Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 26-01-2011) 04-04-2011, n. 13462 Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I difensori di N.C. e N.N. ricorrono avverso la sentenza sopra indicata che ha accertato il decorso del termine di prescrizione in ordine alla contravvenzione di cui agli artt. 81 e 110 c.p., art. 61 c.p., n. 2 e art. 699 c.p. (porto di due taglierini) ed ha confermato la responsabilità degli stessi in ordine a due fatti di rapina in banca con l’uso di fucili commessi con altri reati (tentato omicidio continuato, sequestro di persona e ricettazione di due autovetture) in data (OMISSIS) in (OMISSIS). E’ stata a ciascuno irrogata la pena di anni 8 mesi 11 giorni 10 di reclusione ed Euro 2.950 di multa.

Il difensore di N.C. deduce mancanza ed illogicità della motivazione con riferimento alla affermazione di responsabilità esclusivamente fondata sul riconoscimento operato da due carabinieri sulle immagini videoregistrate della rapina nonchè sul riconoscimento effettuato da due clienti della banca di (OMISSIS) sulle immagini riprese per l’altra rapina. Rileva che i carabinieri hanno deposto avere eseguito il riconoscimento su un ingrandimento non presente negli atti processuali, mentre il riconoscimento dei clienti è anomalo perchè fondato solo sull’uso di parrucca e occhiali simili, essendo inoltre la seconda rapina stata posta in essere con il volto travisato. Rappresenta che la decisione non ha considerato che in sede cautelare il fermo non è stato convalidato in assenza di sufficienti elementi indiziari.

Deduce al riguardo violazione del disposto di cui all’art. 192 c.p.p., stante l’equivocità dei colloqui intercettati che sono espressivi di preoccupazione per le indagini in corso e non costituiscono ammissione dei fatti. Deduce anche difetto motivazionale con riferimento al diniego delle attenuanti generiche ed alla quantificazione della pena.

Il difensore di N.N. deduce violazione di legge e difetto di motivazione per non essere state dichiarate inutilizzabili le intercettazioni disposte dal P.M. il 28.8.98 e il 3.9.98 per i colloqui avvenuti presso la Casa Circondariale di Brindisi tra N. C. ed i propri famigliari ed i colloqui avvenuti all’interno della autovettura Lancia Delta in uso a N.N.. Rileva che i colloqui registrati in carcere non potevano essere stati effettuati in data 28 agosto 2008, in quanto il medesimo il giorno 24 agosto è stato posto in libertà dal Gip di Brindisi che non ha convalidato il fermo del precedente giorno 22 agosto. Con riferimento al decreto di autorizzazione alla intercettazione sull’autovettura deduce l’insussistenza al momento dei gravi indizi di responsabilità che erano stati appena esclusi dal Gip di Brindisi in occasione della mancata convalida del fermo. Deduce anche l’insussistenza di urgenza in quanto era trascorso un mese dalla prima rapina e rileva che l’attività captativa è iniziata appena mezz’ora dopo l’emissione del decreto, periodo temporale che non consentiva la collocazione della microspia in momento successivo al decreto.

Con altro motivo deduce violazione di legge in ordine alla prova di responsabilità che i giudici di appello hanno motivato rinviando alla decisione di primo grado omettendo di considerare il contenuto ambiguo delle conversazioni intercettate che devono intendersi come "un legittimo interessamento del N.N. per le sorti processuali del fratello C.", non essendo il N. stato visto sui luoghi delle rapine ed essendo stata esclusa dalla consulenza del P.M. la compatibilità della persona del ricorrente con quella ripresa dalle telecamere delle due banche. Evidenzia ancora che l’esame sulle tracce ematiche rilevate sull’auto usata per la seconda rapina non ha accertato compatibilità con il gruppo sanguigno del ricorrente, nè sono state rilevate impronte dattiloscopiche. Deduce ancora che il colloquio registrato all’interno dell’auto si riferisce ad altra rapina e contesta il significato ritenuto dal giudice di merito in ordine al contenuto di detti colloqui. Con altro motivo deduce violazione del disposto dell’art. 597 c.p. con riferimento alla eliminazione della pena per la contravvenzione prescritta.

Lamenta da ultimo carenza di motivazione per la mancata concessione di attenuanti generiche.

Con motivi depositati in data 5.1.2011 altro difensore del N. N. ribadisce le censure rivolte ai decreti autorizzativi delle intercettazioni deducendo che le autovetture costituiscono luogo di privata dimora con divieto di non autorizzate attività invasive di collocazione di microspie. Analizza il contenuto delle due conversazioni intercettate rilevandone l’equivocità per la formazione di un congruo giudizio di responsabilità.

I ricorsi sono inammissibili.

Le doglianze proposte nell’interesse di N.C. si sostanziano in censure all’apparato motivazionale della decisione e costituiscono una non consentita rivalutazione degli accertamenti di fatto non illogicamente effettuata dalla Corte territoriale. Nel giudizio di Cassazione deve essere accertata la coerenza logica delle argomentazioni seguite dal giudice di merito nel rispetto delle norme processuali e sostanziali. Ai sensi del disposto di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e, la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicchè dedurre tale vizio in sede di legittimità comporta dimostrare che il provvedimento è manifestamente carente di motivazione o di logica e non già opporre alla logica valutazione degli atti operata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica, degli atti processuali (Cass. S.U. 19.6.96, De Francesco). Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Cass. S.U. 2.7.97 n. 6402, ud. 30.4.97, rv. 207944, Dessimone).

Il riconoscimento di una persona da parte del testimone, per il principio di atipicità della prova, può maturare tanto attraverso l’esibizione di una fotografia, tanto mediante l’osservazione diretta dell’interessato che sia presente nel corso dell’esame del dichiarante, tanto infine per il mezzo di una formale ricognizione di persona. Nella concreta fattispecie e con riferimento al primo motivo di ricorso del N.C., il riconoscimento è stato positivamente effettuato dai due clienti della banca che hanno avuto la possibilità di guardare i rapinatori e di fissarne le fattezze e dai due carabinieri che ben conoscevano l’imputato. I parametri di riconoscimento indicati dai testi, lungi dal costituire motivi di incertezza, come assunto in ricorso, denotano la veridicità dei concordi riconoscimenti. Irrilevante la omessa convalida del fermo fondata su dati parziali e non conclusivi. A ciò non può che aggiungersi la concludente considerazione dell’altro elemento probatorio individualizzante debitamente considerato, vale a dire il coinvolgimento dell’auto utilizzata per la fuga in un incidente stradale proprio a 200 – 300 metri di distanza dalla masseria di residenza dell’imputato.

Il secondo motivo di ricorso del N.C. è analogo a quanto lamentato dal N.N. con il suo secondo motivo di impugnazione ed è manifestamente infondato. E’ infatti noto che l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce una questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito e si sottrae al sindacato di legittimità se tale valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Cass. 5, 3.12.97 n. 5487, ud. 28.1.98, rv. 209566; Cass. 6, 12.12.95 n. 5301, ud. 4.6.96, rv. 205651). Nel caso concreto il preciso riferimento all’incidente stradale verificatosi dopo la rapina di Castellana, alla possibilità del reperimento di capelli da cui potere effettuare esami di DNA, nonchè alla presenza di tre pattuglie di polizia, dato conoscibile dai soli partecipi al delitto, sono elementi che non consentono differenti valutazioni di incongruità del giudizio di colpevolezza.

L’eccezione di inutilizzabilità di queste conversazioni ambientali è manifestamente infondata in quanto dette intercettazioni furono effettuate in quella data, come accertato dal giudice di merito anche con l’analisi di dati temporali indicati dagli stessi partecipi al colloquio. Gli imputati non furono scarcerati a seguito della omessa convalida, evidentemente seguita da provvedimento restrittivo o da diverso titolo custodiale. Anche con riferimento a questo ricorrente si deve osservare che le censure che attengono l’insufficienza di indizi al momento della convalida sono generiche in quanto riferite ad una situazione temporale priva di dati probatori al momento non conosciuti dal giudice della convalida. La verifica della situazione di urgenza è irrilevante, stante la convalida del decreto da parte del Gip. Assolutamente infondata in fatto la doglianza relativa al tempo intercorso tra decreto e messa in opera dei dispositivi atti alle intercettazioni, stante la tempestività con cui possono essere attuate queste operazioni di polizia. Per quanto concerne la censura proposta con i motivi aggiunti diversi dai precedenti e riguardante l’inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali disposte all’interno di un’autovettura in assenza dei presupposti legittimanti ai sensi dell’art. 266 c.p.p., comma 2, trattandosi di un luogo di privata dimora, si osserva che per tale deve intendersi quello adibito all’esercizio di attività che ognuno ha il diritto di svolgere liberamente e legittimamente senza turbativa da parte di estranei e che assolve attualmente e concretamente la funzione di proteggere la vita privata di coloro che lo posseggono, i quali sono titolari dello "ius excludendi alios" al fine di tutelare il diritto alla riservatezza di ciascun soggetto nelle sue personali modalità esistenziali ( art. 14 Cost.). In forza di questi principi è evidente che l’abitacolo di una autovettura non può essere considerato luogo di privata dimora, essendo inidoneo, per la sua stessa struttura, conformazione e destinazione, a consentire ad una persona di risiedervi stabilmente per un apprezzabile lasso di tempo (Cass. 1, 24.2.09 n. 13979, depositata 31.3.09, rv. 243556; Cass. 6 maggio 2008, n. 32581, rv. 241229; Cass. 1, 1 dicembre 2005, n. 47180, rv.

233991).

La quantificazione della sanzione operata dal giudice di appello per la dichiarata prescrizione del porto dei soli taglierini è del tutto corretta avendo dagli aumenti effettuati dal tribunale per i capi 2 e 7 (rispettivamente mesi 4 ed Euro 200 e mesi 3 ed Euro 100) eliminato solo una parte della sanzione (giorni 20 ed Euro 50), non essendo certo stato dichiarato prescritto il porto dei fucili a pompa. Le doglianze proposte per l’entità della sanzione riferita alla contravvenzione prescritta sono quindi in fatto manifestamente infondate.

Anche il motivo di ricorso, comune ai ricorrenti e relativo alle attenuanti generiche ed alla quantificazione della sanzione è inammissibile in quanto trattasi di valutazioni esaurientemente compiute con il porre in risalto anche una sola delle circostanze suscettibili di valutazione, non essendo il giudice comunque tenuto a considerare in maniera analitica i singoli elementi di cui all’art. 133 c.p. esponendo per ciascuno di questi le rispettive ragioni che lo hanno indotto a formulare il proprio conclusivo giudizio (Cass. 2, 2.9.00 n. 9387, ud. 15.6.00, rv. 216924). Nel caso concreto ha diffusamente considerato l’entità dei fatti culminati in conflitti a fuoco con le forze dell’ordine e la pericolosa personalità degli imputati gravati da numerosi gravi e specifici precedenti.

Le impugnazioni sono pertanto inammissibili a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè ciascuno al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro 1.000 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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