Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-02-2011) 04-04-2011, n. 13544

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Brescia, con sentenza del 13 maggio 2009, ha riformato parzialmente la sentenza del Tribunale di Bergamo del 7 ottobre 2008 ritenendo applicabile il dettato dell’art. 55 c.p. al delitto di lesioni personali commesso da C.I. in danno di B.G..

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, a mezzo del proprio difensore, lamentandone:

a) la manifesta illogicità della motivazione sui punto della mancata pronuncia di assoluzione, pur avendo ritenuto sussistente l’eccesso colposo di legittima difesa;

b) l’erronea applicazione della legge penale in ordine alla valutazione della sproporzione dell’azione posta in essere dall’imputata come reazione a quella della parte lesa.

Risulta, inoltre, pervenuta memoria difensiva sempre nell’interesse della ricorrente.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e non merita accoglimento.

2. Sostiene, senza alcun appiglio logico-giuridico, la ricorrente, quale primo motivo di ricorso, di dover andar assolta dall’imputazione ascrittale per l’affermata esistenza della causa di giustificazione di cui all’art. 55 c.p..

Dimentica la ricorrente, però, come il suddetto articolo preveda, da un lato, l’esistenza dei presupposti per l’applicabilità al fatto commesso di una delle scriminanti di cui agli artt. 51, 52, 53 e 54 c.p. ma che, di converso, l’agente debba aver colposamente superato i limiti previsti per tale applicabilità, con ciò determinando non il completo venir meno della punibilità bensì l’applicabilità al reato ascritto della pena e della disciplina di cui al corrispondente delitto colposo.

Invero quanto al caso di specie, la figura dell’eccesso colposo sottintende i presupposti della scriminante della legittima difesa e si concreta nel superamento dei limiti ad essa immanenti: ne deriva che, ove non sia giuridicamente prospettabile l’esimente della legittima difesa, non sia concettualmente ipotizzabile neppure l’eccesso colposo; di conseguenza per stabilire se in una determinata vicenda fattuale si siano ecceduti i limiti della legittima difesa bisogna innanzitutto accertare, con valutazione "ex ante", l’inadeguatezza della reazione difensiva per eccesso nell’uso dei mezzi a disposizione dell’aggredito in una precisa situazione e poi procedere ad ulteriore differenziazione tra eccesso dovuto ad errore di valutazione ed eccesso consapevole e volontario, posto che solo il primo rientra nelle schema dell’eccesso colposo, delineato dall’art. 55 c.p., mentre il secondo consiste in una scelta volontaria, la quale comporta di per sè il superamento degli schemi della scriminante (v. da ultimo, Cass. Sez. 5, 4 novembre 2009 n. 3507 e 11 maggio 2010 n. 26172).

Nella fattispecie concreta, essendosi individuati (in base ai dati obiettivi evidenziati dalla Corte territoriale, v. pagina 4 della motivazione) sia l’inadeguatezza della reazione difensiva (messa in moto dell’autovettura nel momento di apertura della portiera da parte della parte offesa) che l’errore di valutazione in merito alle conseguenze della messa in moto stessa si è correttamente affermata la ricorrenza dell’eccesso colposo e sotto codesto profilo va ribadito come il riconoscimento o l’esclusione della legittima difesa reale o putativa ovvero dell’eccesso colposo nella stessa costituisca giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità, quando gli elementi di prova siano stati puntualmente accertati e logicamente valutati dal giudice di merito (v. Cass. Sez. F, 26 agosto 2008 n. 39049).

3. Infatti, quanto al secondo motivo del ricorso teso per l’appunto a contrastare l’accertamento del fatto compiuto dal Giudice del merito, si osserva, come ribadito costantemente da questa Corte, che pur dopo la nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, il sindacato del Giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato debba essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia:

a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;

b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica;

c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;

d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per Cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.

Il Giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti "atti del processo".

Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi – anche a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi "atti del processo" e di una correlata pluralità di motivi di ricorso – in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale "esistenza" della motivazione e sulla permanenza della "resistenza" logica del ragionamento del Giudice.

Al Giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal Giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.

Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo Giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai Giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.

La Corte di Appello di Brescia, nel caso sottoposto all’attenzione di questa Corte Suprema, ha logicamente fatto discendere dalla corretta lettura degli atti di causa, più in particolare dell’effettuata istruttoria dibattimentale, le conseguenze in punto di diritto dianzi evidenziate per cui non può procedersi al chiesto annullamento di tale decisione.

La sproporzione tra l’azione della ricorrente e quanto posto in essere dalla parte offesa appare sussistente ictu oculi, non essendo logicamente concepibile giustificare la messa in moto di un veicolo, con le prevedibili conseguenze in ordine alla salute fisica del soggetto che vi si era appoggiato e a fronte di una mera discussione verbale tra i soggetti interessati, non risultando neppure dagli atti di causa la pretesa impossibilità di muoversi da parte dell’odierna ricorrente.

4. Il ricorso va, pertanto, rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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