contestato al capo D), ma di assolvere, anche ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, gli imputati dal reato di diffamazione loro ascritto poichè – si evidenzia con il secondo motivo – non era emersa alcuna certezza circa l’effettiva pronuncia di parole offensive rivolte alla p.o., nè era emerso chi tra i due le avesse proferite.

Osserva la Corte che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza. Quanto al primo motivo, infatti, non vi è stata alcuna violazione del divieto di reformatio in pejus, come sostanzialmente lamentato dai ricorrenti, dal momento che dalla condanna in primo grado per il reato di diffamazione alla pena di Euro 500,00 di multa si è passati, all’esito del giudizio di appello, ad una condanna alla pena di Euro 100,00 di multa per il reato di ingiurie.

Nè può sostenersi essersi avuta, in ipotesi, violazione dell’art. 521 c.p.p., in quanto non vi è stata violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, ma solo una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione, per aversi mutamento del fatto occorrendo una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge sì da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo, avendo i giudici territoriali del tutto compiutamente dato conto del tenore delle espressioni offensive pronunciate, sulla base delle stesse dichiarazioni della parte lesa e dei testi esaminati, nonchè della loro riferibilità ad entrambi gli imputati, unici protagonisti dell’alterco nel corso del quale avevano gridato "a squarciagola" le parole riportate nell’imputazione sub D. Alla inammissibilità dei ricorsi segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che reputasi equo determinare, sempre per ciascuno, in Euro 500,00.
P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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