Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 07-01-2011) 04-04-2011, n. 13457

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 5.3.2010 la 7 Sezione Penale della Corte d’Appello di Napoli confermava la sentenza del Tribunale di Avellino che, in data 5.3.2010 aveva condannato P.A., concesse le attenuanti generiche in termini di equivalenza sulla contestata aggravante, alla pena ritenuta di giustizia, per truffa aggravata in danno di C.A..

La Corte respinte le eccezioni processuali affermava, con riguardo al merito, di ritenere integralmente condivisibili la ricostruzione dei fatti e la motivazione posta a fondamento della sentenza del giudice di primo grado e a tale provvedimento si riportava considerato anche che le censure formulate contro la decisione impugnata sostanzialmente non contenevano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi da tale giudice.

Ricorre per Cassazione il difensore di P.A. contestando che la sentenza impugnata:

1. è affetta da difetto di motivazione Lamenta il ricorrente che la Corte di merito si è limitata a confermare la ricostruzione dei fatti e il percorso motivazionale espresso dal giudice di primo grado senza operare alcuna autonoma valutazione in ordine alle doglianze difensive proposte nei motivi di impugnazione. Ha inoltre posto a fondamento della propria decisione considerazioni possibilistiche e congetturali, facendo leva sulla contraddittoria testimonianza della parte lesa C., la cui attendibilità non è stata sottoposta ad adeguato vaglio critico in ordine a circostanze fondamentali.

Inoltre non ha valutato le possibili alternative sulle ragioni della mancata consegna dei beni che poteva essere ricondotta alla normale dialettica dei rapporti commerciali e non ha considerato il fatto che il P. non ha posto all’incasso gli altri assegni, a riprova della mancanza di preordinazione all’inadempimento della sua obbligazione.

2. non ha motivato in ordine all’entità della pena limitandosi a confermare sul punto la sentenza del Tribunale.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Questa Corte, nel precisare i limiti di legittimità della motivazione per relationem della sentenza di appello, ha avuto modo di affermare che l’integrazione della motivazione tra le conformi sentenze di primo e secondo grado è possibile soltanto se nella sentenza d’appello sia riscontrabile un nucleo essenziale di argomentazione, da cui possa desumersi che il giudice del secondo grado, dopo avere proceduto all’esame delle censure dell’appellante, ha fatto proprie le considerazioni svolte dal primo giudice. Più specificamente, l’ambito della necessaria autonoma motivazione del giudice d’appello risulta correlato alla qualità e alla consistenza delle censure rivolte dall’appellante. Se questi si limita alla mera riproposizione di questioni di fatto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure di questioni generiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell’impugnazione ben può motivare per relazione e trascurare di esaminare argomenti superflui, non pertinenti, generici o manifestamente infondati. Quando, invece, le soluzioni adottate dal Giudice di primo grado siano state specificamente censurate dall’appellante, sussiste il vizio di motivazione, sindacabile ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e, se il giudice del gravame si limita a respingere tali censure e a richiamare la contestata motivazione in termini apodittici o meramente ripetitivi, senza farsi carico di argomentare sulla fallacia o inadeguatezza o non consistenza dei motivi di impugnazione. (Cass. N. 6221 del 2006 Rv.

233082, N. 38824 del 2008 Rv. 241062, N. 12148 del 2009 Rv. 24281 l;Cass. Sez. 6, 20-4-2005 n. 4221). Nel caso in esame, il giudice d’appello, seppure con una motivazione stringata ha risposto in modo specifico a tutte le doglianze avanzate dall’appellante, richiamando la completa motivazione del giudice di primo grado solo con riguardo alle questioni di fatto già adeguatamente esaminate dal Tribunale di Avellino La Corte Territoriale ha infatti affermato che dagli atti emergeva in maniera certa che la C. acquistò dalla società – che faceva capo all’imputato ed a seguito di rassicurazioni di quest’ultimo circa la disponibilità delle vasche da bagno e delle micro piscine – la merce indicata nel capo di imputazione, rilasciando gli assegni per un importo di Euro 34.000,00 di cui uno incassato e ha indicato le ragioni per cui la pena non poteva essere ridotta.

Ciò detto deve rilevarsi che i motivi riproducono pedissequamente i motivi d’appello.

E’ giurisprudenza pacifica di questa Corte che se i motivi del ricorso per Cassazione riproducono integralmente ed esattamente i motivi d’appello senza alcuna censura specifica alla motivazione della sentenza di secondo grado, le relative deduzioni non rispondono al concetto stesso di "motivo", perchè non si raccordano a un determinato punto della sentenza impugnata ed appaiono, quindi, come prive del requisito della specificità richiesto, a pena di inammissibilità, dall’art. 581 c.p.p., lett. c).

E’ evidente infatti che, a fronte di una sentenza di appello, come quella in argomento, che ha fornito una risposta specifica ai motivi di gravame la ripresentazione degli stessi come motivi di ricorso in Cassazione non può essere considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d’Appello.

E’ infatti inammissibile il ricorso per Cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto, come indicato, omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (cfr.

Cass. N. 20377/2009;N. 8443 del 1986 Rv. 173594, N. 12023 del 1988 Rv. 179874, N. 84 del 1991 Rv. 186143, N. 1561 del 1993 Rv. 193046, N. 12 del 1997 Rv. 206507, N. 11933 del 2005 Rv. 231708).

Deve aggiungersi che nel caso in esame la difesa dell’imputato non solo non ha mosso specifiche censure alle argomentazioni fattuali e logico-giuridiche sviluppate nelle due sentenze di merito, ma non ha nemmeno sostenuto il suo assunto con richiamo ad atti specifici e ben individuati del processo che il giudice di merito avrebbe omesso di valutare, limitandosi ad affermare che la Corte non ha valutato le possibili alternative sulle ragioni della mancata consegna dei beni che ben poteva essere ricondotta alla normale dialettica commerciale.

In applicazione a tali principi il Collegio ritiene che le risultanze processuali inadeguatamente esposte e le argomentazioni esposte nei motivi in esame si risolvono in generiche censure in punto di fatto che tendono unicamente a prospettare una diversa ed alternativa lettura dei fatti di causa, ma che non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità a fronte di una sentenza impugnata che, come già detto, appare congruamente e coerentemente motivata. In tale motivazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda sindacabile in questa sede. Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento ", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente.

(Cass Sez. 4 n. 4842 del 2.12.2003; Cass. Sez. 5A sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745, Cass., Sez. 2A sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

Quanto alla dedotta inosservanza dell’art. 133 c.p. e alla correlativa illogicità o mancanza di motivazione nella determinazione della pena deve osservarsi che il giudice di secondo grado ha correttamente affermato che "la Corte, attesi i criteri dettati dall’art. 133 c.p. stima la pena inflitta dal Giudice di primo grado giusta, equa e proporzionata alla gravità dei fatti".

L’imputato non può dolersi della mancata motivazione in ordine alla fissazione della pena quando, come nel caso di specie, il giudice ha indicati in sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133 c.p..

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile C.A. delle spese sostenute per questo grado di giudizio che si liquidano in complessivi Euro 2.175,00 oltre spese generali I.V.A. e C.P.A. come per legge.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro mille alla Cassa delle ammende nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile C.A. delle spese sostenute per questo grado di giudizio che si liquidano in complessivi Euro 2.175,00 oltre I.V.A. e C.P.A. e spese generali come per legge.

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