T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, Sent., 30-03-2011, n. 456 Atti amministrativi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con istanza pervenuta alla Regione Calabria il 13.5.2009, la società E. srl chiedeva l’avvio della procedura di valutazione di impatto ambientale ed il rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale per la realizzazione di una discarica per rifiuti speciali non pericolosi dedicata esclusivamente allo smaltimento di rifiuti contenenti amianto, da ubicarsi in località Santa Marina del Comune di Scandale.

Ai fini del rilascio della chiesta autorizzazione integrata, era convocata apposita conferenza di servizi, ex art. 5, comma 10, D.Lgs. n. 59/2005 e ss.mm., nel corso della quale erano acquisiti i pareri favorevoli del Nucleo VIAVASIPPC, dell’ARPAcal, dell’ASP di Crotone, del Dipartimento Regionale Agricoltura, Foreste e Forestazione e del Comune di Scandale.

Il parere della Provincia di Crotone, la quale, ritualmente convocata, non prendeva parte alla Conferenza, era acquisito ex art 14 ter, comma 7, delle legge n. 241/1990.

A conclusione della conferenza di servizi, la Regione Calabria, con D.D.G. del Dipartimento Politiche dell’Ambiente n. 2014 di data 1.3.2010, esprimeva giudizio favorevole di compatibilità ambientale e rilasciava l’autorizzazione integrata ambientale richiesta per la realizzazione del progettato impianto.

Peraltro, a distanza di qualche mese, nascevano contrasti nell’Amministrazione comunale di Scandale in ordine alla localizzazione e realizzazione del detto impianto, nonché alla sua sicurezza e, con deliberazione n. 10 di data 12.5.2010, il Consiglio Comunale deliberava di esprime parere sfavorevole alla realizzazione della discarica in questione, dando mandato al Sindaco di porre in essere ogni azione amministrativa utile, necessaria ed opportuna, per sospendere gli effetti del decreto regionale di autorizzazione, con richieste alla Regione Calabria di riesame dell’autorizzazione medesima.

In data 13.7.2010, alla società E. era comunicato il provvedimento n. 9369 di data 17.6.2010 del Dirigente Generale del Dipartimento Politiche dell’Ambiente della Regione Calabria, con il quale, preso atto del parere sfavorevole espresso dal Consiglio Comunale di Scandale, si disponeva la sospensione della validità del D.D.G. n. 2014 di data 1.3.2010, con il quale era stato espresso giudizio favorevole di compatibilità ambientale e rilasciata l’autorizzazione integrata ambientale per la realizzazione della discarica in oggetto, sino all’eventuale data di presentazione di richiesta di riesame del progetto con riconvocazione della conferenza dei servizi.

Tali provvedimenti sono impugnati dalla società E. srl, la quale ne chiede l’annullamento, previa sospensione cautelare, e denuncia i seguenti vizi:" 1) Violazione di legge (art. 7 e ss. L. n. 241/1990) e del giusto procedimento; 2)Violazione di legge (art 21 quater, co. 2, L. n. 241/1990) – Eccesso di potere per sviamento; 3)Violazione di legge (artt. 3, 14 ter, co. 7, 14 quater, co. 1 e 21 quater, co. 2 L. n. 241/1990 e art. 5, co. 11 e 9, co.4 L. n.59/2005) – Difetto di motivazione e di istruttoria – Eccesso di potere per erroneità dei presupposti; 4) Violazione di legge (art 5, co. 11 L. n. 59/2005 e art 42 e 50 D.Lgs. n. 267/2000) – Difetto di competenza".

Resiste in giudizio la Regione Calabria, la quale chiede il rigetto del ricorso per infondatezza, previo rigetto dell’istanza cautelare.

Anche il Comune di Scandale resiste in giudizio, chiedendo il rigetto dell’istanze cautelare e del ricorso.

Con ordinanza n. 707, assunta alla Camera di Consiglio del 16 settembre 2010, è stata accolta la richiesta di sospensione dei provvedimenti impugnati.

Alla pubblica udienza del 24 febbraio 2011, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso, si denuncia la violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990, in quanto il provvedimento di sospensione dell’autorizzazione ambientale n. 2014/2010 non è stato anticipato dalla dovuta comunicazione di avvio del procedimento, pur non sussistendo ragioni di urgenza. La ricorrente, ove debitamente avvisata, avrebbe potuto formulare osservazioni e addurre elementi diretti ad impedire l’emanazione di un atto illegittimo e fondato su presupposti assolutamente erronei.

La censura è fondata.

La necessità di dare comunicazione dell’avvio del procedimento è posta in funzione dell’arricchimento che deriva all’azione amministrativa, sul piano del merito e della legittimità, dalla partecipazione del destinatario del provvedimento, di guisa che essa, salvi i casi di comprovate esigenze di celerità, va sempre disposta quando l’amministrazione intende emanare un atto di secondo grado – di annullamento, di revoca o di decadenza – e tale principio si applica a fortiori quando l’amministrazione esercita un potere non vincolato ma prettamente discrezionale, in quanto l’art. 7 della legge n. 241/1990 consente all’interessato, già nel corso del procedimento, di formulare osservazioni e di rappresentare all’amministrazione stessa nuovi elementi utili al fine di evitare l’emanazione di un atto che, altrimenti, potrebbe essere affetto da vizi di legittimità, sotto il profilo, ad esempio, dell’erroneità nei presupposti e nelle valutazioni (per tutte Consiglio di Stato, sez. V, 16 giugno 2009, n. 3861).

Nel caso in esame, non vengono rappresentate in alcun modo ragioni di urgenza nell’adozione dell’atto impugnato tali da consentire il superamento dell’obbligo di comunicazione in questione, né può dubitarsi che l’attività posta in essere dall’Amministrazione regionale fosse di carattere squisitamente discrezionale. Era, quindi, onere della Regione Calabria provvedere alla formale comunicazione ex art 7 legge n. 241/1990 nei confronti della società ricorrente, titolare dell’autorizzazione ambientale, al fine di consentire la partecipazione della stessa al procedimento e, quindi, l’apporto istruttorio, anche sotto il profilo tecnico, che la società medesima avrebbe potuto offrire.

La mancata comunicazione di avvio del procedimento rende, pertanto, illegittimo il provvedimento di sospensione adottato dall’Amministrazione Regionale.

Con il secondo motivo, la ricorrente, denunciando violazione dell’art. 21 quater, legge n. 241/1990, rileva come il provvedimento di sospensione impugnato non indichi esplicitamente il termine di durata della disposta sospensione, come richiesto dalla norma invocata, con la conseguenza che, trattandosi di sospensione sine die, l’atto stesso sarebbe illegittimo in quanto finirebbe per "equivalere ad un sostanziale ritiro dell’atto sospeso", con conseguente sviamento della causa tipica e correlato pregiudizio di certezza delle posizioni giuridiche.

La censura è fondata.

L’art. 21 quater della legge n. 241/1990, norma che disciplina l’efficacia e l’esecutività del provvedimento amministrativo, prevede, al comma secondo, che l’efficacia ovvero l’esecuzione del provvedimento amministrativo possa essere sospesa, esclusivamente per gravi ragioni e solo per il tempo strettamente necessario. Il termine della sospensione, peraltro, deve essere esplicitamente indicato nell’atto che dispone la sospensione medesima e può essere prorogato o differito per una sola volta. Il provvedimento di sospensione impugnato, al contrario, da un lato -come si dirà meglio in seguito – non indica le "gravi ragioni" che consentono la sospensione dell’efficacia dell’atto e, dall’altro, non indica nemmeno il termine finale di sospensione della validità del D.D.G n. 2014/2010, con il quale è stato espresso giudizio di compatibilità ambientale favorevole e rilasciata la autorizzazione integrata ambientale: il provvedimento impugnato, infatti, dispone solamente che la sospensione si protragga fino "all’eventuale data di presentazione di richiesta di riesame del progetto con riconvocazione della conferenza di servizi". Tale previsione non solo collega la durata della sospensione ad un evento -la presentazione della richiesta di riesame – di cui non è dato sapere il momento in cui esso si verificherà, ma, fatto anche più grave, un evento che -per stessa ammissione della Regione – è del tutto ipotetico ed eventuale.

Sotto questo profilo, pertanto, è fondata la censura mossa dalla ricorrente, relativamente alla violazione della norma richiamata.

Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia ancora la violazione dell’art. 21 quater legge n. 241/1990, sotto un diverso profilo, nonché la violazione degli artt. 3, 14 ter, comma 7, e 14 quater, comma 1 stessa legge n. 241 e artt. 5, comma 11 e 9 comma 4 della legge n. 59/2005, oltre ad un difetto di motivazione ed istruttorio. In particolare, la ricorrente contesta che la Regione abbia disposto la censurata sospensione sulla base di una mera presa d’atto della deliberazione comunale n. 10/2010, ritenendo, erroneamente, che detta deliberazione valesse ad annullare "di fatto" il parere espresso in sede di conferenza dei servizi, integrando in tal modo, ad un tempo, sia il vizio di difetto di motivazione ed istruttorio, sia la violazione del comma secondo dell’art. 21 quater della legge n. 241/1990, laddove prescrive la sussistenza di "gravi ragioni" per poter disporre la sospensione dell’efficacia di un provvedimento amministrativo; ancora, sia con riferimento al provvedimento regionale di sospensione che alla deliberazione del Consiglio Comunale n. 10/2010, si denuncia la violazione dell’art. 14 quater della legge n. 241/1990, in quanto il Comune di Scandale, esprimendo il parere positivo in sede di conferenza di servizi, aveva esaurito il proprio potere, non potendosi esprimere dissensi al di fuori della stessa conferenza; infine, è denunciata la violazione dell’art. 5, comma 11, della legge n. 59/2005, norma che consente al Sindaco di chiedere all’Autorità competente il riesame dell’autorizzazione integrata ambientale già rilasciata solo in presenza di circostanze intervenute successivamente al rilascio dell’autorizzazione, situazione, questa, non verificatasi nel caso in esame.

Anche le esposte censure sono fondate.

Come già accennato in precedenza, l’art. 21 quater, comma secondo, della legge n. 241/1990, nel disciplinare l’efficacia e l’esecutività del provvedimento amministrativo, prescrive che queste possano essere sospese in presenza di "gravi ragioni". Il provvedimento regionale impugnato, di contro, non rappresenta alcuna "grave ragione" in forza della quale disporre la contestata sospensione, ma si limita laconicamente a richiamare la deliberazione del Consiglio Comunale n. 10/2010 con la quale l’Amministrazione Comunale ha espresso parere sfavorevole alla realizzazione della discarica in questione nel proprio territorio. E’ di tutta evidenza come il detto richiamo non costituisce elemento sufficiente ad integrare le "gravi ragioni" che la norma di legge citata richiede al fine di poter disporre la sospensione dell’efficacia o esecutività di un legittimo provvedimento amministrativo.

Già sotto questo profilo, pertanto, il provvedimento di sospensione è illegittimo.

E’, peraltro, sussistente anche la denunciata violazione dell’art. 14 quater della legge n. 241/1990

Giova ricordare che, a seguito della domanda diretta ad ottenere l’autorizzazione integrata ambientale presentata dalla società ricorrente, era convocata apposita conferenza dei servizi, secondo quanto previsto dall’art. 5, comma 10 del D.Lgs. n. 59/2005, norma all’epoca vigente. In sede di conferenza, come emerge dal verbale n. 2 della seconda seduta di data 16.12.2009, il Comune di Scandale esprimeva parere favorevole al proposto impianto, tenendo conto dei pareri favorevoli dell’ASP di Crotone, dell’ARPAcal e del Dipartimento agricoltura, foreste e forestazioni della Regione Calabria. Devesi rilevare, peraltro, che, una volta espresso il parere in sede di conferenza dei servizi, l’Amministrazione comunale consuma il relativo potere, con la conseguenza che non è ammessa l’adozione di un parere negativo "postumo". Come, infatti, questo Tribunale ha già avuto modo di rilevare (sez. I, 27 gennaio 2010, n. 45) il legislatore, con la previsione di cui all’art. 14 quater comma 1, legge n. 241 del 1990, pur se con terminologia atecnica e di matrice processuale, parlando di "inammissibilità" del c.d. parere postumo, ha inteso sanzionare con la nullità per carenza di potere i pareri espressi fuori dalla conferenza di servizi, trattandosi di uno dei non molti casi in cui la legge stabilisce che il potere deve essere esercitato entro un termine tassativo, a pena di consumazione (in tal senso anche TAR Puglia, Lecce, sez. III, 13 maggio 2008, n. 1371; Consiglio di Stato, sez. IV, 3 marzo 2006, n. 1023). Del resto, la norma in oggetto è posta anche al fine di far si che le amministrazioni che partecipano alla conferenza di servizi assumano le proprie determinazioni responsabilmente e con cognizione di causa; ciò non significa che un ripensamento sia del tutto precluso, ma esso -per come meglio si dirà in seguito – è consentito solo in presenza di rilevanti e precise ragioni, nelle ipotesi espressamente previste.

In conseguenza delle esposte argomentazioni, si deve rilevare che, da un lato, il Comune di Scandale non avrebbe potuto esprimere il parere sfavorevole di cui alla deliberazione n. 10/2010, avendo orami consumato il relativo potere, e, dall’altro, la Regione Calabria non avrebbe potuto attribuire alcun valore a detto parere, assunto al di fuori della conferenza di servizi appositamente convocata, né, a maggior ragione, avrebbe potuto far discendere da esso l’annullamento "di fatto" della valutazione positiva espressa dal Comune in sede di conferenza.

La censura è, dunque, fondata e va accolta.

Anche la denunciata violazione dell’art. 5, comma 11, della D.Lgs. 18 febbraio 2005, n. 59 è fondata.

Il comma 11, ultimo periodo, del citato art. 5 prevede che "In presenza di circostanze intervenute successivamente al rilascio dell’autorizzazione di cui al presente decreto, il sindaco, qualora lo ritenga necessario nell’interesse della salute pubblica, chiede all’autorità competente di verificare la necessità di riesaminare l’autorizzazione rilasciata, ai sensi dell’articolo 9, comma 4". La facoltà riconosciuta al Sindaco di richiedere il riesame della rilasciata autorizzazione, pertanto, è azionabile ove sussistano le condizioni di cui al successivo art. 9, comma 4, medesimo decreto. Tale ultima disposizione -dedicata, appunto, al rinnovo e al riesame – prevede al comma 4 che "Il riesame è effettuato dall’autorità competente, anche su proposta delle amministrazioni competenti in materia ambientale, comunque quando:

a) l’inquinamento provocato dall’impianto è tale da rendere necessaria la revisione dei valori limite di emissione fissati nell’autorizzazione o l’inserimento in quest’ultima di nuovi valori limite;

b) le migliori tecniche disponibili hanno subito modifiche sostanziali, che consentono una notevole riduzione delle emissioni senza imporre costi eccessivi;

c) la sicurezza di esercizio del processo o dell’attività richiede l’impiego di altre tecniche;

d) nuove disposizioni legislative comunitarie o nazionali lo esigono.

Il dettato normativo è chiaro nel prevedere il riesame solo in forza di circostanze che siano sopravvenute, cioè realizzatesi successivamente al rilascio ed alla messa in esercizio dell’impianto. Più in particolare, tali nuove e sopravvenute circostanze possono attenere, da un lato, ad aspetti o soluzioni tecniche o ad elementi relativi ai valori di emissione non presenti in sede di rilascio dell’autorizzazione, e, dall’altro, alla sopravvenienza di nuove disposizioni legislative che impongano il riesame. E’, in ogni caso, fuori dubbio che tali nuovi elementi presuppongano un impianto realizzato ed in esercizio, situazione, questa, del tutto mancante nel caso in esame, ove l’impianto -per come affermato dalla ricorrente e non contestato dalle amministrazioni resistenti – non è stato nemmeno realizzato.

Al contrario, la deliberazione Comunale n. 10/2010, posta a base del provvedimento Regionale di sospensione dell’autorizzazione, assume come unica motivazione il fatto che "la popolazione residente ed in particolare i proprietari limitrofi hanno sollevato perplessità circa il fatto che nella procedura di A.I.A. si sia tenuto poco conto della valutazione generale dell’impatto dell’opera sugli insediamenti produttivi, sia a livello di aziende agricole o zootecniche anche a carattere industriale, circostanti o comunque da ritenere viciniori". Non può non rilevarsi come il timore e la contrarietà della popolazione locale nei confronti del realizzando impianto non realizza la condizione richiesta dal legislatore -e sopra ricordata- per poter accedere al riesame previsto dall’art. 9, comma 4, del D.Lgs. n. 59/2005, anche perché l’Amministrazione comunale, attraverso il Sindaco, ha già vagliato tali aspetti nel momento di espressione del favorevole parere in sede di conferenza di servizi, parere che, evidentemente, è stato reso dopo attenta, ponderata e responsabile valutazione.

Anche per tali ulteriori argomenti, quindi, i provvedimenti impugnati sono illegittimi e devono essere annullati.

Alla luce delle esposte argomentazioni, si ritiene che il quarto ed ultimo motivo di ricorso possa essere assorbito, non derivando alla ricorrente alcuna ulteriore utilità da un suo eventuale accoglimento.

In conclusione, il ricorso è fondato e deve essere accolto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati.

Condanna in via solidale le Amministrazioni resistenti al pagamento delle spese di giudizio, che liquida complessivamente in euro 4.000, per diritti ed onorari, oltre IVA e CPA come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *