Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 25-01-2011) 04-04-2011, n. 13523 Reato continuato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata veniva confermata la sentenza del Tribunale di Salerno, Sezione distaccata di Amalfi, in data 24.1.2005 con la quale G.G. veniva condannato alla pena di mesi due e giorni dieci di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile, per il reato continuato di lesioni, ingiuria e minaccia commesso in (OMISSIS) in danno di C. L..

Il ricorrente lamenta:

1. nullità della sentenza per mancata notificazione del decreto di citazione a giudizio presso il domicilio dichiarato dall’imputato;

2. illegittimità delle ordinanze in materia di ammissione di prova e di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello;

3. Intervenuta prescrizione del reato.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso, relativo all’eccepita mancata notificazione del decreto di citazione a giudizio presso il domicilio dichiarato dall’imputato, è inammissibile.

Dall’esame degli atti risulta invero confermata l’osservazione della sentenza impugnata per la quale il decreto di citazione a giudizio veniva regolarmente notificato, presso il domicilio indicato dall’imputato al civico n. (OMISSIS), a mani della madre del G.. Incoerente è a questo punto l’affermazione del ricorrente per la quale la dichiarazione di domicilio sarebbe stata finalizzata ad evitare che gli atti venissero consegnati all’anziana madre dell’imputato; non senza considerare che l’atto di appello sul punto era fondato sulla diversa, e peraltro irrilevante e non provata argomentazione, dell’assenza dell’imputato dall’Italia per motivi di lavoro e della mancanza di conoscenza effettiva del processo in capo al G..

Il motivo di ricorso è pertanto manifestamente infondato.

2. Inammissibile è altresì il secondo motivo di ricorso, relativo alla eccepita illegittimità delle ordinanze in materia di prova.

Il motivo richiama la disposizione della sentenza impugnata con la quale, a fronte delle dichiarazioni della persona offesa e della conferma delle stesse da parte del teste E.C., si osservava come non vi fosse ragione di accedere alla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale nell’atto di appello, motivata unicamente per l’impossibilità di indicare testi a difesa in primo grado in conseguenza della contumacia dell’imputato.

Il ricorrente rileva che la contumacia non era neppure oggetto di una formale dichiarazione, e che la mancata costituzione di un valido rapporto processuale per le ragioni di cui al punto che precede rendeva invalidi i provvedimenti in materia di prova emessi in assenza di un difensore fiduciario e in un processo che aveva subito numerosi rinvii.

Dagli atti risulta, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, che la contumacia dell’imputato veniva dichiarata in apertura del dibattimento; non senza considerare che l’omissione di siffatto adempimento non costituisce comunque causa di nullità, non essendo prevista specificamente come tale e non essendo riconducibile all’ambito delle nullità di ordine generale (Sez. 4, n. 49334 del 13.10.2004, imp. Bosso, Rv. 230217; Sez. 5, n. 6487 del 24.1.2005, imp. Manna, Rv. 231421). Della regolare costituzione del rapporto processuale si è detto al punto che precede; nessuna ragione di invalidità è pertanto ravvisabile nei provvedimenti assunti in materia di prova, ivi compreso il rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria, esaurientemente motivato sia in fatto che in diritto.

Il motivo di ricorso è pertanto manifestamente infondato.

3. L’inammissibilità dei motivi di ricorso fin qui valutati preclude l’esame del motivo relativo alla prescrizione del reato, maturatasi, tenuto conto delle cause di interruzione e di sospensione del termine, al 6.3.2010 e quindi successivamente alla sentenza di secondo grado; motivo di per sè solo non proponibile.

Il ricorso deve in conclusione essere dichiarato integralmente inammissibile, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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