Cons. Stato Sez. VI, 06-07-2010, n. 4290 TESTIMONI IN MATERIA PENALE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. Il sig. N., odierno appellato, è stato inserito con provvedimento del 21 luglio 1994 insieme alla moglie e ai figli minori nello speciale programma di protezione dei testimoni di giustizia, essendo stato testimone oculare di un omicidio attribuito ad appartenenti all’organizzazione criminale della sacra corona unita.

Il programma di protezione ha implicato l’allontanamento del sig. N. e della sua famiglia nucleare dal luogo di originaria residenza in Puglia, e la fissazione della nuova residenza in svariate località d’Italia, con un certo numero di traslochi e conseguenti difficoltà di inserimento sociale soprattutto per i figli minori, come dedotto con il ricorso di primo grado e mai contestato dall’Amministrazione.

2. A distanza di quasi dieci anni dall’inserimento in tale programma il sig. N. ha deciso di uscire dallo stesso e nella seduta del 12 dicembre 2003 la competente Commissione centrale di cui all’art. 10, d.l. n. 8/1991 conv in l. n. 82/1991 stabiliva la somma spettante al sig. N. e alla sua famiglia ai fini della definitiva fuoriuscita dal programma speciale di protezione e del reinserimento sociale nella misura complessiva di euro 1.758.771,82. Stabiliva altresì che il sig. N. e la sua famiglia potevano rimanere nell’abitazione attualmente occupata (una villa monofamiliare su tre livelli) e il cui canone di locazione veniva pagato dal Ministero dell’interno per ulteriori tre mesi decorrenti dalla notifica del provvedimento adottato nella seduta del 12 dicembre 2003.

Contestualmente il sig. N. e sua moglie si impegnavano a rinunciare a qualsiasi azione giudiziaria nei confronti del Ministero dell’interno e in generale nei confronti dello Stato per fatti ricollegabili all’inserimento e alla permanenza nel programma di protezione, e sottoscrivevano la relativa rinuncia in data 15 gennaio 2004.

3. Seguiva una prima richiesta di proroga della permanenza nell’abitazione, accordata dalla Commissione fino al 15 luglio 2004, con provvedimento del 21 aprile 2004.

Una seconda richiesta di proroga fino alla data in cui il sig. N. avrebbe potuto trasferirsi nell’abitazione di proprietà veniva invece respinta con provvedimento del 20 luglio 2004, fondato sulla motivazione che essendo il sig. N. uscito dal programma di protezione, non aveva titolo alla permanenza nell’alloggio; tale provvedimento fissava al 30 settembre 2004 la data per il rilascio dell’immobile.

4. Il diniego di proroga è stato impugnato davanti al Tar Lazio – Roma, che ha dapprima con ordinanza sospeso il provvedimento, e successivamente, con la sentenza in epigrafe, accolto il ricorso.

Il Tar ha ritenuto sussistente il difetto di motivazione in quanto:

a) la normativa consente la prosecuzione di misure di assistenza in favore di collaboratori e testimoni di giustizia anche dopo la cessazione del programma di protezione (art. 16ter, co. 1, lett. b), d.l. n. 8/1991 conv. in l. n. 82/1991);

b) pertanto l’mministrazione non poteva rigettare l’istanza per il solo fatto della fuoriuscita dal programma di protezione, dovendo invece valutare comparativamente l’interesse pubblico alla cessazione della concessione dell’alloggio e l’interesse privato al godimento ulteriore dell’alloggio, per favorire il reinserimento sociale;

c) per l’effetto il Tar ha assorbito la domanda dell’Amministrazione volta a ottenere sia la restituzione dell’alloggio sia la condanna dei ricorrenti al rimborso dei canoni di locazione medio tempore pagati dall’Amministrazione per effetto del perdurare del godimento dell’alloggio in virtù dell’ordinanza cautelare che aveva sospeso il provvedimento di diniego di proroga.

5. Appella l’Amministrazione.

6. Parte appellata eccepisce il difetto di interesse all’appello in quanto l’alloggio è stato rilasciato già nel corso del giudizio di primo grado.

L’eccezione è infondata.

L’interesse all’appello perdura sia perché l’alloggio è stato comunque mantenuto per un periodo successivo alla proroga concessa, in virtù di ordinanza cautelare in primo grado, sia perché in virtù del mantenimento dell’alloggio l’Amministrazione ha sostenuto un maggior esborso di denaro per canoni di locazione, di cui mira al recupero previo accertamento della legittimità del suo operato.

7. Dopo una premessa volta a negare qualsivoglia intento persecutorio nei confronti dell’ex testimone di giustizia e della sua famiglia (premessa che non contiene, comunque, motivi di appello), l’Amministrazione ripropone la duplice eccezione di inammissibilità e rricevibilità del ricorso di primo grado avverso il diniego di proroga.

Si assume che il provvedimento del 12 dicembre 2003 che revoca il programma di protezione fissa una data certa per il rilascio dell’immobile. Pertanto, se la data fissa fosse stata ritenuta eccessivamente breve, occorreva tempestivamente impugnare il provvedimento del 12 dicembre 2003. Di qui l’asserita irricevibilità del ricorso proposto avverso il diniego di proroga.

A sua volta il provvedimento del 20 luglio 2004, laddove nega la proroga a tempo indeterminato, avrebbe portata meramente confermativa del provvedimento del 12 dicembre 2003, nella parte in cui stabilisce una data fissa per il rilascio dell’alloggio, e pertanto non sarebbe autonomamente impugnabile. Di qui l’asserita inammissibilità del ricorso proposto avverso il diniego di proroga.

8. Le censure sono infondate.

8.1. Il provvedimento originario, che decreta l’uscita dal programma di protezione, quantifica le somme spettanti e concede la proroga dell’uso dell’alloggio per tre mesi, non era lesivo e non se ne giustificava pertanto la tempestiva impugnazione.

Infatti all’epoca del primo provvedimento l’interessato riteneva, ragionevolmente, di poter reperire altro alloggio entro il termine di tre mesi originariamente fissato per il rilascio dell’alloggio.

Solo in prosieguo, le circostanze di fatto hanno evidenziato la difficoltà pratica di lasciare l’alloggio:

a) e, invero, l’interessato aveva in corso trattative per acquistare un alloggio in proprietà, dove trasferirsi con la famiglia;

b) tale alloggio non era subito disponibile;

c) un trasferimento in abitazione provvisoria, nelle more del trasferimento definitivo nell’alloggio di proprietà era soluzione poco pratica e soprattutto nociva per la stabilità dei figli minori, che a causa del programma di protezione avevano già dovuto subire numerosi traslochi, con conseguenti difficoltà di inserimento sociale.

8.2. A fronte di tali circostanze di fatto, ben evidenziate dall’interessato e mai contestate dall’Amministrazione, l’istanza di proroga si configura, giuridicamente, come richiesta di misure assistenziali consequenziali all’uscita dal programma di protezione, o, se si vuole, come richiesta di modifica delle misure assistenziali originariamente previste.

La natura intrinseca delle misure assistenziali, volte a far fronte ai bisogni della persona e, nel caso specifico, a favorire il reinserimento sociale di persone, quali i collaboratori e testimoni di giustizia, che hanno vissuto avulsi dal contesto sociale in funzione del munus publicum da essi rivestito e del servizio reso allo Stato, postula una loro flessibilità e una loro concezione dinamica. Le misure assistenziali non possono essere ritenute cristallizzate nel primo provvedimento che dispone l’uscita dal programma, dovendosi ammettere una possibilità di successivo adeguamento alla realtà concreta, se le misure assistenziali originariamente previste si rivelino in concreto inadeguate.

Pertanto, l’omessa contestazione delle originarie misure assistenziali non ha comportato alcuna decadenza, per l’elementare ragione che le originarie misure, nel momento in cui sono state previste, apparivano adeguate, e solo i fatti successivi ne hanno evidenziato l’inadeguatezza.

Si giustifica, pertanto, una successiva richiesta di adeguamento delle misure assistenziali originariamente previste.

8.3. La stessa Amministrazione, del resto, ha mostrato di essere di tale avviso, in quanto ha accordato una prima proroga senza sollevare l’obiezione della tardività della richiesta, e ingenerando così il ragionevole affidamento in ordine alla possibilità di un adeguamento flessibile delle misure assistenziali.

8.4. Giova inoltre osservare che in sede di uscita dal programma di protezione gli interessati hanno dichiarato di rinunciare a qualsivoglia contenzioso relativo al programma di protezione, non anche conseguente all’uscita dal programma stesso.

9. Il secondo e terzo mezzo possono essere esaminati congiuntamente.

Con il secondo mezzo si contesta che il diniego di proroga fosse viziato da difetto di motivazione. Infatti le misure assistenziali non potrebbero essere a tempo indeterminato.

Con il terzo mezzo si lamenta che l’Amministrazione ha dovuto per effetto dell’ordinanza cautelare di primo grado pagare il canone dell’alloggio occupato dagli appellati, e si chiede la restituzione delle somme.

9.1. Il secondo mezzo è da accogliere in parte, mentre il terzo è da accogliere integralmente.

9.2. Il diniego di proroga si fonda solo sulla circostanza dell’uscita dal programma di protezione, e tale motivazione è insufficiente perché la permanenza nell’alloggio è una misura assistenziale che è consequenziale proprio all’uscita dal programma e dunque in astratto compatibile con tale uscita.

Occorreva pertanto, per opporre il diniego, indicare perché non si riteneva di accordare la richiesta misura assistenziale, in astratto compatibile con l’uscita dal programma e anzi, ad essa consequenziale.

Inoltre il richiedente la proroga aveva espressamente manifestato la disponibilità ad accollarsi le spese di locazione.

Pertanto l’Amministrazione doveva valutare perché non rispondeva all’interesse pubblico il mantenimento della concessione dell’alloggio con oneri a carico del richiedente.

9.3. Va poi osservato che la richiesta di proroga non è stata formulata a tempo indeterminato, ma richiesta fino al momento, imminente, in cui la famiglia si fosse potuta trasferire nell’alloggio all’uopo acquistato.

In concreto, infatti, la permanenza nell’alloggio si è protratta per meno di sei mesi oltre il termine ultimo assegnato dall’Amministrazione.

9.4. Giova però precisare che per far fronte al bisogno di reinserimento sociale dell’interessato e della sua famiglia, costituiva misura congrua la concessione della permanenza nell’abitazione, ma non anche il pagamento del canone di locazione a carico dell’Amministrazione, considerato che il richiedente la proroga si era offerto di accollarselo.

Pertanto, in parziale riforma della sentenza appellata, il diniego di proroga va ritenuto illegittimo per difetto di motivazione nella parte in cui nega radicalmente la proroga, anziché concederla con spese di locazione a carico del richiedente.

9.5. Va ora esaminata la domanda dell’Amministrazione appellante finalizzata alla restituzione delle somme versate dall’Amministrazione per effetto della permanenza della famiglia nell’alloggio oltre il termine assegnato, permanenza imposta dall’ordinanza cautelare che in primo grado ha sospeso il diniego di proroga.

In particolare, sia in primo grado che in appello, la domanda mira alla condanna alla restituzione dei canoni di locazione pagati dall’Amministrazione nella misura di euro 3.474,15 per ogni mese o frazione di mese dalla data del 30 settembre 2004 (recte: 1° ottobre 2004) fino alla data del rilascio dell’alloggio.

9.6. Tale domanda non presenta, come adombrato dal Tar, profili di inammissibilità:

a) non quanto al vizio di notifica, in quanto le controparti in primo grado hanno accettato il contraddittorio con ciò sanando ogni vizio di notifica.

b) non sotto il profilo del difetto di giurisdizione, perché qui non si tratta di un rapporto di credito -debito sottratto al giudice amministrativo, ma di effetti ripristinatori derivanti dal giudicato, sicché si rientra nella sfera del giudizio di ottemperanza.

Premesso che l’esecuzione del giudicato amministrativo può essere chiesta anche dall’Amministrazione e non solo dal ricorrente privato, si deve aggiungere che, per elementari ragioni di economia processuale, le questioni di esecuzione del giudicato ben possono essere concentrate nel giudizio di cognizione davanti al giudice amministrativo, se è soddisfatto il presupposto processuale di una rituale domanda di parte finalizzata a ottenere prescrizioni esecutive del giudicato.

Sarebbe inutilmente dispendioso di tempo e di denaro rifiutare l’indicazione di misure esecutive del giudicato che possono essere ottenute nel giudizio di ottemperanza, costringendo le parti a sobbarcarsi ad un nuovo giudizio.

Sussistendo nella specie, il presupposto di una domanda di esecuzione del giudicato, il giudice della cognizione ritiene doveroso indicare le prescrizioni esecutive.

In sostanza, la domanda proposta in primo grado dall’Amministrazione e riproposta in appello, va interpretata come azione di ottemperanza al giudicato, concentrata nel giudizio di cognizione.

9.7. Tanto premesso in rito, va osservato che nel giudizio di primo grado il diniego di proroga è stato sospeso con la conseguenza che si è prodotto un duplice effetto:

1) la permanenza della famiglia nell’alloggio;

2) il pagamento del canone di locazione a carico dell’Amministrazione.

Alla accertata illegittimità del diniego di proroga consegue senz’altro il consolidarsi del primo dei due effetti cautelari, vale a dire la permanenza della famiglia nell’alloggio.

Il secondo effetto cautelare non si consolida per effetto dell’accertata illegittimità del diniego di proroga, in quanto si è osservato che per far fronte alle esigenze dell’interessato e della sua famiglia era misura congrua la proroga dell’uso dell’alloggio, non anche che i canoni di locazione restassero a carico dell’Amministrazione.

Pertanto, l’ordinanza cautelare perde parzialmente effetto in funzione del parziale diverso contenuto della sentenza definitiva.

Per l’effetto, nell’ambito dei poteri propri del giudice dell’ottemperanza, il Collegio ordina agli appellati la restituzione all’Amministrazione delle somme da questa pagate a titolo di canone di locazione dal 1° ottobre 2004 e fino alla data di rilascio dell’immobile, pari a euro 3.474,15 per ogni mese o frazione di mese.

10. Per quanto esposto, l’appello va accolto in parte e, per l’effetto, l’atto impugnato in primo grado resta parzialmente annullato e gli appellati vanno condannati alla restituzione all’Amministrazione delle somme suindicate.

11. Le spese di lite devono essere interamente compensate in relazione ad entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta, definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo accoglie in parte, nei sensi di cui in motivazione, e, per l’effetto:

1) annulla in parte il provvedimento impugnato in primo grado;

2) condanna gli appellati alla restituzione all’Amministrazione delle somme pagate da quest’ultima a titolo di canoni di locazione, nella misura di euro 3.474,15 per ogni mese o frazione di mese dal 1° ottobre 2004 e fino alla data di effettivo rilascio dell’immobile.

3) compensa interamente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 maggio 2010 con l’intervento dei Signori:

Giuseppe Barbagallo, Presidente

Rosanna De Nictolis, Consigliere, Estensore

Roberto Garofoli, Consigliere

Manfredo Atzeni, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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