Cass. civ. Sez. I, Sent., 30-06-2011, n. 14482 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.S. (n. (OMISSIS)), quale erede di Pa.St.

(n. (OMISSIS) e deceduto nel (OMISSIS)) ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che ha rigettato il suo ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi avanti alla Corte dei Conti dal 21 novembre 1970 al 7 novembre 2005.

Resiste l’Amministrazione con controricorso.

Il Collegio ha disposto la redazione della motivazione in forma semplificata.
Motivi della decisione

Con il primo motivo si deduce violazione di legge per avere la Corte di merito ritenuto sussistente in capo alla parte nel giudizio presupposto la piena consapevolezza dell’infondatezza della sua pretesa sulla base di elementi presuntivi e senza che sul punto l’Amministrazione avesse dedotto specifiche eccezioni.

La censura è infondata in quanto la Corte ha già stabilito che l’Amministrazione non è tenuta a dedurre formalmente le predette circostanze, non trattandosi di eccezione in senso stretto, per la quale la legge richiede espressamente che sia soltanto la parte a rilevare i fatti impeditivi; conseguentemente, se gli elementi rilevanti ai fini della prova di tali circostanze sono stati comunque ritualmente acquisiti al processo o attengono al notorio, gli stessi entrano a far parte del materiale probatorio che il giudice può liberamente valutare (Cassazione civile, sez. 1, 09/04/2010, n. 8513).

Con il secondo motivo si deduce difetto di motivazione in relazione alla ritenuta consapevolezza, in capo alla parte, della manifesta infondatezza della sua pretesa nell’ambito del giudizio presupposto.

La censura è fondata in quanto la motivazione addotta dal giudice del merito che ha evidenziato il lunghissimo tempo decorso tra l’insorgenza della sostenuta infermità e la domanda (circa trent’anni), la mancanza della benchè minima indicazione circa la natura della stessa e gli elementi di prova, l’assenza di ogni specifica contestazione del provvedimento amministrativo di diniego non è sufficiente a provare il deliberato abuso dello strumento processuale finalizzato a lucrare un qualche vantaggio dalla pendenza del giudizio.

Il ricorso deve dunque essere accolto. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nei merito e pertanto, tenuto conto della giurisprudenza dalla Corte (ex aliis: sentenza n. 14753/2010) secondo cui l’importo dell’indennizzo per giudizi avanti al giudice amministrativo o contabile protrattisi per lungo tempo può essere liquidato in via forfettaria nonchè delle decisioni assunte ex art. 384 c.p.c., comma 2, l’Amministrazione deve essere condannata alla rifusione in favore del ricorrente della somma di Euro 16.000, oltre interessi di legge, con la precisazione che il periodo utile ai fini del calcolo della durata è solo quello posteriore al 1 agosto 1973 (Cassazione civile, sez. I, 20/06/2006, n. 14286).

Le spese di entrambi i gradi seguono la soccombenza.
P.Q.M.

la Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 16.000, oltre interessi di legge dalla data della domanda, nonchè alla rifusione delle spese che liquida, quanto alla fase di merito, in complessivi Euro 1.140, di cui Euro 490 per onorari e Euro 600 per diritti, e, quanto alla fase di legittimità, in complessivi Euro 1.000, di cui Euro 900 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge; spese distratte in favore dell’Avv. Vito Passalacqua antistatario.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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