Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 30-03-2011, n. 285 Contabilità dello Stato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

diritto quanto segue.
Svolgimento del processo

Con il Piano di rientro, di riorganizzazione, di riqualificazione e di individuazione degli interventi per il perseguimento del riequilibrio economico del servizio sanitario nazionale, approvato con deliberazione della Giunta Regionale di Governo 1 agosto 2007 n. 312 è stata prevista, con decorrenza 1 ottobre 2007, la riduzione del 5% dei costi per l’attività di assistenza territoriale di riabilitazione erogata da centri privati ai sensi dell’art. 26 della legge di riforma sanitaria n. 833 del 1978.

Tale deliberazione faceva seguito all’Accordo attuativo stipulato dalla Regione con i Ministri della Salute e dell’Economia ai sensi dell’art. 1 comma 180, della legge 30 dicembre 2004 n. 311.

In applicazione delle previsioni contenute nel Piano di rientro e nell’Accordo attuativo, con Decreto dell’Assessore regionale alla sanità in data 18 ottobre 2007 è stata concretamente disposta la riduzione delle rette da corrispondere ai centri di riabilitazione convenzionata.

Gli atti ora richiamati sono stati impugnati avanti al T.A.R. Palermo da numerosi Centri di riabilitazione, i quali ne hanno chiesto l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, deducendo censure di violazione di legge, dei principi del giusto procedimento e lesione dei valori dell’affidamento legalmente ingenerato negli operatori del settore.

Con ordinanza n. 438 del 2008 l’adito Tribunale ha respinto l’istanza cautelare.

Questa ordinanza è stata impugnata dai ricorrenti con atto di appello rivolto a questo Consiglio di Giustizia amministrativa il quale, con ordinanza 584 del 2008, ha rigettato il gravame cautelare.

Con la sentenza in epigrafe indicata il T.A.R. Palermo, dopo aver disatteso l’eccezione di tardività dell’impugnazione rivolta avverso il Piano di rientro versata dall’Avvocatura erariale, ha respinto nel merito il ricorso rilevando analiticamente l’infondatezza in fatto e in diritto di tutte le censure proposte.

La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello all’esame da due tra i Centri soccombenti, i quali ne hanno chiesto l’integrale riforma all’uopo deducendo tre articolati motivi di impugnazione.

Si sono costituite in resistenza tutte le Amministrazioni intimate.

Alla udienza del 15 dicembre 2010 l’appello è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

L’appello è infondato e va pertanto respinto, con integrale conferma della sentenza gravata.

Premessa una assai analitica ricostruzione del regime giuridico che governa l’attività dei Centri di riabilitazione convenzionati con il Servizio sanitario regionale ai sensi dell’art. 26 della legge di riforma sanitaria n. 833 del 1978, con il primo motivo gli appellanti deducono che le rette erogate ai suddetti Centri, i quali operano notoriamente senza fini di lucro e margini di ricavo, coprono esclusivamente i costi di esercizio, ivi compresi i salari del personale impegnato nella riabilitazione: tali costi, obiettivamente incomprimibili attesa la necessità di rispettare parametri organizzativi del tutto rigidi, devono riflettersi sulle rette, che vanno quindi determinate secondo un complesso procedimento che la normativa regionale disciplina nel dettaglio.

Tale procedimento legale non è stato rispettato dal Piano di rientro impugnato in prime cure il quale, senza il supporto di una adeguata istruttoria, ha disposto d’imperio la riduzione delle rette stesse.

Con il secondo motivo gli appellanti deducono che per mezzo del Piano di rientro la Regione ha unilateralmente inciso ab externo sull’assetto contrattuale liberamente definito, per ogni struttura riabilitativa, da apposite convenzioni stipulate con le A.U.S.L. competenti.

Con il terzo motivo le appellanti deducono l’illegittimità del D.A. 18.10.2007 col quale le rette sono state ridotte, sotto vari profili. Tale decreto infatti non è stato sottoposto all’approvazione ministeriale, è stato emanato da organo incompetente rientrando la materia nelle attribuzioni dirigenziali ed è stato comunque adottato quando il termine all’uopo previsto dalla legge era già decorso.

I mezzi, che si prestano ad essere unitariamente scrutinati attesa la reciproca interconnessione e la obiettiva ripetitività delle argomentazioni che li supportano, sono del tutto infondati.

Principiando dalle questioni formali va subito detto che la scadenza del termine fissato dal Piano di rientro per l’adozione del Decreto attuativo non ha affatto consumato il potere/dovere dell’Amministrazione di provvedere al riguardo, non sussistendo elementi per qualificare il termine in questione come perentorio.

Per quanto riguarda la pretesa incompetenza, a prescindere da ogni pur possibile considerazione di merito, va semplicemente ribadito che è proprio il Piano di rientro – con clausola non impugnata e quindi non disapplicabile – a demandare la sua attuazione a Decreti dell’Assessore competente.

Per quanto riguarda la mancata approvazione ministeriale il mezzo è inammissibile per la sua genericità, compendiandosi nella mera reiterazione di una doglianza già disattesa in primo grado sulla base di precisi ed esaustivi rilievi di fatto che gli appellanti non contrastano in alcun modo.

Venendo al punto nodale della controversia, deve ricordarsi che l’art. 1 comma 796 lettera b) della legge finanziaria n. 296 del 2006 ha nella parte che qui interessa "… istituito per il triennio 2007-2009, un Fondo transitorio di 1.000 milioni di Euro per l’anno 2007, di 850 milioni di Euro per l’anno 2008 e di 700 milioni di Euro per l’anno 2009, la cui ripartizione tra le regioni interessate da elevati disavanzi è disposta con decreto del Ministro della Salute, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. L’accesso alle risorse del Fondo di cui alla presente lettera è subordinato alla sottoscrizione di apposito accordo ai sensi dell’articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, comprensivo di un piano di rientro dai disavanzi. Il piano di rientro deve contenere sia le misure di riequilibrio del profilo erogativo dei livelli essenziali di assistenza, per renderlo conforme a quello desumibile dal vigente Piano sanitario nazionale e dal vigente decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di fissazione dei medesimi livelli essenziali di assistenza, sia le misure necessarie all’azzeramento del disavanzo entro il 2010, sia gli obblighi e le procedure previsti dall’articolo 8 dell’intesa 23 marzo 2005 sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, pubblicata nel supplemento ordinario n. 83 alla Gazzetta Ufficiale n. 105 del 7 maggio 2005…".

In proposito la Corte costituzionale, nel dichiarare l’incostituzionalità di una legge regionale in contrasto con le disposizioni del relativo piano di rientro, con la sentenza n. 141 del 2010 (non a caso perspicuamente evocata dall’Avvocatura erariale) ha testualmente argomentato nel modo che segue: "Del pari, ricorre la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., per il contrasto con il principio fondamentale della materia "coordinamento della finanza pubblica", desumibile dal già citato art. 1, comma 796, lettera b), della legge n. 296 del 2006.

In relazione a tale censura deve preliminarmente rilevarsi che questa Corte, con la sentenza n. 100 del 2010, ha affermato che la suddetta norma statale "può essere qualificata come espressione di un principio fondamentale diretto al contenimento della spesa pubblica sanitaria e, dunque, espressione di un correlato principio di coordinamento della finanza pubblica".

Tale conclusione è coerente, innanzitutto, con la constatazione che la "esplicita condivisione da parte delle Regioni della assoluta necessità di contenere i disavanzi del settore sanitario" determina una situazione nella quale "l’autonomia legislativa concorrente delle Regioni nel settore della tutela della salute ed in particolare nell’ambito della gestione del servizio sanitario può incontrare limiti alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa" (sentenza n. 193 del 2007).

Essa, inoltre, è in linea con la più recente interpretazione della nozione di "coordinamento della finanza pubblica" fatta propria dalla giurisprudenza costituzionale, ormai "costante nel ritenere che norme statali che fissano limiti alla spesa di enti pubblici regionali sono espressione della finalità di coordinamento finanziario (da ultimo, sentenze numeri 237 e 139 del 2009)", per cui il legislatore statale può "legittimamente imporre alle Regioni vincoli alla spesa corrente per assicurare l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obbiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari" (così, testualmente, sentenza n. 52 del 2010).

Alla luce delle considerazioni ora richiamate, che il Collegio ovviamente condivide e fa proprie, risulta evidente l’insussistenza di qualsivoglia lesione inferta al principio di autonomia negoziale a causa dell’intervento unilaterale della Regione, trattandosi di un intervento imposto da norme primarie assolutamente imperative sulla base di esigenze non eludibili.

Il perseguimento di tali esigenze di pubblico interesse, infatti, non può incontrare limite per l’effetto di convenzioni stipulate nel contesto di un quadro normativo e finanziario nel tempo poi profondamente mutato poiché, diversamente ragionando, sarebbe vanificato proprio l’obiettivo di fondo – la allocazione di risorse non illimitate nella maniera più proficua per l’andamento il più ottimale possibile del servizio – cui è appunto preordinato l’esercizio del potere programmatorio regionale nel settore sanitario.

D’altra parte l’allegazione da parte degli appellanti in ordine alla pretesa incomprimibilità dei costi operativi sostenuti dai Centri di riabilitazione resta – pur dopo le ampie deduzioni svolte al riguardo nel contesto del ricorso – sostanzialmente indimostrata: non si può infatti escludere che, come sostiene l’Amministrazione, opportuni accorgimenti di razionalizzazione organizzativa siano suscettibili di ovviare ad una riduzione tariffaria la quale del resto si configura obiettivamente in termini assai meno gravosi rispetto a quelli imposti contestualmente ad altri operatori del settore.

Per quanto riguarda la omessa previa concertazione con le organizzazioni categoriali e la asserita lesione dei principi partecipativi del giusto procedimento deve in primo luogo osservarsi che – come correttamente evidenziato nella sentenza gravata – i provvedimenti impugnati non rientrano tra quelli cui si applica la normativa di cui alla legge n. 241 del 1990.

Inoltre, come rileva l’Amministrazione, al Decreto assessorile impugnato hanno fatto seguito ulteriori provvedimenti attuativi (relativi alla fissazione del tetto di spesa regionale e alla sua ripartizione a livello provinciale) adottati all’esito di una consultazione tecnica alla quale i Centri hanno partecipato.

Sulla scorta delle considerazioni sin qui svolte l’appello risulta nel suo complesso infondato e va come tale respinto, con integrale conferma della sentenza impugnata.

Ogni altro motivo od eccezione può essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente sentenza.

Le spese di questo grado del giudizio possono essere compensate, per motivi di equità riferibili alla natura giuridica degli Enti appellanti.
P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, respinge l’appello.

Compensa spese e onorari di questo grado del giudizio tra tutte le parti costituite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo il 15 dicembre 2010, dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, in camera di consiglio, con l’intervento dei signori: Raffaele Maria De Lipsis, Presidente, Filoreto D’Agostino, Antonino Anastasi, estensore, Pietro Ciani, Giuseppe Mineo, componenti.

Depositata in Segreteria il 30 marzo 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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