Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-02-2011) 04-04-2011, n. 13542 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Torino, con sentenza del 12 giugno 2009, ha parzialmente confermato la sentenza del Tribunale di Verbania del 17 aprile 2008, nei confronti di M.G. titolare della omonima ditta individuale, dichiarata fallita il (OMISSIS), mantenendo, per quanto d’interesse del presente procedimento, la condanna per bancarotta fraudolenta per distrazione e documentale.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato personalmente, il quale lamenta:

a) la incompatibilità di un componente del Collegio di primo grado;

b) la mancanza dell’elemento soggettivo del reato ascrittogli.

3. Prima dell’udienza, a mezzo fax, l’avvocato Monica Marciano difensore d’ufficio del ricorrente ha evidenziato una presunta nullità, ex art. 613 c.p.p., comma 4, del giudizio per mancato avviso dell’udienza avanti questa Corte all’imputato.
Motivi della decisione

1. Il ricorso non è meritevole di accoglimento essendo, peraltro, ai limiti della inammissibilità, vertendo su motivi già presentati e disattesi dalla Corte di Appello di Torino.

2. Preliminarmente deve essere, però, affrontata la evidenziata nullità che in realtà non sembra sussistere in quanto l’imputato, in appello, era dotato di difensore di fiducia e pur avendo redatto personalmente il ricorso non ha mai provveduto a revocare formalmente la nomina del difensore di fiducia.

Pienamente corretto appare, quindi, l’avviso di fissazione dell’udienza inviato all’originario e mai revocato difensore di fiducia, peraltro, domiciliatario avvocato Clarissa Tacchini con studio in Verbania.

3. Il primo motivo del ricorso è del tutto infondato in quanto, come correttamente affermato dalla Corte territoriale sulla scorta della pacifica giurisprudenza di legittimità (v., oltre le sentenze citate, da ultimo Cass. Sez. 5, 12 marzo 2010 n. 13593), l’esistenza di cause d’incompatibilità del Giudice, non incidendo sulla sua capacità non determina la nullità del provvedimento adottato dal Giudice ritenuto incompatibile ma costituisce esclusivamente motivo di ricusazione che deve essere ritualmente fatto valere ai sensi dell’art. 37 c.p.p..

4. Analogamente il secondo motivo del ricorso è da respingere, con la precisazione che lo stesso, pur essendo stato intitolato come contestazione sull’elemento soggettivo dei reati ascritti, in realtà propone una generica contestazione sull’affermazione della penale responsabilità dell’imputato.

Tale precisazione non sposta, però, minimamente i termini della questione avendo la Corte territoriale ben motivato sia sulla non necessità del dolo specifico per integrare gli estremi soggettivi degli ascritti delitti di bancarotta fraudolenta che sulla esistenza delle condotte idonee a integrare sia la bancarotta per distrazione che quella documentale.

E’, ormai, giurisprudenza del tutto maggioritaria quella che afferma il principio secondo il quale per la integrazione del reato di cui alla seconda ipotesi del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 216, comma 1, n. 2, ravvisabile nella condotta dell’aver tenuto i libri e le altre scritture contabili in modo tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio della società o del movimento degli affari, sia sufficiente il dolo generico, ossia la consapevolezza che la confusa tenuta della contabilità renderà o potrà rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio, considerato che la locuzione "in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari", formulata appunto in relazione alla fattispecie della irregolare tenuta delle scritture contabili, connoti la condotta e non la volontà dell’agente, sicchè è da escludere che configuri il dolo specifico, (v. Cass. Sez. 5, 13 giugno 2007, n. 34933 e da ultimo Sez. 5, 25 marzo 2010 n. 21872).

In definitiva, occorre l’intenzione di impedire la mera conoscenza relativa al patrimonio o al movimento degli affari ma non occorre, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, l’intenzione di recare pregiudizio ai creditori e nemmeno la rappresentazione di questo pregiudizio.

Essendo provate le distrazioni, ai fini della sussistenza del reato contestato non ha, poi, alcun rilievo la mancanza del nesso causale con il pregiudizio ai creditori, in quanto i fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilevanza penale in qualunque tempo essi siano stati commessi, e quindi anche se la condotta si sia realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza, non richiedendo le legge un nesso causale o psichico tra la condotta dell’autore e il dissesto dell’impresa, e, quindi il pregiudizio dei creditori, previsto soltanto per l’ipotesi di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, (v.

Cass. Sez. 5, 15 luglio 2008, n. 39546 e da ultimo Sez. 5, 14 gennaio 2010 n. 11899).

Ne discende che, ai fini dell’elemento soggettivo, non è, neanche in tale fattispecie, necessario il dolo specifico, e cioè la consapevolezza di portare al dissesto la società, ma è sufficiente il dolo generico, consistente nella consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte.

5. Il ricorso deve, in conclusione, essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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