T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 29-03-2011, n. 480 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

T.S., titolare in Lograto (Bs) di un’azienda agricola denominata "Valabbio", presentava il 10 aprile 2006 al protocollo del confinante Comune di Travagliato una richiesta di permesso di costruire letteralmente relativa ad un "intervento di recupero ambientale in zona Bissa", intervento specificato come "parco naturale", domanda nella quale, sempre alla lettera, precisava che il "fabbricato" di interesse era sito in "zona Bissa, foglio 23, mappali 36, 37, 38, 39, 56, 57, 58, 64, 65" del locale catasto, classificata come "zona E1 del PRG denominata agricola produttiva" (doc. 4 Comune in ricorso n°1028/08, prime quattro pagine, copia richiesta).

E’da considerare localmente notorio, e del resto risulta dagli elaborati del piano paesistico comunale allora vigente, prodotti in copia per estratto dal ricorrente come doc. 3, che il sito Bissa è l’unico fontanile esistente nel Comune di Travagliato e si trova nel lembo meridionale del relativo territorio, a nord di due cascine denominate "Maddalena" e "Sabbionera"; esso è di natura artificiale, fu costruito per iniziativa dell’allora proprietario dei terreni negli anni 20 del secolo scorso, e per la sua particolare posizione, a nord della linea delle risorgive, è sovente in secca; nel corso degli anni, è stato "colonizzato dalle piante pioniere tipiche dell’areale, che nel complesso formano un bosco… di notevole caratura ambientale, il sito è caro a tutti i travagliatesi, che, da sempre, lo frequentano nella stagione estiva alla ricerca di frescura e di svago" (doc. 3 ricorrente, cit., pp. 15 e 52, dalla quale la citazione), il sito è quindi classificato dal piano paesistico in questione come "sito notevole", di sensibilità paesistica "molto alta" (doc. 3 ricorrente, cit. pp. 51 e 61).

A fronte della richiesta suddetta, T.S. otteneva quindi il rilascio del permesso di costruire 11 aprile 2007 n°5/2007, relativo, sempre secondo la lettera del documento, a opere di "recupero ambientale in zona Bissa", localizzate sui medesimi mappali di cui alla richiesta, peraltro erroneamente indicati come appartenenti al foglio 20; con una "dichiarazione in appendice" al permesso in parola, emanata il 31 gennaio 2008 su sua richiesta, T.S. otteneva poi che la descrizione delle opere appena indicata si intendesse specificata come "permesso di costruire convenzionato per la realizzazione di laghetto per itticoltura intensiva e laghetto di pesca sportiva e annessi fabbricati di servizio" (doc. ti ricorrente 1 e 1bis in ricorso n°1028/08, copie permesso e appendice allo stesso, conformi a quanto risulta dal doc. 4 Comune, cit., ove la richiesta 14 gennaio 2008 di rilascio dell’appendice descritta). Dalla relazione tecnica formata da un agronomo incaricato dalla proprietà, certo Zola, in data 2 febbraio 2006 e successivamente recepita come allegato tecnico al permesso di costruire n°5/2007, è dato ricavare maggiori dettagli sulla natura delle opere assentite, costituite dalla "realizzazione di due bacini idrici (uno utilizzato per l’attività di itticoltura ed uno realizzato come bacino di accumulo per riserva idrica nell’ambito della "riattivazione" e riqualificazione ambientale del fontanile Biscia (all’evidenza, italiano per il dialettale "Bissa")), nella realizzazione di aree boscate, aree cespugliate e aree umide e nella realizzazione di strutture rurali"; si ricava ancora che il secondo laghetto è destinato ad una attività di pesca sportiva a pagamento (doc. 15 Comune in ricorso n°1028/08, copia relazione Zola, pp. 3, da cui la citazione, e 35).

Discende poi dalla comune logica che per la realizzazione di laghetti sia necessario scavare e asportare una corrispondente quantità di materiali inerti; il permesso di costruire n°5/2007 sul punto "precisa che prima dell’inizio dei lavori di escavazione e della commercializzazione dell’inerte si dovrà ottemperare all’autorizzazione regionale così come dall’art. 36 comma 3 della l.r. 14/98" (doc. 1 ricorrente, cit., seconda pagina in fondo).

Poco prima del rilascio del permesso di costruire, T.S. stipulava poi con il Comune una "convenzione urbanistica per permesso di costruire convenzionato di iniziativa privata denominato "recupero ambientale Bissa’", atto 4 aprile 2007 rep. n°47995 racc. n°20717 Notaro Garioni di Travagliato, dalla quale, per quanto qui interessa, risulta quanto segue.

Nelle premesse dell’atto, T.S. si dichiara anzitutto proprietario dei soli mappali 37, 38 e 39 del foglio 23, per una superficie complessiva di mq 233.590,33; dichiara ancora che gli stessi sarebbero classificati dal piano regolatore vigente come zona E agricola produttiva per mq 179.834,01 e per altra parte come "zona omogenea "parco Bissa’"; in proposito, sempre nelle premesse, si afferma che tale zona omogenea sarebbe costituita da 53.756,22 mq di terreno "di cui 35.000 mq circa già di proprietà S.T. (fg. 23 mapp. 37, 38 e 39); i restanti 18.000 circa (fg. 23 mapp. 3536) da reperire a cura del Comune ed a spese della ditta S.T. fino alla concorrenza di Euro 20,00 al mq oltre gli adeguamenti ISTAT di mercato" (doc. 4 ricorrente in ricorso n°1028/08, copia convenzione, p. 2 Par. B delle premesse). Il punto è ribadito anche al successivo articolo 2 della convenzione, ove si dà atto che le aree che fanno parte "del parco e più ampiamente dell’intero complesso… non direttamente disponibili in quanto non di proprietà del lottizzante saranno acquisite dal Comune a spese del lottizzante stesso" allo stesso importo già precisato (doc. 4 ricorrente, cit. p. 3). La convenzione in prosieguo prevede un termine di trentasei mesi dalla stipula, ovvero al massimo dal "ritiro delle concessioni" per l’ultimazione delle opere (doc. 4 ricorrente, cit. pp. 3 e 4); descrive le opere stesse come laghetti, da realizzare in conformità ad un progetto esecutivo da predisporre, bosco di pianura da piantumare, chiosco per bibite, edificio per agriturismo e box per cavalli, con opere di urbanizzazione complementari costituite da strade di accesso e parcheggi (doc. 4 ricorrente, cit. p. 7 Par. 8); prevede infine un vincolo trentennale ad uso pubblico del parco così realizzato, destinato all’accesso gratuito da parte dei cittadini. Da ultimo, va notato come la convenzione preveda per implicito un utilizzo degli inerti prodotti dallo scavo dei laghetti, in quanto all’art. 8 consente di installare sul posto i macchinari per la prima lavorazione e pesatura degli stessi; agli articoli 6 comma 5 e 9 comma 1 prevede poi un contributo in ragione di un tanto a metro cubo estratto che S. si impegna a versare al Comune (doc. 4 ricorrente, cit.).

Ciò posto, T.S. otteneva dapprima dal Comune, con delibera di Giunta 21 maggio 2007 n°109, l’approvazione della "proposta di convenzione" fra egli stesso e l’ente "per la commercializzazione dell’inerte proveniente dagli scavi autorizzati nell’ambito del progetto di recupero ambientale dell’area Bissa e laghetti per la pesca sportiva"; tale proposta, in altri atti denominata anche "bozza" fa riferimento, nelle premesse della delibera, ad una richiesta "di poter esercitare un’attività di itticoltura con conseguente attività di scavo… sui mappali di proprietà n°37, 38, 39, 40, 41, 42, 56, 57, 58, 59 fg. 23" del catasto di riferimento (doc. 7 ricorrente in ricorso 1028/08, copia deliberazione). Di conseguenza, S. presentava, in data 13 febbraio 2008, domanda al competente ufficio regionale al fine di essere autorizzato alla commercializzazione in parola, come previsto dal vigente art. 36 comma 3 della l.r. Lombardia 8 agosto 1998 n°14 (doc. 6 ricorrente in ricorso 1028/08, copia domanda; l’esatta data di presentazione si desume dal doc. 20 ricorrente nel medesimo ricorso, del quale appresso); a fronte di tale domanda otteneva il decreto 4 agosto 2008 n°8618, di cui pure in epigrafe, della Direzione regionale qualità dell’ambiente, che testualmente lo autorizza "alla commercializzazione del materiale inerte consistente in sabbia e ghiaia proveniente dalla realizzazione di due bacini idrici per la pesca sportiva e l’allevamento ittico in località Sabbionera sui mappali n°36, 37, 38, 39, 56, 57, 58, 64 e 65 del foglio 23 del comune censuario di Travagliato, per un volume complessivo di mc 1.129.856 e per un periodo di anni tre" decorrenti dalla notifica dell’atto (doc. 20 ricorrente in ricorso n°1028/08, copia decreto regionale in parola). Il decreto in questione subordina l’autorizzazione alla perdurante efficacia del permesso di costruire n°5/2007 più volte citato, e vincola in modo esplicito T.S. al rispetto "degli obblighi di cui alla bozza di convenzione approvata con deliberazione della Giunta comunale di Travagliato n°109 del 21 maggio 2008" (doc. 20 ricorrente, cit.).

A tale ultimo proposito, va infatti evidenziato che T.S., per quanto avesse, nella domanda 13 febbraio 2008 di cui si è detto (doc. 6 ricorrente, cit. seconda pagina in fondo), dichiarato di allegare la "convenzione stipulata", in realtà disponeva soltanto della bozza approvata dalla Giunta; è per tal motivo che, con propria missiva 7 agosto 2008, diffidava il Comune a "rimettere senza ritardo copia della predetta convenzione debitamente sottoscritta", ma come si vedrà senza esito (doc. 21 ricorrente in ricorso n°1028/08, copia diffida in questione). Si nota ancora che la bozza di convenzione, così come allegata alla delibera di Giunta 109/2007 e alla diffida in parola, abilita S. ad eseguire l’estrazione di materiali "sulle aree contraddistinte dai mappali n°36, 37, 38, 39, 56, 57, 58, 64, 65 del foglio 20 (in realtà, 23)" del catasto comunale (doc. 21 ricorrente, cit., art. 1 alla seconda pagina; che il testo sia conforme alla bozza approvata dalla Giunta si desume dalla delibera 43/2008, doc. 24 ricorrente in ricorso n°1028/08, di cui appresso).

A seguito degli atti appena descritti, peraltro, il Comune, nel quale nel frattempo era mutata la maggioranza politica (il fatto va ritenuto localmente notorio, salvo quanto si dirà nell’illustrare i motivi di ricorso), manifestava un atteggiamento contrario alla realizzazione del progetto S., atteggiamento tradotto in pratica nei provvedimenti di cui subito si dirà.

In primo luogo, con ordinanza 9 agosto 2008 n°1993, il Comune, per tramite del Dirigente dell’area tecnica, ordinava al medesimo S., appunto quale titolare del permesso di costruire n°5/2007, "di sospendere immediatamente i lavori di escavazione in corso nel terreno" distinto al locale catasto al foglio 23, mappali 38, 39, 56, 57, 58 (ora 117, 118, 119) e 122. In tale provvedimento, il Comune si riferiva anzitutto ad un verbale di sopralluogo della Polizia locale del giorno 8 agosto 2008, nel quale si dava conto di "diversi lavori di escavazione di ingenti dimensioni e profondità" eseguiti sul posto; rilevava come tali lavori fossero subordinati, a termini del permesso di costruire 5/2007, all’autorizzazione regionale a commercializzare gli inerti, e come la stessa non risultasse pervenuta agli atti del Comune; rilevava ancora la mancata stipula della relativa convenzione, l’omissione di tutta una serie di cautele previste dalla convenzione stessa per verificare le quantità di inerti estratti – in sintesi, la posa di punti fissi di misura- e l’avvio di un procedimento, nei termini che si illustreranno, di annullamento in autotutela del medesimo permesso 5/2007 (doc. 22 ricorrente in ricorso n°1028/08, copia ordinanza).

In via successiva, il Comune di Travagliato, con deliberazione consiliare 10 agosto 2008 n°34, resa in pubblica seduta presso il Teatro Comunale, decideva di adottare una variante allo strumento urbanistico generale, che per l’avvenire andava sostanzialmente a precludere progetti dei tipo di quello assentito a favore di T.S. (doc. 23 ricorrente in ricorso 1028/08, copia delibera citata).

Ancora successivamente, sempre il Comune, con la delibera di Giunta 11 agosto 2008 n°43 cui si è accennato, avviava un procedimento di "revoca e/o annullamento, in via di autotutela… della deliberazione della Giunta comunale n°109 del 21 maggio 2007", ovvero dell’approvazione della bozza della convenzione necessaria a commercializzare gli inerti, e ciò, in sintesi estrema, in base a tre ordini di ragioni: in primo luogo, rilevava come, in base ai descritti contenuti del permesso di costruire 5/2007, della convenzione urbanistica, della delibera 109/2007 e della bozza di convenzione relativa agli inerti, vi fosse incertezza in ordine all’effettiva proprietà in capo a S. delle aree interessate; in secondo luogo, affermava che l’intervento in questione, data la descritta qualità del sito interessato, sarebbe stato in contrasto con il piano paesistico comunale; infine, affermava che l’attività di escavo e commercializzazione di inerti ad esso collegate avrebbe integrato un "vero e proprio aggiramento" della legge regionale in materia di cave, aggiramento che avrebbe consentito al beneficiario di "ricavare… guadagni prevedibilmente consistenti" a fronte di un beneficio economico molto modesto per l’ente, sì da poter ingenerare "responsabilità contabile ed erariale… per il grave danno e la lesione arrecati all’interesse e al patrimonio pubblico" (doc. 24 ricorrente in ricorso 1028/08, copia delibera citata; le citazioni sono a p. 6 penultimo e terzultimo paragrafo e a p. 7 secondo paragrafo). Di conseguenza il Comune, con deliberazione di Giunta 25 agosto 2008 n°45, decideva di impugnare in sede giurisdizionale l’autorizzazione a commercializzare gli inerti, dando luogo, come si vedrà, al ricorso n°1140/2008 R.G. (doc. 25 ricorrente in ricorso 1028/08, copia delibera citata).

Parallelamente, sempre il Comune disponeva infine con provvedimenti 18 agosto 2008 prot. n°13043 e 4 settembre 2008 prot. n°13715, ancora del Responsabile di area tecnica, l’annullamento in via di autotutela del permesso di costruire 5/2007 (doc. ti ricorrente 26 e 27 in ricorso 1028/08, copia di detti provvedimenti); con ordinanza 24 settembre 2008 n°2001 dello stesso Responsabile, la rimessione in pristino del sito (doc. 27 ricorrente in ricorso 1028/08, copia detta).

L’annullamento in autotutela motiva anzitutto, nel provvedimento 18 agosto 2008, con la lesione della competenza del Consiglio comunale, che avrebbe asseritamente dovuto approvare l’intervento in luogo della Giunta; nel provvedimento 4 settembre 2008 aggiunge poi una serie di rilievi ulteriori: la non corrispondenza fra i mappali indicati dal permesso di costruire come sedime del progetto e quelli considerati nei disegni tecnici allegati ("nel permesso non vengono indicati i mappali n°35, 122, 53, 59, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47 del foglio 23"); l’errata classificazione dei terreni interessati nella convenzione urbanistica ("per i mappali ivi indicati (mappali n°35, 36, 37, 38, 39 del foglio 23…) zone omogenee inesistenti nel PRG e nelle NTA (zona omogenea Parco Bissa inesistente) o errate. Così per alcuni mappali, fra i quali il n°40, 41, 42 del fg. 23 viene indicata la zona omogenea E1 agricola produttiva, mentre sono ricompresi in altra zona, parte in zona E2 agricola di salvaguardia, parte in zona E6 rispetto ambientale, parte RCN fasce di rispetto canale navigabile e pertanto sottoposta ad altre limitazioni"); la mancanza in capo a T.S. di titoli di proprietà o affini sui mappali 43 e 44, interessati dallo scavo di uno dei laghetti; il carattere di sensibilità paesistica del sito; il divieto ai sensi dell’art. 133 comma 1 lettera a) del RD 8 maggio 1904 n°368 di svolgere lavori di escavo su terreni come il mappale 122 sui quali insiste un canale di bonifica (doc. 27 ricorrente, cit.).

L’ordinanza di rimessione in pristino invece richiama la circostanza, già valorizzata nell’ordinanza di sospensione lavori, dell’avvenuta realizzazione di ingenti scavi, e motiva sia con riguardo all’annullamento del permesso di costruire, sia con riguardo alla mancata sottoscrizione della convenzione per commercializzare gli inerti; ordina quindi il ripristino dei mappali 117, 57, 58, 59 e 38 del foglio 23 (doc. 28 ricorrente, cit.).

La vicenda sin qui descritta ha generato il complesso contenzioso di cui in epigrafe, di cui occorre dare precisamente conto.

Dapprima, con ricorso rubricato al n°1028 R.G., T.S. ha impugnato l’annullamento in autotutela del permesso di costruire 5/2007, ovvero i provvedimenti 18 agosto 2008 prot. n°13043 e 4 settembre 2008 prot. n°13715 già citati e meglio indicati in epigrafe, dai quali esso consta, con ricorso articolato in cinque censure, riconducibili in ordine logico ai seguenti sei motivi:

– con il primo di essi, corrispondente alla prima parte della quinta censura a p. 28 dell’atto, deduce violazione dell’art. 7 della l. 7 agosto 1990 n°241, nel senso che il solo provvedimento 4 settembre 2008 prot. n°13715, integrativo del precedente, sarebbe stato emanato in difetto dell’avviso di inizio del procedimento, asseritamente inviato solo quanto al provvedimento 18 agosto;

– con il secondo motivo, corrispondente alla quarta censura a p. 24 dell’atto, deduce eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica dell’atto. Afferma infatti che l’annullamento di che trattasi costituirebbe una "ritorsione politica" (v. p. 26 dell’atto, quindicesimo rigo) della nuova maggioranza politica nei confronti della maggioranza uscente, e che ciò sarebbe comprovato da varie circostanze sintomatiche. Ricorda infatti il ricorrente che l’attuale Sindaco, l’avv. Dante Daniele Buizza, allora consigliere comunale di minoranza, unitamente ad altri suoi colleghi, ora facenti parte della maggioranza, aveva promosso un ricorso giurisdizionale a questo TAR contro il rilascio del permesso di costruire in parola, ricorso che faceva centro proprio sull’asserita lesione delle competenze consiliari, e che era stato respinto in sede cautelare di appello (doc. ti ricorrente da 10 a 13 in ricorso 1028/08, copie atti relativi). Ricorda ancora il ricorrente che lo stesso avv. Buizza, non ancora divenuto Sindaco, aveva patrocinato altro ricorso contro il progetto di che trattasi, promosso da un vicinante e poi rinunziato (doc. 14 ricorrente in ricorso 1028/08, copia sentenza sul punto). Da tali circostanze e dall’immediato attivarsi nel senso descritto della nuova amministrazione, guidata appunto dall’avv. Buizza, deduce l’intento ritorsivo di cui si è detto;

– con il terzo motivo, corrispondente alla prima censura alla p. 13 dell’atto, deduce violazione dell’art. 21 novies (lezione corretta per il "nonies" del testo legislativo) della l. 241/1990, in quanto l’annullamento di ufficio del permesso di costruire sarebbe avvenuto senza allegare un interesse pubblico concreto ed attuale a procedervi, tale non potendo essere, ad avviso del ricorrente la semplice violazione delle competenze del Consiglio comunale, specie se parametrata al sacrificio imposto al privato;

– con il quarto motivo, corrispondente alla residua parte della quinta censura, alle pp. 2938 dell’atto, deduce ancora violazione dell’art. 21 novies, nel senso che a suo dire nessuno dei profili di illegittimità posti dall’amministrazione a fondamento dell’autotutela in realtà sussisterebbe. Non sussisterebbe in primo luogo violazione delle competenze consiliari, in quanto l’intervento di che trattasi si sarebbe potuto realizzare, come nella specie avvenuto, in base a semplice permesso di costruire convenzionato; ciò sarebbe dimostrato anche dall’esito del ricorso al TAR di cui si è detto, promosso a suo tempo dai consiglieri di minoranza. Non rileverebbe sotto alcun profilo il mancato ottenimento dell’autorizzazione a commercializzare gli inerti, dato che quest’ultima era prevista come solo eventuale. Non sussisterebbe poi alcuna incertezza sui mappali oggetto dell’intervento, che nel testo del permesso di costruire sarebbero indicati in modo inesatto, ma risulterebbero in modo chiaro dagli elaborati grafici. Non sussisterebbe ancora alcun errore rilevante in ordine alla classificazione urbanistica dei terreni interessati, nel senso che per "zona omogenea parco Bissa" si sarebbe dovuta intendere all’evidenza la zona F1 per servizi pubblici, che nessuna differenza comporterebbe avere indicato il resto del terreno come semplice zona agricola, che l’azzonamento come E6 del sito del fontanile non comporta illegittimità dell’intervento in esame, che l’azzonamento come RCN- rispetto canale navigabile sarebbe non corrispondente ai fatti. Ancora, il riferimento ai mappali 43 e 44 sarebbe poi errato, perché gli stessi sarebbero estranei al progetto, il progetto stesso rientrerebbe fra quelli ammessi dallo strumento urbanistico per l’area in questione e il mappale 122, lungi dall’essere occupato da un’opera pubblica, sarebbe di proprietà del ricorrente stesso (doc. 31 ricorrente in ricorso 1028/08, copia atto di acquisto);

– con il quinto motivo, corrispondente alla seconda censura a p. 18 dell’atto, deduce ulteriore violazione dell’art. 21 novies, nel senso che l’esercizio dell’autotutela sarebbe nella specie avvenuto al di là del ragionevole termine previsto a tal fine, anche alla luce dello stato dei lavori, asseritamente avanzato;

– con il sesto motivo, corrispondente alla terza censura a p. 21 dell’atto, deduce ancora violazione dell’art. 21 novies, sotto il profilo della mancata considerazione degli interessi del privato. In proposito evidenzia, come già accennato, che i lavori sarebbero giunti ad uno stato avanzato, che ciò avrebbe comportato anche notevoli esborsi da parte sua (doc. 8 ricorrente in ricorso 1028/08, copia fatture dichiarate come pertinenti), e che il Comune avrebbe pretestuosamente negato tale dato di fatto (doc. 15 ricorrente in ricorso 1028/08, copia verbale sopralluogo), salvo poi contraddirsi nella citata ordinanza di sospensione lavori, ove si parla di "diversi lavori di escavazione di ingenti dimensioni e profondità" (doc. 22 ricorrente, cit.).

Con memoria 12 novembre 2008, il ricorrente ha ribadito le proprie ragioni.

Nel ricorso 1028/08 in esame, il Comune di Travagliato resiste con memorie 10 novembre 2008 e 5 gennaio 2011, domandando che lo stesso sia respinto. In proposito, deduce in particolare che l’autorizzazione regionale a commercializzare gli inerti doveva intendersi come condizione di efficacia del permesso di costruire 5/2007, che la consistenza delle opere realizzate non è rilevante, che nessuna strumentalizzazione politica nei confronti di S. era avvenuta; difende poi in sintesi la legittimità dell’annullamento.

Con ordinanza 13 novembre 2008 n°789, la Sezione accoglieva in parte la domanda cautelare, evidenziando comunque la necessità di verificare "la possibilità di realizzare il programma descritto nel progetto anche con riguardo alle aree attualmente di proprietà di terzi" e di eseguire da parte dell’amministrazione approfondimenti in ordine al rispetto dei valori ambientali.

Parallelamente, il Comune di Travagliato, in esecuzione della citata delibera di Giunta 45/2008, ha impugnato il provvedimento regionale di autorizzazione a commercializzare gli inerti, decreto regionale 4 agosto 2008 n°8618 pure già citato e meglio indicato in epigrafe, con ricorso rubricato al n°1140/2008 di R.G. e articolato in due motivi:

– con il primo di essi, deduce eccesso di potere per difetto di istruttoria, non avendo la Regione tenuto conto dell’avvio del procedimento di annullamento in autotutela del permesso di costruire 5/2007, avvio che pure le era stato reso noto;

– con il secondo di essi, deduce ulteriore eccesso di potere, per non avere il decreto impugnato, oltretutto emesso dopo un precedente diniego, né tenuto conto del parere negativo della Provincia, né correttamente verificato quali fossero i mappali oggetto di escavazione, né tenuto conto della mancata stipula della convenzione con il Comune.

In tale ricorso 1140/08, hanno resistito la Regione, con atto 11 febbraio 2009 e memoria 7 gennaio 2010, e T.S., qui controinteressato, con atto 6 ottobre 2009 e memoria 4 gennaio 2011, i quali ne hanno chiesto la reiezione. La Regione ha comunque puntualizzato che il proprio provvedimento deve intendersi come relativo al mero aspetto della commercializzazione, e pertanto che la sua efficacia sta e cade con quella del permesso di costruire 5/2007; ha quindi evidenziato come ogni diverso aspetto, di compatibilità paesistica e urbanistica, del progetto sia di competenza comunale. In base a ciò, la difesa S. ha sostenuto l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, in quanto rivolto avverso un provvedimento privo di efficacia, in ragione del disposto annullamento in autotutela.

Con il ricorso principale nel procedimento 1266/08, T.S. ha poi impugnato i residui provvedimenti lesivi di cui si è detto, ovvero le ordinanze di sospensione lavori 9 agosto 2008 n°1993 e di rimessione in pristino 24 settembre 2008 n°2001; si duole poi, con il medesimo ricorso, del silenzio sulla sua istanza 7 agosto 2008, volta ad ottenere la stipula della convenzione necessaria a commercializzare gli inerti, silenzio che a suo dire integrerebbe un silenzio inadempimento. A parte ciò a sostegno della domanda di annullamento proposta con il ricorso principale, deduce sei complesse censure, riconducibili secondo logica ai seguenti nove motivi:

– con i primi sei motivi, corrispondenti, salvo quanto appresso, alle prime cinque censure alle pp. 1649 dell’atto, deduce motivi identici a quelli proposti nel ricorso 1028/08, prospettandoli come denuncia di vizi di illegittimità delle ordinanze in parola derivati dall’asseritamente illegittimo annullamento del permesso di costruire 5/2007;

– con il settimo motivo, corrispondente all’ultima parte della seconda censura, Par. 2.4 a p. 26 dell’atto, deduce violazione dell’art. 3 della l. 241/1990, in quanto le ordinanze in parola non motiverebbero circa l’interesse pubblico che sosterrebbe provvedimenti repressivi di opere abusive realizzate nel 2007, ovvero in epoca a suo dire risalente;

– con l’ottavo motivo, corrispondente alla prima parte della sesta censura alle pp. 49- 56 dell’atto, deduce violazione degli artt. 27 e 31 del T.U. 6 giugno 2001 n°380 nonché dell’art. 36 comma 3 della l. r. Lombardia 14 marzo 2008 n°4, applicabile all’epoca dei fatti. In proposito, premette che a sostegno delle ordinanze di sospensione e di demolizione il Comune ha posto non solo l’annullamento in via di autotutela del permesso di costruire 5/2007, ma anche l’asserita illegittimità di ogni scavo nell’area in parola, ove come nella specie effettuato prima di avere ottenuto l’autorizzazione regionale a commercializzare gli inerti. In proposito, afferma allora come l’autorizzazione in parola, peraltro da lui ottenuta con il citato decreto regionale 4 agosto 2008 n°8618, dovesse intendersi non come condizione di legittimità dei lavori, ma come solo eventuale, dovuta qualora si fosse inteso commercializzare gli inerti in parola, anziché utilizzarli in altro modo. In tal senso, afferma quindi che la mancata stipula della convenzione relativa doveva considerarsi irrilevante ai fini dell’esecuzione dei lavori; in ordine alla stessa, come si è detto, ha peraltro fatto valere il silenzio inadempimento;

– con il nono motivo, corrispondente alla parte finale della sesta censura, Par. 6.11 a p. 57 dell’atto, deduce infine ulteriore violazione dell’art. 31 del T.U. 380/2001, nel senso che il Comune, nel sanzionare il mancato rispetto dell’ordinanza di rimessione in pristino con l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale anche di un’area "necessaria per analoghi interventi" (cfr. pag. 2 settimo rigo dal basso del doc. 28 ricorrente in ricorso 1266/08, conforme al citato doc. di pari numero nel ricorso 1028/08, copia ordinanza), avrebbe colpito anche aree non interessate dai presunti abusi.

Con separata istanza 12 dicembre 2008, il ricorrente ha poi chiesto la sospensione delle ordinanze impugnate.

Nel ricorso principale del procedimento 1266/08 in parola, il Comune di Travagliato ha resistito con memoria 5 gennaio 2009, nella quale ha eccepito in via preliminare l’irricevibilità del ricorso per tardività in ordine all’ordinanza di sospensione lavori e nel merito ha chiesto che il ricorso stesso sia respinto, deducendo anzitutto considerazioni analoghe a quelle fatte valere nel ricorso 1028/08; allegando poi l’esito di successivi accertamenti, eseguiti a sua cura da un geologo, certa dott. Ziliani, dai quali emergerebbe la "fragilità ambientale" dell’area interessata (memoria Comune cit. p. 9 e doc. 14 bis dello stesso nel ricorso 1266/08, copia relazione tecnica dott. Ziliani), nonché una nota del Consorzio bonifica Sinistra Oglio, dalla quale (doc. 23 Comune in ricorso 1266/08, copia di essa) risulta che il Consorzio non avrebbe mai alienato il canale sito sul mappale 122.

Con memoria 8 gennaio 2009, T.S. replicava, sostenendo l’irrilevanza dei suddetti accertamenti, in quanto non tradotti in provvedimenti formali (memoria in questione, p. 3).

Con ordinanza 9 gennaio 2009 n°47, la Sezione accoglieva l’istanza cautelare, in termini e con motivazioni analoghi a quelli di cui all’ordinanza 13 novembre 2008 n°789.

Sulla scorta delle descritte ordinanze cautelari, T.S. decideva quindi di proseguire la realizzazione del suo progetto, e in data 19 febbraio 2009 indirizzava al Comune una diffida "ad attivarsi entro e non oltre 15 giorni… per l’acquisizione delle aree" di cui alla convenzione urbanistica 4 aprile 2007, offrendo di versare in via contestuale il contributo da essa previsto (doc. 33 ricorrente in ricorso 1266/08, copia diffida). A fronte del silenzio del Comune, S. si attivava dapprima per acquistare talune delle aree a suo avviso interessate dal progetto (doc. 34 ricorrente in ricorso 1266/08, copia preliminare di acquisto di parte dei mappali 14, 15 e 86 del foglio 24); poi, ritenendo eccessivo il prezzo richiestogli per altre aree, con successivo atto 23 luglio 2009, rendeva noto al Comune che avrebbe provveduto "a riprendere i lavori a suo tempo avviati" e a "successivamente presentare una variante progettuale tale da escludere le aree di proprietà di terzi che risultassero eventualmente ricomprese, restando comunque disponibile a realizzare l’area a parco non appena il Comune acquisirà le aree necessarie" (doc. 35 ricorrente in ricorso 1266/08, copia missiva in parola).

A fronte di ciò, lo stesso S. riceveva, con l’atto meglio indicato in epigrafe, diffida a non riprendere i lavori, motivata con la mancanza delle condizioni per realizzare l’intervento, così come precisate dalle ordinanze cautelari; in proposito, il Comune chiariva la propria volontà di evitare i rischi ambientali insiti nel progetto, così come delineati nella relazione Ziliani, precisava che non sarebbe stato né nelle clausole della convenzione urbanistica 4 aprile 2007 né comunque nelle proprie intenzioni concorrere all’onere di acquisto delle aree non di proprietà e riteneva non praticabile una variante al progetto.

A fronte di tale diffida, ritenuta atto di natura provvedimentale, T.S. proponeva il primo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 2 dicembre 2009 e articolato in un unico complesso motivo di eccesso di potere, nel senso di ritenere, in sintesi estrema, l’operato del Comune mosso da un aprioristico intento di fermare il progetto (p. 21 dell’atto, ottavo rigo dal basso).

Resisteva il Comune, con memoria 15 dicembre 2009; nella stessa, eccepiva in via preliminare (p. 6) l’inammissibilità dell’impugnazione per il carattere non provvedimentale della diffida; nel merito, ribadiva la correttezza del proprio operato

Con ordinanza 18 dicembre 2009 n°790, la Sezione respingeva l’istanza cautelare, e ribadiva come nelle more dovesse "rimanere efficace l’ordine di non proseguire i lavori, in modo che non sia alterato irreversibilmente lo stato dei luoghi".

Con successiva istanza depositata il 21 maggio 2010, e con memoria 22 giugno 2010 T.S. chiedeva allora a questo Tribunale la revoca ovvero modifica di tale pronuncia cautelare, allegando di avere nelle more acquisito la proprietà di tutte le aree destinate a realizzare il progetto (istanza citata, p. 7 terzo rigo).

Si opponeva il Comune, con memoria 22 giugno 2010, nella quale osservava come l’avvenuta acquisizione della proprietà delle aree, quand’anche avvenuta, fosse da ritenere ormai tardiva, dato che il permesso di costruire era comunque scaduto il 13 aprile 2010, e che il Comune stesso ne aveva denegato la proroga (doc. 34 Comune e doc. 52 ricorrente in ricorso 1266/08, copia atto relativo).

Tale diniego, in particolare, motiva con riguardo ad una serie articolata di ragioni. In primo luogo, l’amministrazione solleva dubbi con riferimento all’effettiva acquisizione delle aree di cui ai mappali 43, 44, 35 e 36, nonché di quelli necessari ad eseguire le opere di urbanizzazione; evidenzia poi come, a tutto concedere, l’acquisizione di tali aree sia comunque avvenuta in prossimità della scadenza del permesso di costruire, sì che la mancata ultimazione delle opere non si potrebbe ricollegare a causa non imputabile al titolare (doc. 34 Comune, cit., Par. 1). In secondo luogo, l’amministrazione evidenzia come la proroga richiesta non sia assistita da alcuna delle ragioni che la giustificano ai sensi dell’art. 15 del T.U. 380/2001, essendo generico il riferimento alla mole dell’opera da parte di S., e potendosi dubitare che la stessa fosse di per sé realizzabile nei termini in origine previsti (doc. 34 Comune, cit. Par. 2). In terzo luogo, l’amministrazione fa presente che a suo avviso si applicherebbe all’intervento in corso una disciplina regionale sopravvenuta, quella di cui alla D.G.R. 30 dicembre 2008 n°VIII/8830, la quale fa divieto di realizzare bacini per piscicoltura e pesca sportiva la cui profondità, come nella specie, superi i cinque metri (doc. 34 Comune cit. Par. 3 prima parte). In quarto luogo, l’amministrazione richiama il rischio ambientale, connesso alla particolare sensibilità del sito, sul quale tutte le ordinanze cautelari facevano salvi i poteri di approfondimento dell’indagine (doc. 34 Comune, cit. parte finale del Par. 3 e Par. 4). In quinto luogo, l’amministrazione fa presente che, a suo avviso, in forza di una norma antecedente al permesso di costruire, ovvero la D.G.R. 28 novembre 2006 n°VIII/3367, l’intervento in esame si sarebbe dovuto comunque sottoporre a procedura di VIA, in quanto esteso ad una superficie di escavo maggiore di 20 ettari (doc. 34 Comune, Par. 5). Negli ultimi due paragrafi dell’atto (doc. 34 Comune, cit. Par.Par. 6 e 7), l’amministrazione richiama infine la mancanza della concessione provinciale per l’utilizzo delle acque e le note questioni in ordine alla commercializzazione degli inerti.

Con ordinanza 24 giugno 2010 n°126, la Sezione riuniva i ricorsi, fissava l’udienza pubblica per la trattazione del merito e disponeva istruttoria sugli aspetti ambientali del progetto, ordinando alla Provincia di Brescia, alla locale ARPAV e al Consorzio Sinistra Oglio di produrre relazioni, pervenute rispettivamente il 25 ottobre, 14 ottobre 2010 e 26 gennaio 2011.

Nelle more -con il secondo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 22 settembre 2010- T.S. impugnava anche il citato diniego di proroga del permesso di costruire di cui si è detto, articolando a sostegno sette censure, corrispondenti in ordine logico ai seguenti otto motivi:

– con il primo di essi, corrispondente alla prima parte della prima censura a p. 12 dell’atto, premesso che a suo dire il provvedimento in esame rivestirebbe duplice natura, di declaratoria della decadenza del permesso di costruire 5/2007 e di diniego di proroga dello stesso, deduce violazione dell’art. 7 della l. 241/1990, nel senso che l’avviso di inizio del procedimento sarebbe stato necessario per disporre la decadenza;

– con il secondo motivo, corrispondente alla seconda parte della prima censura, deduce violazione dell’art. 15 del T.U. 380/2001, in quanto nel dichiarare la suddetta decadenza, il Comune non avrebbe potuto riesaminare la legittimità dell’originario permesso;

– con il terzo motivo, corrispondente alla seconda censura a p. 16 dell’atto, deduce ulteriore violazione del citato art. 15, nel senso che il ricorrente si sarebbe effettivamente procurato la disponibilità delle aree oggetto dell’intervento, e che comunque ciò sarebbe stato ininfluente per la validità del permesso;

– con il quarto motivo, corrispondente alla terza censura a p. 19 dell’atto, deduce violazione del DPR 12 aprile 1996, nel senso che l’opera non sarebbe comunque soggetta a VIA;

– con il quinto motivo, corrispondente alla quarta censura a p. 21 dell’atto, deduce eccesso di potere per travisamento del fatto, nel senso che la concessione provinciale per l’uso delle acque si renderà, se mai, necessaria all’avvio dell’attività di piscicoltura;

– con il sesto motivo, corrispondente alla quinta censura a p. 22 dell’atto, deduce ancora violazione degli artt. 15 del T.U. 380/2001 e dell’art. 36 comma 3 della l. r. Lombardia 4/ 2008, nel senso che l’autorizzazione a commercializzare gli inerti riguarderebbe una semplice eventualità, e non sarebbe presupposto di legittimità o di efficacia del permesso di costruire;

– con il settimo motivo, corrispondente alla sesta censura a p. 24 dell’atto, deduce eccesso di potere per essere non applicabile alla fattispecie, ma solo ai nuovi interventi, la disciplina restrittiva regionale concernente i bacini per piscicoltura;

– con l’ottavo motivo, corrispondente alla settima censura a p. 26 dell’atto, deduce infine ulteriore violazione dell’art. 15 del T.U. 380/2001, nel senso che la mancata ultimazione delle opere nel termine sarebbe dipesa da fatto del Comune.

Resisteva il Comune, con memoria formale 16 novembre 2010.

Con memorie 4 e 18 gennaio 2011 per il ricorrente e 17 gennaio 2011 per il Comune, le parti ribadivano le proprie tesi.

La Sezione all’udienza del 9 febbraio 2011, tratteneva da ultimo in decisione i ricorsi, già riuniti nei termini di cui sopra.
Motivi della decisione

1. In via preliminare, i ricorsi vanno riuniti per connessione soggettiva ed oggettiva, dato che pendono fra le medesime parti e riguardano la medesima vicenda, ovvero in sintesi estrema l’intervento di trasformazione del territorio di cui si è detto in narrativa.

2. Si deve incominciare la disamina dal ricorso n°1028/08, quello rivolto avverso l’annullamento in autotutela del permesso di costruire 5/2007, che come detto in premesse consta dagli atti del Comune 18 agosto 2008 prot. n°13043 e 4 settembre 2008 prot. n°13715 (doc. ti ricorrente 26 e 27 in ricorso 1028/08, cit.), e in proposito, per chiarezza, va fatta una precisazione. Nessuna norma infatti vieta che la motivazione di un unico provvedimento amministrativo consti da due atti separati, allorquando, come avvenuto in via pacifica nel caso di specie, entrambi siano emanati anteriormente all’impugnativa giurisdizionale. In tal caso, infatti si è di fronte non ad una inammissibile integrazione della motivazione in corso di giudizio, ma a due provvedimenti successivi: il secondo costituisce atto di conferma del primo, che ne va a precisare e integrare la motivazione stessa, senza sostituirvisi. Gli stessi atti poi, allorquando, come pure avvenuto nella specie, siano stati entrambi impugnati nei termini, vanno considerati in via unitaria ai fini dello scrutinio dei motivi di ricorso proposti, in modo del tutto analogo a quanto avviene per l’atto non definitivo impugnato congiuntamente all’atto del superiore gerarchico che abbia respinto il ricorso amministrativo contro il primo, operando anche in tal caso come conferma di quest’ultimo (su tale ultimo punto, v. in linea di principio C.d.S. sez. IV 4 settembre 1996 n°1010).

3. Ciò posto, del ricorso 1028/08 è infondato anzitutto il primo motivo, incentrato sulla presunta violazione dell’obbligo di dare avviso dell’inizio del procedimento. A tal proposito, risulta in fatto che il Comune di Travagliato ebbe ad inviare a T.S. una comunicazione, datata 21 luglio 2008, avente a testuale oggetto l’avvio "del procedimento per l’annullamento in via di autotutela del permesso di costruire n°5/2007 prot. n°6122 del (giorno) 11 aprile 2007", comunicazione che nel testo fa riferimento in sintesi ad una presunta lesione delle competenze del Consiglio comunale operata con il rilascio del permesso in parola, incompetenza che sarebbe emersa nel corso di un precedente giudizio avanti questo TAR, del quale meglio più avanti (doc. 16 ricorrente in ricorso 1028/08, copia di essa). T.S. ha certamente ricevuto tale comunicazione, né per vero lo nega, dato che con propria lettera consegnata il giorno 8 agosto 2008 al protocollo comunale, ha ritenuto di presentare in dichiarata replica le proprie osservazioni, facendo sinteticamente presente "l’assoluta mancanza dei presupposti per l’adozione di tale provvedimento" (doc. 19 ricorrente in ricorso 1028/08, copia lettera citata).

4. A fronte di ciò, come detto in narrativa, T.S. sostiene peraltro che la comunicazione appena descritta sarebbe stata insufficiente, nel senso che avrebbe legittimato l’emanazione del solo atto 18 agosto 2008 prot. n°13043, quello in cui si affronta il profilo della lesione della competenza consiliare, non avrebbe legittimato invece a pronunciare il successivo atto 4 settembre 2008 prot. n°13715, che si occupa di altri profili di asserita illegittimità del permesso di costruire in parola.

5. Tale prospettazione non va tuttavia condivisa, tenendo presente anzitutto che i due atti citati, nei termini di cui si è detto, rappresentano non già provvedimenti distinti ed eterogenei, ma momenti di un unico provvedimento di autotutela, motivato sotto i vari profili considerati. Ciò posto, è noto l’insegnamento giurisprudenziale, che il Collegio condivide, per cui la comunicazione di avvio è del tutto legittima anche se non individua "con precisione assoluta gli esatti elementi del contenuto dispositivo del futuro provvedimento". Essa infatti presuppone non che l’amministrazione abbia già deciso, e sappia quindi già come andrà a determinarsi, ma al contrario che essa voglia decidere una volta compiuta l’istruttoria.

6. All’esito, è allora fisiologico, come ritenuto da C.d.S. sez. V 1 ottobre 2010 n°7267, da cui le citazioni in questo e nel precedente paragrafo, e dalla conforme sez. VI 6 maggio 2008 n°2009 che l’amministrazione stessa possa decidere di non adottare il provvedimento preannunziato, oppure di emettere "un provvedimento parzialmente difforme da quello ipotizzato", che sarà comunque legittimo in forza dell’originaria comunicazione, purché incida sullo stesso bene e rientri nella stessa tipologia considerati nella stessa: ciò è avvenuto nella specie, dato che il Comune ha emesso pur sempre un annullamento del permesso di costruire di cui alla comunicazione, solo motivandolo sotto molteplici aspetti, ulteriori rispetto alla questione della competenza consiliare.

7. Va anzi notato che il descritto ordine di idee sostenuto dalla giurisprudenza, a ben vedere, fu a suo tempo fatto proprio dallo stesso S., il quale nella citata lettera di controdeduzioni si premurò di far sapere, se pure in termini stringati, che a suo avviso dell’ipotizzato annullamento mancavano tutti i presupposti, senza limitarsi a contestare il solo profilo della competenza, e quindi non può dirsi leso nelle proprie possibilità di difesa procedimentale.

8. Sempre quanto al ricorso 1028/08, anche il secondo motivo, imperniato su un presunto eccesso di potere per sviamento, risulta infondato, e ciò alla luce degli stessi fatti dedotti dal ricorrente. Quest’ultimo, come detto in narrativa, sostiene che l’annullamento del permesso di costruire per cui è causa sarebbe stato adottato, in sintesi, per "un tentativo di ritorsione politica dell’attuale amministrazione nei confronti della precedente" (ricorso, p. 26, quindicesimo rigo), ritorsione che avrebbe cagionato appunto lo "sviamento" dell’atto rispetto alla sua causa tipica.

9. In proposito, sono necessarie alcune precisazioni. E’ del tutto noto che l’eccesso di potere per sviamento si ha allorquando con l’esercizio di un dato potere, conferito dalla legge all’amministrazione in vista di un dato fine, venga perseguito un fine diverso, non necessariamente illecito di per sé: si fa il classico esempio del trasferimento motivato con ragioni organizzative di un funzionario responsabile di una qualche mancanza, il quale invece andrebbe, se mai, allontanato dalla sede attraverso l’esercizio del potere disciplinare. A maggior ragione lo sviamento poi sussiste nel caso in cui l’esercizio di un dato potere persegua in realtà un fine non consentito, quale è certamente la ritorsione politica, ovvero l’intento di danneggiare un proprio avversario per opinioni o iniziative adottate in tale ambito, che si assumono contrarie alle proprie: in astratto, tale prospettazione è fondata, e infatti si ritrova nella sentenza della Sezione 25 febbraio 2008 n°152, citata anche dal ricorrente.

10. Come ricorda tale sentenza, e come lealmente riconosce il ricorrente stesso, la ritorsione però non può presumersi in via assoluta, e va provata per lo meno tramite presunzioni semplici, che in base alla regola generale dell’art. 2727 c.c. devono basarsi su indizi gravi, precisi e concordanti. Discende poi dalla comune logica che l’intento ritorsivo espresso da un dato provvedimento possa sussistere nei confronti del destinatario, non già nei confronti di altri soggetti che a quest’ultimo non siano collegati. Detto altrimenti, non può qualificarsi ritorsione il comportamento di chi, volendo penalizzare un soggetto, ne colpisce altro con il proprio atto, se fra il destinatario dell’atto e il destinatario della presunta ritorsione non v’è un rapporto dimostrabile e coerente con l’intento ipotizzato.

11. In tali termini, nel caso di specie nessun intento ritorsivo nei confronti del ricorrente è dimostrabile negli atti impugnati. Occorre anzitutto ricordare che la vicenda per la quale è causa rappresenta l’unico collegamento di T.S. con Travagliato ed il relativo territorio: come non è controverso, egli risiede in altro Comune, ovvero in Lograto, ove svolge attività di agricoltore e allevatore di suini (ricorso, p. 2 in nota, il fatto è pacifico), e cioè attività diverse da quelle contemplate nell’intervento di cui si discute nella presente sede. Per altro verso, non constano, né sono stati in alcun modo allegati, suoi rapporti di collegamento, o anche solo di contiguità o consonanza ideologica, con alcuna delle forze politiche che si sono avvicendate nell’amministrazione travagliatese. Già in tali termini, quindi, risulta arduo ipotizzare che l’attuale maggioranza politica abbia inteso in qualche modo penalizzare la maggioranza precedente rivolgendosi contro un soggetto che con la stessa non ha intrattenuto particolari rapporti: a pensarla in detti termini, si cadrebbe nell’assurdo di qualificare come potenzialmente ritorsivo ogni intervento di una amministrazione su atti rilasciati a qualsiasi cittadino da parte di una qualsiasi delle amministrazioni precedenti di diverso orientamento.

12. Per sostenere la propria tesi, il ricorrente ha valorizzato anche argomenti ulteriori, che però, ad avviso di questo Giudice, non hanno ugualmente pregio. Il ricorrente desume infatti l’intento ritorsivo di che trattasi anche da alcune iniziative pregresse poste in essere dall’attuale Sindaco e dagli attuali consiglieri di maggioranza. Come ricordato in narrativa, risulta infatti in primo luogo che costoro, all’epoca in cui sedevano in consiglio comunale a titolo di minoranza, presentarono contro il medesimo permesso di costruire 5/2007 un ricorso a questo TAR, rubricato al n°547/2007. Tale ricorso, va detto per completezza, era fondato sulla asserita violazione delle competenze consiliari di cui si è detto più volte, venne inizialmente accolto in sede cautelare e fu poi respinto, su appello proposto nella medesima sede, in quanto i consiglieri ricorrenti vennero ritenuti non legittimati a presentarlo (doc. ti ricorrente 11 e 12 in ricorso 1028/08, copie ordinanze cautelari in primo grado e in appello; si tratta comunque di fatti pacifici). Risulta poi che l’avv. Buizza, nella propria veste professionale e prima dell’elezione a Sindaco, abbia patrocinato altro ricorso avverso il permesso di costruire in parola, presentato da certo Orizio, rubricato al n°795/07 di questo Tribunale e definito con sentenza di improcedibilità per rinunzia agli atti (doc. 14 ricorrente in ricorso 1028/08, copia di essa).

13. In tali atti, peraltro, non va in alcun modo ravvisato un intento persecutorio o in qualche modo emulativo, dato che i ricorrenti, all’evidenza convintisi già all’epoca dell’illegittimità degli atti per i quali ora è causa, si sono limitati a prospettarla alla competente Autorità giudiziaria in forme consentite dall’ordinamento. Va anzi notato che la rinuncia al ricorso n°795/07, dichiarata a suo tempo dall’avv. Buizza in perfetta conformità al mandato ricevuto, è se mai sintomo di volontà conciliativa, non certo di preconcetta avversione, nei confronti di S., allora intimato.

14. I motivi dal terzo al sesto del ricorso 1028/08 vanno infine esaminati in via congiunta perché connessi: essi sono volti a far valere la presunta assenza, nel caso di specie, dei presupposti di legge per procedere all’annullamento di ufficio di un atto illegittimo, e come si vedrà sono tutti infondati. Per chiarezza, va ricordata la norma applicabile, ovvero l’art. 21 novies comma 1 della l. 7 agosto 1990 n°241, secondo il quale "Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’ articolo 21octies può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati", nella specie da parte dell’organo che lo ha emanato. In generale, per procedere all’annullamento di ufficio, occorre quindi in primo luogo dimostrare che l’atto è illegittimo, poi che vi sono ragioni di interesse pubblico per procedere in tal senso; infine occorre attivarsi in tempi ragionevoli e dimostrare di aver tenuto conto degli interessi privati coinvolti.

15. La giurisprudenza, per tutte citandosi C.d.S. sez. IV 27 novembre 2010 n°8291, afferma però che tali requisiti, appunto generali, si atteggiano in modo particolare ove, come nella specie, l’atto illegittimo da annullare sia un titolo abilitativo edilizio; in proposito infatti "l’ambito della motivazione esigibile" è integrato semplicemente "dalla allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio". Per il resto, infatti, anzitutto l’interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori correlati come l’ambiente e il paesaggio prevale sui contrapposti interessi dei privati "quasi sempre" come affermato da C.d.S. sez. IV 8291/2010, cit., ovvero è in re ipsa, come sostenuto dalla più rigorosa C.d.S. sez. IV 6 ottobre 2010 n°7342. Sotto il profilo temporale, ancora C.d.S. sez. IV 8291/2010 si limita a richiedere una "più puntuale e convincente motivazione" nel solo caso in cui "la caducazione… intervenga ad una notevole distanza di tempo e dopo che le opere sono state completate", coerentemente del resto con il principio, sostenuto da questa Sezione, da ultimo con la sentenza 22 febbraio 2010 n°860, per cui un’opera edilizia illegittimamente realizzata integra una lesione all’interesse pubblico che non si esaurisce, ma perdura fin quando l’opera stessa non è rimossa. Sotto il profilo dell’interesse del privato, seguendo sempre C.d.S. sez. IV 8291/2010 si deve infine tener conto "della eventuale negligenza o della malafede" di questi, ove egli abbia indotto in errore l’amministrazione o abbia approfittato di un errore della stessa, in particolare relativo alla "situazione di fatto in base alla quale è stato rilasciato il titolo".

16. Alla stregua dei predetti principi, nel caso di specie il potere di autotutela è stato correttamente esercitato. In fatto, occorre premettere che, contrariamente a quanto sostenuto a più riprese dalla difesa del ricorrente, la commercializzazione del materiale estratto dai relativi scavi rientra a pieno titolo nell’assetto di interessi sotteso al permesso di costruire 5/2007, e non ne costituisce affatto un mero aspetto eventuale. In tal senso depongono anzitutto argomenti di carattere letterale.

17. In primo luogo, come si è detto in narrativa. in calce alla seconda pagina del permesso in questione si legge testualmente "si precisa che prima dell’inizio dei lavori di escavazione e della commercializzazione dell’inerte si dovrà ottemperare all’autorizzazione regionale così come dall’art. 36 comma 3 della l.r. 14/98" (doc. 1 ricorrente in ricorso 1028/08, cit.). Come è noto, la norma richiamata, vigente all’epoca dei fatti, disponeva: "Gli interventi finalizzati ad attuare bacini idrici per irrigazione, piscicoltura e pesca sportiva, ad esclusione della loro manutenzione sono soggetti all’autorizzazione regionale ai fini della commercializzazione del materiale estratto. La Giunta regionale stabilisce i criteri e le modalità per il rilascio della autorizzazione", e prevedeva quindi per implicito che l’autorizzazione ad effettuare i lavori in quanto tali provenisse dal solo Comune interessato; si ricorda poi per completezza che tale sistema è stato ritenuto non idoneo ad evitare potenziali elusioni della disciplina generale dell’escavo di inerti, ovvero del Piano cave di ciascuna provincia, ed è stato quindi modificato, nel senso ora previsto dall’art. 33 comma 3 bis della l.r. Lombardia 11 marzo 2005 n°12, inserito dall’art. 1 lettera rr) della l.r. 14 marzo 2008 n°4, in vigore dal 2 aprile di quell’anno: attualmente l’autorizzazione regionale è rilasciata "anche ai fini dell’esecuzione dei relativi scavi". Nella sede presente, importa però rilevare che il permesso di costruire 5/2007 connetteva in modo inscindibile l’estrazione con la commercializzazione, non consentendo che quella avvenisse se non fosse stata autorizzata questa.

18. Tale interpretazione è avallata da due ulteriori argomenti, sempre testuali. Da un lato, si deve notare che né nel permesso di costruire né in altri atti si affronta minimamente la tematica dello smaltimento del materiale scavato, il che sarebbe stato d’obbligo se si fosse ritenuto di realizzare lo scavo anche senza possibilità di commercializzare il materiale stesso. Dall’altro, come pure si è visto in narrativa, che una commercializzazione degli inerti dovesse avvenire è dato per implicito anche nella convenzione 4 aprile 2007, là dove essa ammette l’installazione nel sito dei macchinari necessari alla loro "pesatura", secondo comune esperienza prodromica proprio ad una vendita (doc. 4 ricorrente in ricorso 1028/08, cit.).

19. Alla stessa interpretazione si perviene poi in termini logici, se solo si considera l’aspetto economico dell’operazione, che T.S. risulta aver promosso nella sua qualità di imprenditore, e quindi per ricavarne un proprio – del tutto legittimo- guadagno. Come è notorio, l’estrazione e commercializzazione di inerti è al momento presente attività assai lucrosa, trattandosi di una materia prima molto richiesta da ogni ramo dell’industria delle costruzioni. Lo stesso non si può dire per l’attività di piscicoltura e pesca sportiva, che è di gestione complessa e impegnativa, trattandosi di mantenere nel tempo l’equilibrio ecologico all’interno dei laghetti artificiali, né risponde ad una esigenza di mercato particolarmente sentita. Appare quindi illogico che, nell’ambito di un intervento esteso a entrambe le attività, si conti solo su quella più impegnativa e meno redditizia, mentre si consideri solo come eventuale l’altra, che garantisce introiti maggiori e più certi.

20. Ciò premesso, sussiste in primo luogo, e ciò comporta la reiezione del motivo quarto, il requisito fondamentale della illegittimità dell’atto impugnato, sotto due fondamentali profili, fra quelli che il provvedimento di annullamento valorizza. Ai sensi degli artt. 10 e 11 comma 1 del T.U. 6 giugno 2001 n°380, infatti, il permesso di costruire è rilasciato al proprietario, o ad altro avente titolo, su un "immobile", per "interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio": ciò comporta allora, in termini logici prima che giuridici, che per rilasciare il titolo in questione l’amministrazione debba aver individuato, con la necessaria precisione, quale sia l’immobile coinvolto, rispetto al quale l’intervento dovrà essere realizzato. In caso contrario, sempre secondo logica, il permesso di costruire sarà illegittimo, in quanto non è possibile prestare alcun assenso di fronte ad un oggetto in sostanza indeterminato.

21. Ciò è avvenuto con riguardo al permesso di costruire 5/2007 per cui è causa, e ne ha quindi legittimato l’annullamento di ufficio. Come risulta semplicemente dalla narrativa, ed è stato comunque fatto constare in termini rigorosi dalla relazione Oggionni (doc. 24 Comune in ricorso 1266/08, pp. 14), il progetto per cui è causa è localizzato su mappali sempre diversi, che mutano a seconda che si considerino il permesso di costruire, i disegni ad esso allegati, e gli atti successivi che dell’operazione sono, come si è dimostrato, parte integrante, ovvero la richiesta di commercializzazione degli inerti e le relative autorizzazione regionale e bozza di convenzione. In tali termini, non è in ultima analisi possibile comprendere gli esatti contorni dell’intervento progettato, e di conseguenza valutare se esso sia o no conforme alla normativa applicabile. Non è in particolare corretto ritenere che le descritte incongruenze si possano superare attraverso un’interpretazione degli atti, poiché si tratta di discrepanze non marginali di fronte ad un intervento oggettivamente ampio.

22. Il profilo di illegittimità appena illustrato, si noti, si pone come assorbente rispetto a tutti gli altri profili considerati dal Comune in sede di autoannullamento, fatta eccezione, come si vedrà, per il profilo dei valori ambientali. Infatti, se l’intervento non è esattamente definito nei suoi contorni, non è nemmeno possibile dire quale sia il regime urbanistico applicabile ai mappali sui quali esso insiste in ragione del loro azzonamento, né dire per conseguenza se per approvarlo si possa procedere con semplice rilascio di permesso di costruire, ovvero sia richiesta una variante allo strumento urbanistico generale, che sarebbe di competenza del Consiglio.

23. A tale ultimo proposito, va precisato che lo strumento urbanistico di Travagliato vigente all’epoca dei fatti prevedeva per le aree potenzialmente interessate dal progetto per cui è causa in particolare due diverse qualificazioni. Nelle aree classificate F1 – zona per servizi pubblici a standard, infatti, sono ammessi, ai sensi dell’art. 52 delle NTA anche "spazi pubblici attrezzati a parco e per il gioco e lo sport", da realizzare anche ad opera di privati, previa convenzione con il Comune: ove, in via di ipotesi, in tale concetto di spazi attrezzati si facesse rientrare anche un lago per pesca sportiva, asservito ad un impianto di piscicoltura, è evidente che assentire il progetto, ove localizzato nelle aree in questione, mediante permesso di costruire convenzionato potrebbe essere legittimo. Alla conclusione opposta si dovrebbe invece arrivare se il progetto si localizzasse in zona E2 – agricola di salvaguardia, ove ai sensi dell’art. 45 NTA attrezzature di interesse collettivo non sono ammesse (v. doc. 2 ricorrente in ricorso 1028/08, estratto NTA, ove quelle citate): in tal senso, sarebbe occorsa una modifica allo strumento urbanistico stesso, di competenza del Consiglio comunale.

24. E’ solo per completezza che si rileva come le considerazioni di cui al Par. precedente non contraddicano l’esito del ricorso n°547/2007, ove l’ordinanza cautelare di appello non è entrata nello specifico della competenza ad approvare il progetto, ma si è semplicemente limitata ad escludere che la questione comportasse lesione delle prerogative del singolo consigliere, e quindi la legittimazione dei ricorrenti (doc. 12 ricorrente in ricorso 1028/08, cit.).

25. Per quanto, come si è detto, l’esatta localizzazione dell’intervento sia rimasta indeterminata, è nondimeno certo che esso andava a interessare in via diretta il fontanile Bissa. Ciò comporta allora che il permesso di costruire 5/2007 sia illegittimo anche sotto il profilo, da ultimo considerato nell’atto di autoannullamento, dell’omessa considerazione dei valori ambientali, che come si è detto in narrativa hanno portato a classificare il sito come di sensibilità paesistica "molto alta" (doc. 3 ricorrente in ricorso 1028/08, cit. pp. 51 e 61). L’istruttoria svolta per rilasciare il permesso in questione non ha in alcun modo chiarito come l’intervento si concili con tale classificazione del sito, dato che si tratta, in sintesi estrema, di sostituire un paesaggio relativamente intatto, che i cittadini utilizzano a titolo gratuito ("… il sito è caro a tutti i travagliatesi, che, da sempre, lo frequentano nella stagione estiva alla ricerca di frescura e di svago", come si legge nel doc. 3 ricorrente, cit.), e che secondo logica avvantaggia in tal modo soprattutto soggetti deboli come anziani e fanciulli, con attrezzature artificiali, in massima parte fruibili solo a pagamento e dedicate ad uno sport come la pesca che appare di interesse non generalissimo.

26. Quanto appena esposto rileva anche per respingere il terzo e il sesto motivo, in quanto, al di là di quanto detto sulla normale prevalenza dell’interesse pubblico ad eliminare un titolo che consente di intervenire in modo illegittimo sul territorio, l’annullamento non è motivato con la sola lesione delle competenze consiliari, ma anche con la difesa di valori di rilievo, come quelli ambientali, che prevalgono anche in assoluto, e non solo nella materia in esame, sull’interesse al lucro privato. A tale proposito, va poi sottolineato che l’incertezza sui contorni dell’intervento, da imputare oggettivamente allo stesso S., il quale avrebbe ben potuto – e dovuto- fornire da subito all’amministrazione i ragguagli necessari ad evitarla, esclude che in capo a questi sussista un affidamento tutelabile di particolare intensità.

27. In ordine infine al quinto motivo, inerente la tempistica dell’autoannullamento, basterebbe per respingerlo richiamare la giurisprudenza già citata, per la quale è sufficiente che le opere non siano completate. In ogni caso, va però richiamato il già ricordato tenore letterale del permesso 5/2007, a fronte del quale non era consentito iniziare i lavori di scavo, e quindi la parte fondamentale dell’intervento, prima di avere ottenuto l’autorizzazione regionale. Si deve allora considerare che la stessa è del 4 agosto 2008 (doc. 20 ricorrente in ricorso n°1028/08), che l’avviso di avvio del procedimento di autotutela è di poco anteriore, intervenendo il 21 luglio 2008, e che il procedimento in questione si perfeziona ai primi di settembre dello stesso anno: in tali termini, l’esercizio del potere è senz’altro tempestivo, dato che prima del 4 agosto 2008 S. legittimamente poteva aver compiuto solo opere provvisionali, come la recinzione da lui citata, ma non opere di maggiore impegno.

28. La reiezione del ricorso 1028/08 comporta che sia ritenuta legittimo l’annullamento del permesso di costruire 5/2007, e quindi che lo stesso si debba considerare eliminato dal mondo giuridico già dalla data in cui l’annullamento intervenne. Ne discende la inammissibilità del ricorso 1140/08, presentato dal Comune avverso l’autorizzazione regionale a commercializzare gli inerti, ovvero, come detto in narrativa, contro il decreto 4 agosto 2008 n°8618 della Direzione regionale qualità dell’ambiente (doc. 20 ricorrente in ricorso n°1028/08, cit.). Secondo il suo letterale tenore, infatti, tale decreto sta e cade con l’efficacia del permesso di costruire 5/2007, e quindi caducato quest’ultimo non può a sua volta più produrre efficacia alcuna, il che ne esclude l’attitudine lesiva (sul principio, già in epoca risalente C.d.S. sez. VI 6 ottobre 1986 n°778).

29. Delle plurime domande contenute nel ricorso 1266/088, si deve anzitutto scrutinare quella di annullamento contenuta nel ricorso principale e nei primi motivi aggiunti, che come detto in narrativa è rivolta contro i provvedimenti con i quali il Comune di Travagliato ha inteso inibire a T.S. di proseguire i lavori per i quali è causa e ordinargli la relativa rimessione in pristino. Tale domanda, nei termini di cui appresso, è parimenti infondata nel merito, e ciò esime da valutare l’eccezione preliminare di sua parziale irricevibilità dedotta dal Comune, quanto alla sola impugnativa dell’ordinanza di sospensione.

30. I primi sei motivi del ricorso principale nel procedimento 1266/08, come detto in narrativa, ripropongono come vizi di illegittimità derivata i vizi già dedotti nel ricorso 1028/08, e vanno quindi respinti per le ragioni già spiegate in proposito.

31. Va respinto nel merito anche il settimo motivo, incentrato sul presunto ritardo con il quale il Comune sarebbe intervenuto nell’inibire i lavori per i quali è causa. In proposito, va richiamato quanto già precisato in fatto al precedente Par. 27, ovvero che prima dell’autorizzazione regionale del 4 agosto 2008 T.S., in base alla lettera del permesso di costruire 5/2007, non poteva legittimamente avviare alcuna opera di scavo. In tali termini, l’intervento del Comune, che emanò il 9 agosto 2008 l’ordinanza di sospensione lavori, e il successivo 24 settembre ordinò la rimessione in pristino, non può certo dirsi tardivo nemmeno in termini assoluti.

32. Si deve poi comunque richiamare l’orientamento giurisprudenziale, cui si è già accennato, espresso da ultimo da C.d.S. sez. IV, 15 settembre 2009 n°5509 e, nella giurisprudenza della Sezione da TAR Brescia 860/2010 già menzionata- secondo il quale il potere di applicare misure repressive in materia urbanistica ed edilizia può essere esercitato in ogni tempo, senza necessità, per i relativi provvedimenti, di alcuna specifica motivazione in ordine alla sussistenza dell’interesse pubblico a disporre una demolizione. Si aggiunge al riguardo che non appare invece condivisibile l’orientamento implicito nelle difese del ricorrente, espresso ad esempio da C.d.S. sez. V 4 marzo 2008 n°883, secondo il quale invece "il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso" e "il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza" potrebbero ingenerare un affidamento del privato, rispetto al quale sussisterebbe un "onere di congrua motivazione" circa il "pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato"; in contrario depone infatti, come si è già detto richiamando la predetta sentenza 860/2010, il carattere di illecito permanente proprio di ogni abuso edilizio.

33. Va ancora respinto nel merito l’ottavo motivo del ricorso principale nel procedimento 1266/08, motivo che è infondato in fatto. E’ sufficiente richiamare quanto esposto nei precedenti Par.Par. 1619, circa il collegamento necessario stabilito dal permesso di costruire 5/2007 fra lo scavo e l’autorizzazione a commercializzare gli inerti in tal modo estratti, per ribadire che nel caso di specie non era legittimo procedere a scavo alcuno in mancanza dell’autorizzazione predetta: anche in tal senso, l’operato del Comune risulta corretto.

34. Il nono motivo va infine respinto in base alla mera lettura dell’art. 31 comma 3 prima parte del T.U. 380/2001, secondo il quale "Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune". L’acquisizione gratuita di un’area ulteriore rispetto a quella di sedime dell’abuso è quindi una conseguenza prevista in modo esplicito dalla legge.

35. Si richiamano ancora i rilievi già svolti nei precedenti Par.Par. 913, circa l’impossibilità di ravvisare nell’azione del Comune un intento ritorsivo nei confronti del ricorrente, per respingere l’unico motivo del primo ricorso per motivi aggiunti, che tale tematica ripropone.

36. Seguendo l’ordine logico, va ora esaminata, e dichiarata come si vedrà inammissibile, la domanda di declaratoria dell’illegittimità di un presunto silenzio rifiuto, contenuta sempre nel ricorso principale nel procedimento 1266/08. Tale domanda, come si è detto in narrativa, qualifica appunto silenzio rifiuto, ora ai sensi dell’art. 31 c.p.a., identico per quanto interessa al previgente art. 21 bis l. TAR, il silenzio mantenuto dal Comune sull’istanza presentata da T.S. per ottenere la stipula della convenzione accessoria al più volte citato decreto regionale 4 agosto 2008, che autorizzava a commercializzare gli inerti.

37. In proposito, si deve allora ricordare che presupposto della domanda in parola è l’obbligo dell’amministrazione di emanare un provvedimento amministrativo in senso proprio, a fronte del quale c’è un interesse legittimo del ricorrente. Di silenzio rifiuto non si può invece parlare a fronte di un obbligo di tipo diverso, come quello affermato nella specie, che avendo ad oggetto la stipula di una convenzione, ovvero la conclusione di un accordo di contenuto patrimoniale, appartiene alla categoria degli obblighi di concludere un contratto e quindi è se mai coercibile con l’azione specifica di cui all’art. 2932 c.c., cui corrisponde un diritto soggettivo del contraente che si afferma fedele. Vale pertanto l’insegnamento espresso, fra le molte, dalla recente C.d.S. sez. V 17 settembre 2010 n°6947: il ricorso avverso il silenzio rifiuto è inammissibile appunto "ove la posizione giuridica azionata consista in un diritto soggettivo".

38. E’ solo per completezza che va ribadito come la predetta domanda, così come formulata da T.S., sia proposta effettivamente a fronte di un asserito silenzio rifiuto (v. ricorso principale in procedimento 1266/08, pp. 12 e 58, ove terminologia univoca in tal senso), non possa quindi essere riqualificata come domanda volta ai sensi del citato art. 2932 c.c. all’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto, domanda la quale, in astratto, rientrerebbe nella giurisdizione esclusiva di questo Giudice in quanto attinente alla materia urbanistico edilizia ai sensi ora dell’art. 133 comma 1 lettera f) c.p.a., riproduttivo dell’art. 35 d. lgs 80/1998, e sarebbe quindi in sé ammissibile in questa sede. Se però anche così fosse, le conseguenze ultime non muterebbero: a fronte dell’annullamento, legittimamente operato, del permesso di costruire 5/2007 e della conseguente inefficacia del decreto regionale 4 agosto 2008, T.S. non aveva infatti titolo alcuno per pretendere la stipula della convenzione di che trattasi.

39. Tutto quanto sin qui esposto comporta infine l’inammissibilità delle residue domande formulate nel procedimento 1266/08, ovvero delle domande di annullamento contenute nei secondi motivi aggiunti, le quali, come detto in premesse, sono rivolte contro il diniego di proroga dell’originario permesso di costruire 5/2007. Dato che quest’ultimo era stato validamente eliminato dal mondo del diritto, una sua proroga è evidentemente impossibile, e integrerebbe un atto nullo. Quindi è inammissibile per difetto di interesse il ricorso volto a contestare il diniego di rilasciarla, perché porterebbe, ove in ipotesi accolto, ad emanare l’atto nullo di cui si è detto (sul principio per cui è nullo l’atto che interviene sull’efficacia di un precedente atto già annullato, v. TAR Puglia Bari 19 ottobre 2006 n°1487).

40. La complessità delle questioni decise è giusto motivo per compensare, limitatamente alla metà, le spese di lite fra le parti nei procedimenti 1028/08 e 1266/08; di conseguenza, T.S. va condannato a corrispondere al Comune di Travagliato la metà residua, che si liquida come da dispositivo. La sostanziale natura di contenzioso fra amministrazioni del ricorso 1140/08 è parimenti giusto motivo per compensare per intero fra le parti le spese relative, rimanendo come per legge il contributo unificato a carico del ricorrente, che lo ha anticipato.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sui ricorsi di cui in epigrafe, così provvede:

a) riunisce i ricorsi;

b) respinge il ricorso n°1029/2008;

c) dichiara inammissibile il ricorso n°1140/2008;

d) respinge il ricorso n°1266/08 quanto alle domande di annullamento contenute nel ricorso principale e nei primi motivi aggiunti;

e) dichiara inammissibile il ricorso n°1266/09 quanto alla domanda di declaratoria di illegittimità di silenzio rifiuto contenuta nel ricorso principale;

f) dichiara inammissibile il ricorso n°1266/08 quanto alle domande di annullamento contenute nei secondi motivi aggiunti;

g) compensa per metà le spese del giudizio fra T.S. e il Comune di Travagliato nei ricorsi 1028/08 e 1266/08 e per l’effetto condanna T.S. a rifondere al Comune di Travagliato la metà residua, che liquida nell’importo di Euro 5.000 (cinquemila), oltre accessori di legge, ove dovuti;

h) compensa per intero fra le parti le spese del giudizio nel ricorso 1140/08, dando atto che il contributo unificato rimane a carico del ricorrente che lo ha anticipato.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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