T.A.R. Lazio Roma Sez. II, 06-07-2010, n. 22879 GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Il dott. A.B., ufficiale generale in s.p.e. della Guardia di finanza, partecipò e fu preso in esame nella procedura d’avanzamento a scelta, per l’anno 2004, al grado di generale di divisione.

In esito alla procedura de qua, il dott. B. fu sì dichiarato idoneo all’avanzamento, ma non fu iscritto nel quadro d" avanzamento al grado superiore, essendo stato collocato al posto n. 17ter della graduatoria finale (con punti 28,27/50), ossia in posizione non utile alla promozione. Sicché il dott. B. adì questo Giudice con il ricorso n. 5803/2005 RG, articolato in un gravame introduttivo e nell’atto per motivi aggiunti depositato il 6 ottobre 2006, impugnando tale giudizio e deducendo vari profili di censura, anche con riguardo ai controinteressati dott. M.G. e D.C.. La Sezione, con sentenza n. 112 del 9 gennaio 2008, ha accolto in parte detto ricorso, annullando per quanto di ragione il giudizio d’avanzamento, con salvezza dell’attività ulteriore della GDF. La sentenza n. 112/2008 è stata ritualmente appellata dalle Amministrazioni soccombenti, ma il Supremo Consesso (sez. IV), con decisione n. 2800 del 4 maggio 2009, l’ha integralmente confermata.

In sede di riemanazione conseguente al predetto giudicato, la GDF ha sottoposto nuovamente il dott. B. a valutazione ora per allora. Tuttavia, la Commissione superiore di avanzamento ha collocato il medesimo dott. B. al posto n. 10bis della graduatoria definitiva, con punti 28,52/30, ancora in posizione non utile all’invocato avanzamento.

Dal che la presente adizione di questo Giudice, da parte del dott. B. e con il ricorso in epigrafe, al fine d’ottenere, stante la mancata attribuzione al ricorrente dell’utilità giuridica colà stabilita, la piena ed integrale ottemperanza del giudicato scaturente dalla sentenza della Sezione n. 112/2008. Resistono in giudizio soltanto le Amministrazioni intimate, le quali, con memoria del 29 aprile 2010, concludono per l’inammissibilità e l’infondatezza della pretesa attorea. Anche il ricorrente deposita, in data 21 maggio 2010, memoria conclusionale di precisazione della propria domanda.

All’udienza camerale del 26 maggio 2010, su conforme richiesta della sola parte presente, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.

Motivi della decisione

1. – Viene all’odierno esame del Collegio la domanda d’esecuzione del giudicato, proposta dal dott. A.B. -ufficiale generale della Guardia di finanza, scaturente dalla sentenza della Sezione n. 112 del 9 gennaio 2008, integralmente confermata dal Consiglio di Stato (sez. IV) con decisione n. 2800 del 4 maggio 2009.

In particolare, in sede di riemanazione conseguente al giudicato, la Commissione superiore di avanzamento – CSA ha collocato il medesimo dott. B. al posto n. 10bis della graduatoria definitiva, con punti 28,52/30, ancora in posizione non utile all’invocato avanzamento.

2. – Per una più agevole comprensione delle vicende di causa, precisa il Collegio che il ricorrente dott. B. adì questo TAR in esito alla procedura d’avanzamento a scelta, per l’anno 2004, al grado di generale di divisione, che lo vide sì dichiarato idoneo all’avanzamento, ma non iscritto nel quadro d’avanzamento al grado superiore. Tanto perché egli fu collocato al posto n. 17ter della graduatoria finale (con punti 28,27/50), ossia in posizione non utile alla promozione.

La Sezione, con la citata sentenza n. 112/2008, accolse il gravame attoreo, partendo anzitutto dalla necessaria confutazione di ciò che, per costante giurisprudenza del Supremo Consesso, s’appalesa se non un errore dommatico, certo una confusione terminologica tra istituti che, secondo una lettura coerente con il dettato costituzionale, non possono che descrivere fenomeni diversi ed irriducibili dell’esperienza giuridica. Si tratta, in sostanza, dell’assunto della P.A. intimata, più volte reiterato in questo come in analoghi giudizi, per cui si vuol pervenire all’impossibile identità tra valutazione (vulgo, "discrezionalità") tecnica e merito amministrativo, quest’ultimo di regola insindacabile da questo Giudice nella sua competenza generale di legittimità. Ebbene, il Supremo Consesso (a partire dalla fondamentale Cons. St., IV, 9 aprile 1999 n. 601, fino a id., VI, 18 agosto 2009 n. 4960) ha più volte e con fermezza precisato che, ferma l’impossibilità per questo Giudice di sindacare direttamente il merito del concreto provvedere, netta è la distinzione tra opportunità, propria della discrezionalità ed opinabilità, tipica di quelle valutazioni tecniche afferenti a discipline scientifiche o tecnologiche non improntate, allo stato della conoscenza, a caratteri di stabilità o certezza. L’opinabilità, però, è altra cosa dal merito amministrativo ed attiene alla legittimità dell’azione amministrativa e, come tale, è sindacabile da questo Giudice, proprio nella competenza generale predetta, non solo in modo estrinseco -cioè sotto il profilo di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità -, ma pure in modo intrinseco, ossia in ordine alla verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche, sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo.

Tali precisazioni si resero allora necessarie e lo sono ancor adesso, ad avviso del Collegio, giacché è evidente che il richiamo alla c.d. "amplissima" discrezionalità tecnica, sottesa in effetti alla valutazione svolta dalla Commissione superiore di avanzamento – CSA nei singoli casi ed evinta dal richiamo (talvolta ripetitivo, quando non tralaticio) di numerosi arresti del Supremo Consesso, muova dal timore delle Amministrazioni resistenti che questo Giudice possa ingerirsi o, peggio, sostituirsi, ai giudizi della CSA stessa.

Non è chi non ne veda, tuttavia, l’infondatezza, anzitutto perché, specie in assenza d’un dato normativo espresso che predichi, in soggetta materia, una valutazione tecnica strettamente connessa e coessenziale a poteri discrezionali veri e propri (p.es., come in tema d’imposizione di vincoli storicoartistici: cfr., così, Cons. St., VI, 29 settembre 2009 n. 5869), la CSA compie lo scrutinio di ogni singolo ufficiale con valutazioni non già libere e/o arbitrarie, ma puntualmente collegate a dati documentali certi e definiti e basate su criteri predefiniti e vincolanti. Ed è ben noto che il giudizio, reso in base e nell’ambito della discrezionalità tecnica, implica non una scelta di opportunità, ma l’esatta valutazione d’un fatto secondo i criteri d’una determinata scienza o tecnica o secondo apprezzamenti opinabili. Sicché, stante la predefinizione dei criteri e la certezza dei documenti caratteristici d’ogni ufficiale scrutinando, ben può esser censurata in questa sede una valutazione che si ponga al di fuori dell’ambito d’esattezza o attendibilità, ossia quando non appaiano rispettati parametri tecnici di univoca lettura, ovvero orientamenti già oggetto di giurisprudenza consolidata o di dottrina dominante in materia (cfr. Cons. St., VI, 24 aprile 2009 n. 2537). Anzi, il giudizio della CSA richiede una sintesi del complesso dei requisiti del candidato, che si trae dai dati documentali e che tuttavia non è direttamente influenzata dallo specifico rilievo di un singolo titolo o di un dato requisito, risultando viceversa decisiva la prudente ed oculata valutazione d’insieme.

In secondo luogo, quand’anche la CSA fosse titolare d’una funzione discrezionale, pur se connessa alla ricostruzione dei fatti sulla scorta di altrettanti poteri tecnicovalutativi, non per ciò solo essa sarebbe libera di formulare giudizi incongrui o arbitrari, posto che, ove s’impugni una valutazione discrezionale, questo Giudice non deve limitare il proprio apprezzamento al solo esame estrinseco di questa, secondo i ben noti parametri di logicità, congruità e completezza dell’istruttoria. Infatti, l’oggetto del giudizio deve estendersi all’esatta valutazione del fatto, secondo i parametri della disciplina nella fattispecie applicabile. In tale ottica, ed in applicazione del principio d’effettività della tutela delle situazioni soggettive protette, è certo precluso a questo Giudice di sostituire il proprio all’apprezzamento opinabile della P.A., ma è anche vero che egli non può esimersi dal valutare l’eventuale erroneità del giudizio formulato da detta P.A. (fr. Cons. St., VI, 18 dicembre 2009 n. 8399). Come si vede, tali principi sono ben coerenti con i richiamati arresti del Supremo Consesso circa l’ampia "discrezionalità" tecnica, che connota le valutazioni compiute dalla CSA sulla carriera degli ufficiali scrutinandi -la quale si manifesta in un attento apprezzamento delle capacità e delle attitudini proprie della vita militare dimostrate in concreto, la cui soggezione al sindacato di questo Giudice entro i limiti dei vizi di manifesta erroneità, discriminatorietà o travisamento di fatto, secondo i canoni propri del c.d. sindacato "debole".

E che si tratti proprio di tal tipo di sindacato, non par dubbio in quanto la CSA, essendo di regola chiamata ad esprimersi su candidati dotati di buoni profili di carriera -le cui qualità sono definibili solo attraverso analisi sul merito dei relativi elementi, esprime un giudizio dotato d’alto grado di soggettività e che, come tale, non si presta ad un sindacato giurisdizionale di tipo "forte", il quale, a sua volta, si può correttamente esercitare per le sole valutazioni tecniche, per loro natura, connotate da un maggior grado d’oggettività, allo stato dell’arte (cfr. Cons. St., IV, 18 ottobre 2002 n. 6152; id., VI, 7 novembre 2005 n. 6152).

È al riguardo jus receptum (cfr., per tutti, Cons. St., IV, 5 marzo 2010 n. 1274) che, con l’espressione "sindacato debole" di questo Giudice sugli atti della P.A. basati su più o meno ampie valutazioni tecniche, si vuol porre solo un limite alla statuizione finale del Giudice, non certo sui suoi poteri d’indagine. In altri termini, questo Giudice, una volta accertato in modo pieno i fatti ed aver verificato il processo logicovalutativo svolto dalla CSA in base a regole tecniche o del buon agire amministrativo, se non ritiene le valutazioni della CSA stessa corrette, ragionevoli, proporzionate ed attendibili, non deve spingersi oltre fino ad esprimere proprie autonome scelte. In caso contrario, questo Giudice assumerebbe egli la titolarità del potere che la legge affida in via esclusiva alla CSA. Spetta, dunque, a questo Giudice, più che sostituirsi ad un potere già esercitato -vicenda, questa, che s’appalesa improbabile, in soggetta materia, quanto nelle altre, di stabilire se la valutazione complessa operata nell’esercizio del potere stesso sia da reputare corretta tanto sotto il profilo delle regole tecniche applicate, quanto nella fase di contestualizzazione della norma posta a tutela della conformità a parametri tecnici, quanto, infine, nella fase di raffronto tra i fatti accertati ed il parametro contestualizzato (cfr. Cons. St., V, 12 giugno 2009 n. 3688). È appena da osservare che tali dati furono ampiamente trattati dalla Sezione nella sentenza ottemperanda, senza che ciò sia stato poi smentito dal Supremo Consesso in sede d’appello, sicché sfugge al Collegio la ragione dell’insistenza della P.A. intimata in questa sede, dove s’esamina la res controversa non per la prima volta, ma in esito all’attività di riemanazione conseguente al giudicato.

Se, quindi, già nell’esercizio delle funzioni d’amministrazione attiva, tutte le parti della procedura d’avanzamento, compresa la CSA, sono sufficientemente garantite dall’equilibrio dei poteri tra P.A. e questo Giudice che l’ordinamento generale ed i suoi istituti apprestano -e, perciò, non vi può esser pericolo serio d’interferenza dell’accertamento della giustizia amministrativa sulle valutazioni tecniche, a fronte della vincolatezza della funzione esercitata in materia dalla CSA stessa, a più forte ragione siffatto timore scolora nel caso, come nella specie, in cui la P.A. sia stata ulteriormente vincolata da un giudicato puntuale, nei cui riguardi questo Giudice ha, per legge, competenza anche in merito.

3. – Ciò posto, ritiene il Collegio parimenti opportuno richiamare i punti essenziali della sentenza n. 112/2008 -che accolse la domanda attorea d’eccesso di potere in senso relativo con riguardo alle posizioni degli odierni controinteressati, partendo anzitutto dall’andamento di carriera del dott. B..

A tal riguardo, la Sezione precisò come "… a parità di linea evolutiva nel raggiungimento dell’eccellenza anche se riferiti a periodi differenti nel tempo ma non nell’andamento delle rispettive carriere, i predetti controinteressati non mostrino elementi di spicco rispetto al ricorrente. Invero, se questi, dopo un rendimento normale, inizia a ricevere giudizi di rendimento costantemente elevato, così non si può dire per il gen. C. laddove egli lo ha solo pieno e sicuro, mentre il gen. G., nel primo segmento di carriera, s’attesta su un giudizio identico a quello del ricorrente per poi giungere ad aggettivazioni superiori in un tempo successivo a costui…". Sicché, se la Sezione fu "… ben consapevole che i giudizi risalenti e comunque resi per gradi inferiori a quelli non dirigenziali ed a quello oggetto della valutazione per cui è causa, tali dati, nondimeno, delineano una certa criticità nell’accertamento reso dalla CSA, che tende a sminuire le qualità del ricorrente e dimostra una non fisiologica disomogeneità valutativa…". In particolare, "… il gen. B., che ha un’anzianità complessiva di servizio superiore d’un anno rispetto al gen. G. e di due rispetto al gen. C., ha impiegato lo stesso tempo del primo controinteressato per giungere all’eccellenza, preminente essendo invece su tale aspetto il secondo. Tuttavia, il ricorrente ed il gen. G. hanno lo stesso tempo per conseguire ll’eccellenza e la Lode/Apprezzamento, scontando solo una risalente (1972) flessione nel giudizio finale. Ma, pure a restare ai soli giudizi inerenti alle qualifiche dirigenziali, il ricorrente mantiene costantemente l’eccellenza, dal 1999 con apprezzamento e lode, che ottengono tali controinteressati nel medesimo arco di tempo riferito alle loro consimili qualifiche…".

Aggiunse la Sezione come siffatta equivalenza non solo non implicò "… ALCUNA SFUMATURA DI PRIORITÀ (- maiuscolo dell’estensore) in danno al ricorrente…", ma soprattutto "… non è revocata in dubbio, ma, anzi, è consacrata nel giudizio d’avanzamento degli ufficiali stessi al grado di generale di brigata per l’anno 2000…", in esito al quale il ricorrente "…ottenne il 3° posto, in prima valutazione, sopravanzando i genn. G. e, rispettivamente, C., che pure, a detta delle Amministrazioni resistenti, sarebbero di gran lunga più titolati di costui…".

La Sezione statuì inoltre che, nella specie, dalla documentazione caratteristica di tutte le parti, non risultava alcuna seria primazia dei controinteressati, la quale, appunto, fu "… smentita proprio dal contenuto della relazione sul gen. B., da cui emergono, in un contesto operativo più sommesso ma ictu oculi non meno rilevante per le funzioni del Corpo, qualità e capacità di comando non inferiori a quelle dei di lui colleghi. Sicché v’è un sicuro indizio, preciso e concordante nei fatti e nei giudizi, d’effettiva sottovalutazione dell’operato del gen. B., del quale le Amministrazioni resistenti tendono a far risaltare…, ed in modo puntiforme, i soli aspetti meno significativi della di lui carriera, con ciò pervenendo al medesimo nocivo risultato, che esse tendono a stigmatizzare contro il ricorso in epigrafe, d’un giudizio negativo quale sommatoria di tante differenti vicende esaminate partitamente…".

Donde l’illegittimità dello scavalcamento del ricorrente, non temperato dall’autonomia delle singole procedure d’avanzamento quando, come nella specie, i controinteressati, collocati in posizione inferiore al ricorrente, lo sorpassarono in quella oggetto della sentenza ottemperanda senza che essi avessero "… acquisito, nel periodo di riferimento, titoli e benemerenze di consistenza tale da giustificare un nuovo ordine di graduatoria…".

Ulteriore profilo di criticità del giudizio della CSA e relativa sanzione della sentenza furono statuiti dalla Sezione sulla rilevanza dei corsi frequentati dalle parti, con riguardo, in particolare, al "… preferenziale titolo di superamento del Corso superiore di Polizia tributaria, invece posseduto dai genn. G. e C….". Il dott. B., nondimeno, fu nominato "… docente… nei medesimi Corsi ed in quelli di PT per capitani, con ciò dimostrando attitudini e qualità di cultura tali da esser chiamato ad insegnare in quel medesimo contesto formativo che non l’ha visto discente. Sicché non solo la preferenza ex lege accordata al predetto titolo non può, in base ad un criterio di razionale proporzionalità e di congruenza che fonda la discrezionalità tecnica, esser considerata sic et simpliciter, ma va valutata, secondo un giudizio d’equa e bilanciata compensazione, con i predetti incarichi di docenza e con il superamento del Corso di Alta formazione presso la Scuola di perfezionamento delle Forze di Polizia (secondo, per ferma giurisprudenza, solo al Corso sup. PT). Per quanto il Corso di Alta formazione non fondi di per sé solo un’automatica pretesa alla promozione al grado superiore, essendo solo un titolo per l’avanzamento in carriera, esso in una con le docenze presso il Corso superiore di PT determina una situazione d’evidente parità con i controinteressati sul punto e non implica alcuna legittima situazione deteriore in capo al ricorrente. Dette vicende furono già apprezzate in sede di promozione al grado di generale di brigata, con un esito d’evidente poziorità del ricorrente rispetto agli altri due ufficiali…", donde, a maggior ragione, l’illegittimità, per assenza di razionale giustificabilità, del sovvertimento delle loro posizioni relative in esito alla procedura per cui è causa.

La Sezione stabilì poi che, ferma la non automatica rilevanza del solo numero delle ricompense d’ordine morale -seppur il dato quantitativo non è di per sé irrilevante, "…occorre che le ricompense non siano raggruppate in maggioranza in un dato tempo o in un certo incarico, ma che costituiscano insiemi equlibrati corrispondenti ai segmenti essenziali (funzionali) del tempo della carriera dell’ufficiale…". Con riguardo al dott. B., la Sezione accertò che egli ottenne, lungo l’arco della sua carriera fino alla data di chiusura dei libretti ed in relazione agli incarichi espletati, ricompense per numero e qualità armonicamente distribuite nel tempo e nei servizi. Sicché la Sezione stabilì sul punto che queste ultime dovessero esser "… meritevoli d’un più serio apprezzamento…", con ciò affermando l’ingiustificata collocazione del ricorrente in graduatoria. Tale dato "… adeguatamente analizzato, non solo non giustifica ex se qualsivoglia seria inferiorità del ricorrente rispetto ai controinteressati, ma esprime altresì un’evidente criticità nell’impugnato giudizio…", sì da appalesarsi incoerente e non conforme con le valutazioni rese verso i genn. C. e G..

Ulteriore profilo d’erroneità la Sezione individuò nella sostanziale sottovalutazione degli incarichi del ricorrente, rispetto a quelli dei controinteressati, questi ultimi connotati, nei gradi dirigenziali, sì da gran prestigio, ma pure da un carattere fiduciario con proiezione all’esterno del Corpo, ta,e, perciò, da non poter giammai sopravanzare o ridondare in danno a quegli ufficiali i quali, con pari efficacia ed eccellenza, abbiano svolto i propri compiti solo nei reparti e negli uffici del Corpo medesimo.

Tanto nella considerazione che "… gli incarichi espletati sono ontologicamente di qualità e di peso differenti nell’organizzazione, peraltro mai statica, del Corpo,…". Donde il fatto che "… quelli prettamente d’istituto prevalgono (recte, son prioritari e indefettibili) rispetto a quelli di supporto e di prestigio…". La Sezione precisò che, se "… è precluso a questo Giudice… di sindacare l’assegnazione d’un ufficiale ad un reparto, piuttosto che ad un altro, ciò non significa che la giurisdizione resti insensibile… alla conclusione (delle Amministrazioni resistenti – NDE)… dell’assoluta parità tra tutti gli incarichi e tra tutti i servizi del Corpo…". Pertanto, la Sezione ebbe modo di chiarire la "…non assoluta preminenza degli incarichi dei controinteressati presso il Comando generale o gli organi di governo…", per la semplice ragione che "… tanto l’uno, quanto l’altro sono stati occupati in detti uffici per un frazione oggettivamente lunga della loro carriera, sì da non esser comparabile con l’attività operativa e territoriale del ricorrente…".

Ricapitolando, ad una serena lettura della sentenza n. 112/2008, la Sezione in primo luogo precisò i dati salienti dei poteri d’accertamento di questo Giudice, nel giudizio di cognizione in tema di valutazioni tecniche, delimitando i poteri c.d. "liberi" (rectius, non predefiniti da norme e regolati da scienze, tecniche o cognizioni di carattere personale ed opinabili) della P.A. ed evidenziando i travisamenti del concetto di giudizio tecnico da parte della CSA. Accogliendo poi le doglianze del ricorrente sull’eccesso di potere in senso relativo, ha vincolato l’attività di riemanazione della CSA sotto i profili dell’irragionevolezza, alla luce della documentazione caratteristica di tutti gli ufficiali coinvolti in giudizio, dello scavalcamento del ricorrente da parte dei controinteressati. Inoltre, la Sezione ha ulteriormente fissato, quali normae agendi nella fase esecutiva, le plurime ragioni della non priorità dei medesimi controinteressati con riguardo ai profili dell’eccellenza nel servizio, delle benemerenze, dei titoli di studio e di servizio e della qualità degli incarichi espletate.

Assumono al riguardo le Amministrazioni intimate che il giudicato, come accade in molti casi in cui si discute di valutazioni tecniche sottese alla statuizione impugnata, avrebbe lasciato alla CSA un margine di libero apprezzamento in sede di riemanazione.

Il Collegio non può esimersi dall’osservare fin d’ora, appunto per questo avendo testé riportato vari stralci della sentenza ottemperanda, che l’assunto de quo, corretto in linea di larga massima e di principio, s’appalesa nella specie non conducente. Tanto appunto a causa delle citate normae agendi che ictu oculi concludono nel senso d’una forte vincolatezza della fase di riesame, soprattutto alla luce del principio di non prevalenza dei controinteressati. Non può quindi il Collegio non riscontrare, nel nuovo giudizio della CSA (quello, cioè, per cui oggi è causa), un fraintendimento di fondo del significato della sentenza n. 112/2008, la quale non ha preteso un nuovo e miglior punteggio qualsivoglia nei riguardi del dott. B.. Invece, detta sentenza ha mosso dai vari sintomi d’eccesso di potere per dimostrare l’erroneità ab imis ed in toto del giudizio originario della CSA. Diversamente argomentando -ove, cioè, la Sezione avesse veramente effettuato un giudizio puntiforme su taluno, piuttosto che talaltro aspetto del punteggio assegnato al ricorrente, essa sarebbe caduta proprio in quel nocivo effetto, che certamente il Supremo Consesso avrebbe censurato alla luce della granitica giurisprudenza, ben nota anche alle Amministrazioni intimate, di sostituzione della volizione del Giudice all’esclusiva competenza della P.A. Sicché la CSA, coeteris paribus e senza che nulla sia cambiato nella documentazione caratteristica degli ufficiali coinvolti -trattandosi d’un giudizio da rendere ora (2010) per allora (2004), s’è orientata ad usare aggettivi superlativi nelle schede di ciascun Commissario nei confronti del ricorrente e di aumentargli il punteggio, come se la sentenza ottemperanda le avesse imposto soltanto siffatte correzioni. Ma essa non s’è, con ogni evidenza, avveduta che l’oggetto del contendere era non già il minor punteggio per un titolo, piuttosto che per un altro, ma il giudizio complessivo in sé -perché affetto da una profonda disomogeneità di trattamento e di valutazione rispetto ai controinteressati, tant’è che esso fu annullato in toto e non in parte qua.

4. – E a tal conclusione deve il Collegio pervenire soprattutto alla luce della decisione del Supremo Consesso n. 2800/2009, che ha integralmente confermato la sentenza della Sezione.

Invero, il Supremo Consesso ha precisato che "… la pronuncia del TAR,… nel ritenere realizzato lo scavalcamento del ricorrente da parte dei colleghi oggetto di comparazione (Caprino e Gentili), ha… tratto indizi di eccesso di potere relativo dall’esame comparato…" degli elementi relativi al rendimento, alle qualità morali, ai titoli preferenziali ed alle qualità professionali. Il Consiglio di Stato sul punto afferma che "… su ciascuna di tali tematiche le censure d’appello non possono essere accolte…", all’uopo confutando puntualmente i motivi di gravame. Il Supremo Consesso rammenta la ferma giurisprudenza in tema di bilanciamento, stante la natura complessiva del giudizio della CSA su ciascun ufficiale, dell’assenza di taluni titoli con quelli posseduti. Tant’è che la decisione stabilisce che "… la forma di valutazione bilanciata operata dal TAR risulta quindi non solo legittima ma anche, A DIFFERENZA DEL GIUDIZIO CENSURATO (maiuscolo dell’estensore), ragionevole…", chiarendone le ragioni. Inoltre, la predetta decisione rigetta gli argomenti delle Amministrazioni appellanti in ordine al quid pluris di discrezionalità per la CSA che sembra evincersi dall’art. 26, I c., lett. d) della l. 12 novembre 1955 n. 1137, giacché non si "… vede in quale modo dette osservazioni, meramente descrittive della realtà normativa, possano contrastare la specificità giuridica dei rilievi mossi dal TAR…".

Come si vede, il Supremo Consesso rigetta l’ipotesi che le Amministrazioni intimate adombrano in base al citato art. 26, laddove "… esse intendono riproporre l’insindacabilità delle valutazioni in ordine alla natura degli incarichi in comparazione…", appunto perché "… il giudizio di avanzamento deve rispondere a canoni di univocità e coerenza…".

In particolare, la decisione n. 2880/2009 precisa che "… l’esattezza dei rilievi svolti dal TAR in merito a giudizi di rendimento, qualità morali, titoli preferenziali e qualità professionali, conferma…la sussistenza di sufficienti elementi di eccesso di potere a carico dei provvedimenti censurati dalla decisione gravata…". Sicché pure il Supremo Consesso non si limita a predicare, con molti e fermi argomenti, l’assenza di spazi totalmente "liberi" d’apprezzamento in capo alla CSA, tali, cioè, da non dover esser giustificati secondo legalità, ragionevolezza e proporzionalità. Esso afferma la giustezza della sentenza della Sezione in ordine sia all’illegittimità dello scavalcamento del dott. B., sia alla sussistenza di effettive ragioni a supporto dell’accertato eccesso di potere in senso relativo, con ciò vincolando a tali stringenti parametri l’attività di riemanazione.

5. – Sulla scorta di questi ultimi concetti, il Collegio reputa infondata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso in ottemperanza in epigrafe, sollevata perché il nuovo giudizio della CSA è stato svolto da un organo "… ancora investit(o) dal potere di provvedere con margini di discrezionalità…", di talché "… gli eventuali vizi del nuovo provvedimento vanno fatti valere mediante l’impugnazione con ricorso ordinario…".

Per un verso, infatti, è ben noto che, nel processo amministrativo, l’oggetto del giudizio di ottemperanza è rappresentato dalla puntuale verifica da parte di questo Giudice circa l’esatto adempimento della P.A. all’obbligo di conformarsi al giudicato per far conseguire concretamente all’interessato l’utilità o il bene della vita già riconosciutogli in sede di cognizione. Tal verifica, che va condotta nell’ambito dello stesso quadro processuale che ha costituito il contesto su cui s’è mosso il giudizio di cognizione, implica, da parte di questo Giudice dell’ottemperanza, una delicata attività d’interpretazione del giudicato, al fine di enucleare e precisare il contenuto del comando (da compiersi solo sulla base della sequenza petitum – causa pretendi – motivi – decisum: cfr., da ultimo, Cons. St., IV, 2 febbraio 2010 n. 473). Ebbene, il Collegio, anche alla luce della motivazione della decisione n. 2800/2009, muove dai motivi d’impugnazione, dalle risposte a suo tempo fornite dalla sentenza n. 112/2008 e dal dispositivo per precisare, quale contenuto del comando posto da quest’ultima, l’annullamento totale del giudizio della CSA in sé e per affermare, stante l’evidente illegittimità dello scavalcamento del ricorrente e dell’asserita superiorità dei controinteressati, la consequenziale compressione dell’autonoma valutazione tecnica della CSA. Né basta: poiché v’era (e v’è tuttora) l’obbligo della CSA di conformarsi alle normae agendi poste dal giudicato, la nuova statuizione della CSA non ha compreso il portato della sentenza ottemperanda, onde spetta a questo Giudice dell’esecuzione e non ad una nuova sede di cognizione valutare se ed in qual misura tal fraintendimento determini, come ha determinato, un risultato di fatto elusivo del giudicato stesso. È appena da osservare che tali principi valgono pure nell’ipotesi, affermata dalle Amministrazioni resistenti (ma erroneamente), in cui esse, pur disponendo d’un ampio margine di discrezionalità in sede d’esecuzione del giudicato, ne facciano uso in modo da riprodurre invariati, come nella specie, i medesimi vizi di legittimità già definitivamente accertati nel pregresso giudizio, risultando ininfluente agli effetti della riscontrata elusione del giudicato che tutto ciò sia dovuto a consapevole volontà di violare o eludere il giudicato stesso, oppure al mero fraintendimento dei suoi contenuti (cfr. così Cons. St., IV, 31 dicembre 2009 n. 9296).

Per altro verso, rettamente il ricorrente rammenta il fermo principio della giurisprudenza -in virtù del quale si radica la competenza di questo Giudice dell’esecuzione, per cui è ammissibile il ricorso per ottemperanza, pur dopo l’emanazione dell’atto d’esecuzione, ove il petitum sostanziale miri a far valere non un qualunque scostamento di questo atto dalla legge sostanziale, ma la sua difformità specifica dal prestare piena ed incondizionata attuazione all’accertamento contenuto nella sentenza ottemperanda.

Al riguardo, non sfugge certo al Collegio il concetto, parimenti fermo negli arresti del Supremo Consesso (cfr., da ultimo, Cons. St., IV, 24 maggio 2010 n. 3272), per cui, in sede di esecuzione del giudicato sull’annullamento del giudizio d’avanzamento degli ufficiali, obbligo della CSA è di rinnovare la valutazione, ma con esito libero o solo parzialmente compromesso dalle eventuali prescrizioni conformative contenute nel giudicato medesimo che, tuttavia, non si possono tradurre nella mera sostituzione del Giudice alla P.A. procedente e, quindi, nel conseguimento sic et simpliciter dell’auspicata promozione.

Peraltro è certo vero che, ove il giudicato avesse lasciato alla CSA un margine di discrezionalità in sede di riesame del giudizio annullato, il nuovo atto sarebbe restato soggetto all’ordinario regime di impugnazione, avendo la P.A. fatto uso del potere discrezionale (cfr., p. es., Cons. St., VI, 20 luglio 2009 n. 4554). Non così accade nella specie, ove il giudicato ha eliso in radice il giudizio a suo tempo reso dalla CSA e le ha imposto l’unico (e corretto) criterio di valutazione che non s’è punto ingerito nel merito della valutazione. D’altronde, è parimenti vero che, in sede d’esecuzione del giudicato, la discrezionalità che residua alla P.A. procedente va esercitata in stretta correlazione funzionale con l’obbligo d’ottemperanza, la cui finalità è non solo di rendere effettivo il bene giuridico riconosciuto dal giudicato (cfr., per tutti, Cons. St., IV, 29 ottobre 2002 n. 5940), ma anche di pervenire al risultato finale in un tempo adeguato a far fruire tal bene a chi gli spetta, senza ingiustificati ritardi. Non è allora chi non veda come, avendo pure il Consiglio di Stato ribadito il criterio medesimo, oggidì le Amministrazioni resistenti vorrebbero non solo eluderne il reale significato, ma addirittura pretendere da questo Giudice, in questa sede non più di cognizione, una sorta di revisione, quando non di riforma della decisione del Supremo Consesso.

E ciò nonostante esse, ove avessero realmente dubitato dell’ingerenza di quest’ultima nel merito amministrativo che pretendono esser loro residuato nella specie, avrebbero dovuto esperire ricorso per cassazione nei confronti di detta decisione n. 2800/2009.

6. – Né maggior pregio assume, agli occhi del Collegio, il richiamo ad un recente arresto del Supremo Consesso (cfr. Cons. St., IV, 31 dicembre 2009 n. 9290), da cui vorrebbero inferire, nella materia dell’avanzamento degli ufficiali, l’inammissibilità del ricorso per ottemperanza.

In quel caso il Consiglio di Stato, in modo simile a quanto statuito con la decisione n. 3272/2010, precisò che "… qualora una decisione imponesse all’amministrazione di attribuire un punteggio di merito tale da assicurare un inquadramento in ruolo in modo utile, il giudice verrebbe "a privare la P.A. del potere di determinarsi liberamente nel riesaminare la fattispecie"…". Il Supremo Consesso ribadì il principio indicato dalla Corte regolatrice (cfr. Cass., sez. un., 8 gennaio 1997 n. 91), per cui il giudicato aveva "… fissato preventivamente e con efficacia vincolante il criterio da adottare nella nuova valutazione, in tal modo limitando illegittimamente la sfera di discrezionalità dell’Amministrazione stessa e venendo a provvedere alla formazione della graduatoria mediante apprezzamenti e scelte demandanti invece in via esclusiva alla C.S.A..

Nulla di tutto questo ha a che fare con la vicenda all’odierno esame del Collegio, in quanto la sentenza n. 112/2008 investe globalmente tutti gli ambiti oggetto del giudizio della CSA, affermandone l’erroneità evidente e la non uniformità nella valutazione complessiva di tutti gli ufficiali scrutinandi, a discapito personale del dott. B..

Né basta: il giudicato nella specie ha affermato che il vizio d’eccesso di potere in senso relativo scaturisce dall’assenza, parimenti evidente, dell’inferiorità del ricorrente rispetto ai genn. C. e G., promossi al grado superiore. Dal che la necessità, in capo alla CSA, d’emendare l’accertata illegittimità della valutazione, a suo tempo effettuata, alla luce di tutti questi criteri direttivi ed inderogabili. La sentenza n. 112/2008 o il Supremo Consesso non si sono rimessi a far calcoli di punteggi o a verificare quando e come il dott. B. dovesse conseguire in via immediata e diretta il suo avanzamento al grado superiore. I due pronunciamenti in sede di cognizione hanno stabilito, per vero in modo fermo, il contenuto dell’ordine alla CSA di procedere, ora per allora ed in base al giudicato, alla nuova valutazione del dott. B., non collocato utilmente, emendando il vecchio giudizio dagli accertati vizi.

Sfugge allora al Collegio la ragione per cui la CSA, dopo aver trasformato le aggettivazioni delle singole schede dal qualificativo (2004) al superlativo (2010), s’è limitata a correggere qua e là il punteggio originario, senza riformulare il giudizio.

Essa non ha fornito una lettura seria e precisa del giudicato ottemperando, tant’è che non ne ha colto il senso profondo (la sostanziale assenza rebus sic stantibus d’inferiorità del dott. B.) e ha reiterato tal quali le precedenti illegittimità. E ciò s’appalesa, agli occhi del Collegio, un’evidente elusione del giudicato stesso, posto che, fermi i criteri di giudizio a suo tempo predefiniti dalla CSA nella sua prima riunione -e che non formarono oggetto di contestazione in sede di cognizione, oggidì la Commissione avrebbe dovuto non reiterare un giudizio sul dott. B. come se vi fosse una tabula rasa. L’obbligo di riemanazione, in altre parole, le impose (e le impone tuttora) d’abbandonare l’ipotesi che, in fondo, un qualunque risultato valutativo sarebbe stato pur sempre corretto ed utile a chiudere la vicenda -in tal senso dovendosi interpretare la rinnovata valutazione, dimenticando che non solo non s’era alla prima valutazione verso il dott. B. e che soprattutto quest’ultima era da condurre, in base al giudicato e per ricostituire l’omogeneità del sistema di valutazione, con il medesimo metro a suo tempo adoperato nei confronti dei genn. C. e G.. Essa avrebbe dapprima fare l’esatta ricognizione delle normae agendi scaturenti dal giudicato, porle poi in posizione gerarchicamente superiore rispetto ai citati criteri, farne l’esatta combinazione e, quindi, statuire in modo non da replicare il risultato preesistente, ma da ristabilire la predetta unità di valutazione.

Scolorano allora tutte le questioni che le Amministrazioni resistenti oppongono alla necessità del rinnovo della valutazione, in particolare quelle inerenti alla discrezionalità della CSA sugli aspetti del giudizio a suo tempo censurati dal giudicato. Infatti, tal discrezionalità è ben compressa da quanto detto dalla Sezione e dal Supremo Consesso e, in ogni caso, non si può più esercitare sugli elementi già censurati dal giudicato, essendo dette Amministrazioni proprio soccombenti su tali aspetti. Ove mai il Collegio accedesse a tal prospettazione, tornando cioè per la terza volta su dati su cui la cognizione del Giudice amministrativo s’è definita non con una generica condanna, bensì con lo specifico annullamento, perverrebbe al già citato nocivo effetto d’effettuare un terzo giudizio di merito e, in sostanza, di riformare la statuizione del Consiglio di Stato. È appena da osservare che la predicata, ma non dimostrata "discrezionalità" (comunque tecnica, non amministrativa) non può sovvertire l’ordine gerarchico delle fonti che regolano il procedimento di riemanazione sui punti già direttamente esaminati dal giudicato, né tampoco può rimettere in discussione gli altri elementi che non formarono oggetto del giudizio di cognizione o su cui non v’è contrasto tra le parti.

Da ciò discende, in una con l’annullamento del rinnovato giudizio verso il ricorrente, la necessità che la CSA finalmente s’attenga al giudicato ottemperando secondo le lineeguida fin qui tenute presenti dal Collegio. Sicché reputa opportuno il Collegio assegnare alla CSA il termine di giorni trenta (30 gg.), decorrente dalla notificazione della presente sentenza o dalla sua comunicazione d’ufficio, affinché provveda a dare stretta e tempestiva esecuzione alla sentenza n. 112/2008, riesaminando funditus la posizione del dott. B.. In caso d’inutile decorso del predetto termine, reputa altresì necessario il Collegio nominare fin d’ora, nella persona del Comndante general della guardia di finanza (o altro generale di C.A. da questi designato), il Commissario ad acta affinché, nell’ulteriore termine di giorni trenta (30 gg.) decorrente da quando s’è esaurito il precedente e con la necessaria coadiuzione del Capo di Stato maggiore del Corpo, provveda in sostituzione delle Amministrazioni resistenti ad eseguire il citato giudicato scaturente dalla sentenza n. 112/2008, fornendo tempestiva relazione dell’avvenuto adempimento alla Sezione. Al riguardo, il Collegio fissa in Euro 2.000,00 (Euro duemila/00) il compenso per il Commissario ad acta, con le ritenute di legge ed al netto delle spese documentate, che egli provvederà ad autoliquidarsi in esito all’incarico conferitogli e con separato provvedimento.

7. – In definitiva, il ricorso in epigrafe va accolto nei sensi fin qui esaminati. Le spese del presente giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sez. II, accoglie il ricorso n. 3356/2010 RG in epigrafe e per l’effetto annulla, per quanto di ragione e nei sensi di cui in motivazione, il giudizio di cui alla nota prot. n. 18855/10 del 21 gennaio 2010 e condanna le Amministrazioni intimate a prestare, nei termini e con le modalità di cui in parte motiva, piena ed integrale esecuzione al giudicato meglio indicato in premessa.

Condanna altresì le Amministrazioni intimate al pagamento, a favore del ricorrente, delle spese del presente giudizio, che sono nel complesso liquidate in Euro 3.000 (euro tremila/00), oltre IVA e CPA come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 26 maggio 2010, con l’intervento dei sigg. Magistrati:

Luigi Tosti, Presidente

Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore

Stefano Toschei, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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