Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 27-01-2011) 04-04-2011, n. 13529

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

o per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata veniva confermata la sentenza del Tribunale di Palermo in data 14.11.2007, con la quale L.M.G. veniva condannato alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione, nonchè al risarcimento dei danni in favore della parte civile, per il reato continuato di cui agli artt. 582 e 612 c.p. commesso il (OMISSIS) in danno di F.V. dapprima minacciando di colpirlo con un lucchetto e poi percuotendolo effettivamente con tale oggetto, cagionandogli trauma cranico facciale, ferita lacero-contusa alla regione frontale e fratture alla settima, nona e decima costola, lesioni guaribili in oltre quaranta giorni. Il ricorrente lamenta:

1. violazione dell’art. 52 c.p. e art. 192 c.p.p., illogicità della motivazione e travisamento del fatto in ordine all’esclusione della scriminante della legittima difesa;

2. violazione degli artt. 61 e 62 c.p. ed illogicità della motivazione in ordine all’esclusione dell’attenuante della provocazione ed alla ravvisabilità dell’aggravante dei futili motivi;

3. violazione dell’art. 192 c.p.p. e L. n. 110 del 1975, art. 4 in ordine alla configurabilità dell’aggravante dell’uso di arma impropria;

4. violazione dell’art. 583 c.p. e art. 522 c.p.p. ed illogicità della motivazione in ordine alla configurabilità dell’aggravante della durata della malattia e dell’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni;

5. violazione dell’art. 159 c.p. in ordine alla mancata declaratoria di estinzione del reato per prescrizione;

6. violazione dell’art. 133 c.p. e carenza di motivazione sulla determinazione della pena.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso, relativo all’esclusione della scriminante della legittima difesa, è infondato.

Con la sentenza impugnata si richiamavano le considerazioni della decisione di primo grado, che ricostruiva l’accaduto, in base alle dichiarazioni della parte offesa, della moglie M.G. e del teste Ma., nei termini di una vicenda sviluppatasi a seguito della contestazione, da parte del F., della rumorosa attività di custodia di motocicli svolta dal L.M. in un magazzino prossimo alle abitazioni, alle quali il L.M. reagiva con la condotta descritta nell’imputazione finchè la moglie del F. gli toglieva di mano il lucchetto e lo scagliava contro la vetrata del magazzino, infrangendola, al che il L.M. tentava di colpire la donna con una spranga di ferro e veniva bloccato e disarmato dal vicino di casa Ma., accorso a seguito delle grida;

e riteneva inverosimile la tesi difensiva dell’essere stato l’imputato colpito proditoriamente dal F. e successivamente dalla moglie di questi con calci e pugni mentre era a terra, perdendo i sensi e non vedendo chi avesse colpito F.. La Corte d’Appello osservava che il vaglio critico imposto sulle dichiarazioni della parte offesa dalla tensione fra le parti e dalle aspettative di risarcimento evidenziava la credibilità del racconto del F. e della moglie; che era indiscutibile l’estemporaneo sviluppo della vicenda, originata dalle rimostranze della parte offesa confermate dallo stesso imputato; che la dinamica narrata dalla parte offesa trovava riscontro delle dichiarazioni del Ma., il quale, intervenuto successivamente, rimarcava la sproporzione delle forze in campo e la tendenza aggressiva dell’imputato in danno della moglie del F., che lo aveva indotto a bloccare il L.M.; che la versione di quest’ultimo per la quale la M. sarebbe scesa portando con sè un lucchetto era illogica, essendo ben più verosimile che l’oggetto fosse nella disponibilità dell’imputato in quanto utile per la chiusura del suo magazzino; che la mancanza di intenti aggressivi della M., intervenuta solo per difendere il marito, era dimostrata dall’aver ella scagliato il lucchetto contro una lontana vetrata e non contro l’imputato, circostanza confermata dal Ma.; che il tentativo dell’imputato di colpire la donna con una spranga era indicativo di una precedente volontà aggressiva verso il F.; e che la tesi dell’imputato di essere stato colpito e costretto a difendersi era in conclusione intrinsecamente inattendibile e priva di riscontri, tale non essendo il contenuto della relazione di servizio della polizia giudiziaria, la quale si limitava a raccogliere sul posto le dichiarazioni del presenti.

Il ricorrente, premesso che le dichiarazioni della parte offesa devono essere valutate con cautela e corredate da riscontri in presenza di risultanze contrarie, rileva che il F. rendeva una versione contraddittoria, mossa dall’interesse ad ottenere vantaggi economici per danni fisici non attribuibili all’imputato e caratterizzata da malanimo per il disturbo arrecato dall’attività dell’imputato, in ordine al quale si era lamentato già in precedenza; che riscontri non erano ravvisabili nelle lesioni subite, considerato che il consulente medico legale constatava a distanza di oltre un mese dall’accaduto meri esiti di fratture costali che non era in grado di riferire con certezza all’evento traumatico, la M. era portatrice di interessi analoghi a quelli del marito e rendeva dichiarazioni contrastanti con quelle rese nelle indagini preliminari sull’aver ella colpito il L.M., ed il teste Ma. non assisteva all’aggressione; e che di contro la relazione di polizia giudiziaria nella quale si riferiva che il L.M. presentava il volto sanguinante e gli occhiali frantumati, la documentazione medica prodotta al dibattimento sulle lesioni subite dall’Imputato e l’aggressività mostrata dalla M. nel colpire il L.M. e scagliare il lucchetto contro la vetrina rendevano credibile che l’ultrasettantenne imputato fosse stato aggredito e percosso nel suo magazzino dal F. e dalla moglie.

Da quanto precedentemente esposto risulta evidente come il ricorrente riproponga per lo più questioni già affrontate nella sentenza impugnata, prospettandone semplicemente una diversa soluzione la quale non incrina la logicità e la coerenza delle conclusioni acquisite dai giudici di merito con riferimento sia all’attendibilità intrinseca della parte offesa che ai riscontri costituiti dalle dichiarazioni della M. e del Ma. e dal referto medico.

Per ciò che riguarda l’asserita mente omessa valutazione delle lesioni subite dal L.M. e della conferma che esse porterebbero all’ipotesi dell’essere stato il predetto aggredito dal F. e dalla M., il riferimento alla motivazione della sentenza di primo grado, rendendo più chiaro e definito il complessivo percorso motivazionale dei giudici di merito, consente di ritenere detta omissione insussistente. In quella sede si dava atto invero dell’ammissione della M., anche a seguito di contestazioni nel corso dell’esame dibattimentale, di aver percosso il L.M., ma sulla base di tali ammissioni si collocava la condotta nella fase della vicenda in cui la donna strappava dalla mano dell’imputato il lucchetto con il quale lo stesso aveva precedentemente colpito il F.; coerentemente il comportamento della M. veniva pertanto ritenuto compatibile con il fatto contestato all’imputato, in quanto reazione successiva allo stesso.

2. Il secondo motivo di ricorso, relativo all’esclusione dell’attenuante della provocazione ed alla ravvisabilità dell’aggravante dei futili motivi, è anch’esso Infondato.

Con la sentenza Impugnata si osservava che le frasi pronunciate dalla parte offesa, alle quali seguiva la violenta reazione dell’imputato, si limitavano a manifestare il disagio creato dall’attività dell’imputato In una giornata domenicale e non avevano contenuto offensivo, e che solo allorchè l’imputato profferiva le espressioni "ma sempre lui si lamenta, vai a fare u sbirru e u carabiniere, se no mi vai a denunziare" il F. rispondeva con le parole "incivile, ignorante, prepotente", non essendovi pertanto nesso di causalità fra la condotta della parte offesa e la sproporzionata reazione dell’imputato, sproporzione che viceversa evidenziava la riconducibilità della condotta ad un mero impulso aggressivo e giustificava la configurabilità dell’aggravante.

Il ricorrente, premesso che l’aggravante dei futili motivi è incompatibile con l’attenuante della provocazione, rileva che sul punto, non avendo alcuno assistito all’aggressione, il giudizio di attendibilità della parte offesa e inattendibilità dell’imputato è apodittico e l’affermazione dell’imputato di essere stato aggredito dal F. non è smentita da risultanze contrarie, essendo peraltro l’attenuante della provocazione giustificata dal rapporto conflittuale fra il F. ed il L.M..

Il motivo rielabora sostanzialmente, per questo diverso aspetto, l’argomentazione svolta dal ricorrente in tema di affermazione di responsabilità dell’imputato con riguardo alla ritenuta carenza motivazionale sull’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa. Una volta accertata, per quanto detto in precedenza, la logicità e la completezza della motivazione della sentenza impugnata sulle questioni appena menzionate, ne segue che altrettanto coerentemente, sulla base dei dati testimoniali ritenuti attendibili, la condotta dell’imputato veniva valutata rispetto alle contenute espressioni verbali del F. a fronte dei termini ben più aggressivi utilizzati del L.M., e ne veniva evidenziata una sproporzione tale da giustificare il riconoscimento dell’aggravante e l’esclusione dell’attenuante, peraltro incompatibile con la prima (Sez. 5, n. 17686 del 26.1.2010, imp. Matei, Rv. 247222). Nè tale motivazione può essere censurata per non aver considerato quale fatto ingiusto, ai fini della ravvisabilità dell’attenuante della provocazione, la pregressa situazione conflittuale fra il F. ed il L.M., ricostruita nella stessa sentenza Impugnata come derivante da rimostranze del primo per le molestie arrecate dall’attività dell’imputato e dunque da comportamenti lesivi semmai attribuibili a quest’ultimo.

3. Infondato è altresì il terzo motivo di ricorso, relativo alla configurabilità dell’aggravante dell’uso di arma impropria, ravvisata dalla Corte d’Appello nel lucchetto in quanto strumento atto ad offendere.

Il ricorrente rileva che un lucchetto non può essere considerato arma non essendo oggetto del quale è vietato il porto in modo assoluto o relativo, considerato peraltro che l’aggressione avveniva nel magazzino del L.M. e che solo la M. veniva vista fare uso violento del lucchetto.

Quest’ultima considerazione, ancora una volta ripropositiva di una tesi difensiva che la sentenza impugnata riteneva inattendibile con motivazione che si è visto essere immune da vizi, è comunque inconferente rispetto alla questione specificamente proposta con il motivo, riguardante la possibilità di qualificare il maneggiamento del lucchetto in sè quale uso di arma impropria. E su questo punto non può che ribadirsi quanto più volte affermato da questa Corte (v. fra le ultime Sez. 5, n. 27768 del 15.4.2010, imp. Casco, Rv.

247888) in ordine alla ricorrenza dell’aggravante laddove la condotta lesiva sia realizzata adoperando qualsiasi strumento che le circostanze di tempo e luogo rendano potenzialmente utilizzabile per l’offesa alla persona; attributi che congruamente venivano riconosciuti nel caso di specie in un pesante oggetto metallico quale un lucchetto, tale da aumentare la potenzialità offensiva del gesto aggressivo.

4. Infondato è ancora il quarto motivo di ricorso, relativo alla configurabilità dell’aggravante della durata della malattia e dell’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni.

Con la sentenza impugnata si osservava che il consulente medico legale accertava una durata della malattia di quindici giorni e un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni di trenta giorni, identificando quest’ultima nel periodo di convalescenza e riposo da qualificarsi per l’appunto quale incapacità.

Il ricorrente rileva che all’imputato era contestata quale aggravante la durata della malattia e non anche l’incapacità, la cui valutazione ai fini in esame viola pertanto il principio di correlazione fra accusa e sentenza.

Il rilievo difensivo è tuttavia inesatto. L’imputazione, così come formulata in atti, addebita invero genericamente la causazione di lesioni guarite in tempo superiore ai quaranta giorni; espressione che comprende, nel riferimento al tempo occorrente per la guarigione, sia il decorso della malattia che la successiva convalescenza.

Quest’ultima rileva quale incapacità ad attendere alle ordinarie occupazioni ai fini della ravvisabilità dell’aggravante (Sez. 4, n. 32687 dell’8.7.2009, imp. Cimberio, Rv. 245116); la cui sussistenza veniva pertanto correttamente motivata nell’ambito dell’accusa contestata.

5. Il quinto motivo di ricorso, relativo alla mancata declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, è parimenti infondato.

Con la sentenza impugnata si richiamava in merito quanto stabilito In primo grado sulla sospensione del termine di prescrizione per complessivi mesi undici in relazione ai rinvii del dibattimento di cui alle udienze del 4.7.2006, dell’11.10.2006 e del 18.1.2008 e sull’obbligatorietà della stessa, ai sensi essendo i rinvii determinati da adesioni del difensore ad astensioni di categoria; e si osservava che detta sospensione non era limitata al periodo massimo di sessanta giorni in quanto non derivante da impedimenti In senso tecnico.

Il ricorrente, premesso che l’udienza rinviata dal 18.1.2006 all’11.10.2006 veniva poi anticipata su Istanza del difensore della persona offesa al 28.6.2006 con contestuale disposizione della sospensione del termine di prescrizione, rileva che detta sospensione veniva adottata per un periodo superiore ai sessanta giorni in assenza delle condizioni di cui all’art. 159 c.p..

Correttamente tuttavia i periodi di sospensione, derivanti da rinvii delle udienze a seguito della scelta del difensore di aderire a manifestazioni di astensione indette dalla Camere penali, venivano computati per intero, in conformità al principio stabilito da questa Corte in tal caso del limite previsto dall’art. 159 c.p., comma 1, n. 3 (Sez. 5, n. 18071 dell’8,2.2010, imp. Piacentino, Rv. 247142). In aderenza a questo criterio, dall’esame dei verbali dibattimentali risultano sospensioni del termine prescrizionale per giorni 441 in primo grado e giorni 371 in grado di appello; e tenuto conto degli stessi il termine di cui sopra non risulta allo stato decorso.

6. Infondato è infine il sesto motivo di ricorso, relativo alla determinazione della pena.

Il ricorrente rileva che nella motivazione non si teneva conto delle lesioni procurate dal F. all’imputato e dell’incensuratezza di quest’ultimo, e si valutava erroneamente la minaccia come grave non essendovi contestazione in tal senso.

Dalla sentenza impugnata non risulta tuttavia che nel reato di minaccia, peraltro satellite nell’ambito della riconosciuta continuazione, sia stata ritenuta l’aggravante indicata. La conferma della pena inflitta era poi motivata con riferimento alla gravità delle lesioni ed all’uso di un corpo contundente, indicativo di maggiore intensità del dolo; e tanto integra esaustiva motivazione, fondata correttamente sugli elementi ritenuti a tal fine determinanti dai giudici di merito.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e delle spese della parte civile, che in considerazione dell’impegno processuale si liquidano in Euro 1.500 oltre accessori come per legge.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500 oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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