Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 25-03-2011) 05-04-2011, n. 13591 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

p.1. Con ordinanza del 21 dicembre 2010 il Tribunale di Bologna, in funzione di giudice del riesame, annullava per mancanza di gravi indizi il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari aveva applicato ad A.R. la misura cautelare della custodia in carcere per il delitto previsto dall’art. 378 c.p., commi 1 e 2, per avere aiutato Ac.Ni. a sottrarsi alle ricerche dell’autorità, procurandogli, mediante un contratto di locazione fittiziamente intestato a F.G., la disponibilità di una villetta ubicata al (OMISSIS) da utilizzare come propria abitazione.

Il Tribunale, premesso:

– che il giorno della stipula del contratto di locazione erano comparsi avanti al responsabile dell’agenzia immobiliare Ac., A. e F.G.;

– che quest’ultimo aveva sottoscritto il contratto e tenuto i rapporti con l’agenzia;

– che lo stesso, indagato per il reato di favoreggiamento personale, dichiarava di avere fatto da prestanome in favore di Ac. su richiesta di A.;

ciò premesso, riteneva che la presenza di A. alla stipula del contratto fosse un fatto irrilevante, inidoneo a confermare la chiamata in correità proveniente da F..

Contro la decisione ricorre il pubblico ministero, che denuncia vizio di motivazione per erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p., comma 3, censurando che il Tribunale abbia disconosciuto che la presenza dell’indagato alla conclusione del contratto riscontrasse l’attendibilità della chiamata in correità. Chiede pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata. p.2. Il ricorso è fondato.

Ai fini dell’adozione di misure cautelari personali, le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato possono costituire grave indizio di colpevolezza se, oltre ad essere intrinsecamente attendibili, siano sorrette da riscontri esterni individualizzanti, così da assumere idoneità dimostrativa in relazione all’attribuzione del fatto di reato al soggetto destinatario della misura, fermo restando che la relativa valutazione, avvenendo su materiale conoscitivo ancora in itinere, deve essere orientata ad acquisire non la certezza, ma l’elevata probabilità di colpevolezza del chiamato.

Orbene l’ordinanza impugnata, dopo avere diligentemente richiamato i criteri di valutazione elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di chiamata in correità, ha inopinatamente omesso di applicarli al caso concreto.

In particolare, ha illogicamente negato valore di riscontro confermativo alla circostanza che l’indagato era presente alla stipulazione del contratto di locazione relativo alla villetta in cui trovò rifugio, dietro il paravento di un nome altrui, il latitante Ac.. Dato che F., intestatario fittizio del contratto di locazione, dichiarò di essere stato indotto a fungere da prestanome da A., il fatto che A. abbia accompagnato Ac. e F. all’agenzia immobiliare e abbia assistito alla firma del contratto assumeva un indubbio significato confermativo del ruolo attribuitogli da F.. Tanto più che, non essendo emerso alcun precedente collegamento tra Ac. e F., la presenza di A. alla stipula del contratto si giustificava soltanto con lo scopo di mettere in contatto il latitante con il suo diretto favoreggiatore. L’intervento di A. fu dunque decisivo per reperire il prestanome che, evitando al latitante di manifestare le proprie generalità sul contratto che doveva essere trasmesso per disposizione di legge all’autorità di pubblica sicurezza, avrebbe procurato al latitante la disponibilità di un alloggio sicuro, ponendolo al riparo dalle ricerche.

Il giudice a quo, per negare valore confermativo al predetto riscontro, scrive che dalla circostanza che A. si era recato presso l’agenzia immobiliare insieme con Ac. e F. "si può desumere soltanto un rapporto di amicizia con il latitante e molto probabilmente la sua disponibilità anche a supportarlo alla bisogna". Ora, mentre la prima inferenza è apodittica visto che il presunto rapporto di amicizia non è riscontrato da alcun elemento concreto e neppure dall’esperienza comune che non registra l’abitudine di recarsi a stipulare la locazione di appartamenti portandosi appresso gli amici, l’altra inferenza – affacciata con giudizio di alta probabilità – si pone invece in manifesta contraddizione con l’assunto iniziale, giacchè confermerebbe proprio la dichiarazione accusatoria del chiamante F..

Pertanto l’ordinanza impugnata, a causa dei vizi motivazionali testè censurati, deve essere annullata con rinvio allo stesso Tribunale, che, in diversa composizione, accerterà la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, valutando l’attendibilità della chiamata in correità proveniente da F.G. secondo i canoni logici sopra enunciati.
P.Q.M.

La Corte di cassazione annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Bologna.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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