Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 25-01-2011) 04-04-2011, n. 13522

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata veniva confermata la sentenza del Tribunale di Foggia in data 18.10.2005 con la quale P.D. veniva condannato alla pena di mesi quattro di reclusione per il reato di cui all’art. 610 cod. pen., così modificata l’originaria imputazione di cui all’art. 611 cod. pen.; commesso in (OMISSIS) afferrando per un braccio Po.An.Ra., conducendolo fuori dal di lui esercizio commerciale e colpendolo con un pugno allo stomaco per costringerlo a ritirare le denunce presentate contro il P..

Il ricorrente deduce:

1. violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e mancanza ed illogicità della motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità dell’imputato;

2. violazione di legge e carenza ed illogicità della motivazione in ordine alla qualificazione del reato ai sensi dell’art. 611 cod. pen. piuttosto che dell’art. 610 cod. pen.;

3. violazione di legge e carenza ed illogicità della motivazione in ordine alla qualificazione del reato come consumato piuttosto che come tentato;

4. violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. in ordine alla ritenuta inapplicabilità dei termini prescrizionali previsti dalla più favorevole L. n. 251 del 2005 e conseguente declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso, relativo all’affermazione di responsabilità dell’imputato, è inammissibile.

Il ricorrente, premesso che le dichiarazioni della persona offesa devono essere necessariamente riscontrate, lamenta che la motivazione della sentenza impugnata si sia sottratta a tale adempimento a fronte dei rilievi proposti sul punto con l’appello.

Dall’esame dell’atto di appello non risulta tuttavia che la carenza di riscontri sull’attendibilità della persona offesa sia stata specificamente dedotta in quella sede; malgrado ciò, la Corte territoriale motivava adeguatamente in tema, osservando che la deposizione della parte offesa, oltre a non essere smentita da risultanze contrarie, era confermata dal referto sulla constatazione delle lesioni e dall’assenza nel soggetto passivo di ragioni di risentimento, evidenziata dalla remissione della querela.

Il motivo di ricorso si risolve pertanto in una censura generica e priva di effettivi contenuti.

2. Palesemente inammissibile è altresì il secondo motivo di ricorso, relativo alla qualificazione del reato ai sensi dell’art. 611 cod. pen. piuttosto che dell’art. 610 cod. pen.. Detta derubricazione, come riferito in premessa, veniva pertanto già adottata con la sentenza di primo grado; inconferente e generico è pertanto il rilievo del ricorrente per il quale la motivazione della sentenza impugnata avrebbe individuato il reato come oggetto della coercizione.

3. Inammissibile è ancora il terzo motivo di ricorso, relativo alla qualificazione del reato come minaccia o come reato consumato piuttosto che come tentato.

Il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata non abbia risposto ai rilievi proposti con l’appello; rilievi che dall’esame dell’atto di appello risultano tuttavia limitati al non aver la parte offesa percepito costrizione o minaccia dalla condotta dell’imputato. A fronte di ciò a sentenza impugnata osservava che il reato di violenza privata era stato correttamente ravvisato in primo grado quale delitto consumato nella condotta consistita nell’afferrare per il braccio la parte offesa, costringendola ad uscire dall’esercizio commerciale dell’imputato, sulla base di pertinenti richiami agli indirizzi giurisprudenziali in materia; per i quali effettivamente il reato in esame si consuma in presenza di qualsiasi violenza che impedisca il libero movimento del soggetto passivo (Sez. 5, n. 41311 del 15.10.2008, imp. La Rocca, Rv. 242328), quale deve essere senza dubbio considerato l’accompagnare forzosamente quest’ultimo all’esterno di un negozio. Questa compiuta motivazione sull’oggettiva sussistenza del reato rispondeva adeguatamente all’irrilevante riferimento dell’appellante alla percezione soggettiva della persona offesa; ed a fronte di ciò il ricorso è generico in quanto privo di ulteriori elementi di critica.

4. Inammissibile è infine il quarto motivo di ricorso, relativo alla ritenuta inapplicabilità dei termini prescrizionali previsti dalla più favorevole L. n. 251 del 2005 ed alla conseguente declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. L’applicazione della normativa sopravvenuta, peraltro esclusa nel caso di specie dalla pronuncia della sentenza di primo grado in data anteriore all’entrata in vigore della L. n. 251 ai sensi della norma transitoria di cui all’art. 10, comma 3, della stessa legge, a seguito della nota declaratoria di parziale illegittimità costituzionale (Corte Cost., n. 393 del 2006) e della nozione di pendenza del giudizio di appello definita da questa Corte (Sez. U, n. 47008 del 29.10.2009, imp. D’Amato, Rv. 244810), porterebbe comunque ad individuare il termine prescrizionale massimo nella stessa misura determinata dalla legislazione precedente, pari ad anni sette e mesi sei; il che individua la data di decorso della prescrizione al 19.12.2009, successiva dunque alla sentenza di secondo grado. L’inammissibilità dei motivi di ricorso fin qui esaminati preclude a questo punto la pronuncia sulla richiesta di declaratoria di estinzione del reato, di per sè sola non proponibile quale motivo di ricorso. Il gravame deve pertanto essere dichiarato integralmente inammissibile, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile l ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *