T.A.R. Campania Napoli Sez. VI, Sent., 30-03-2011, n. 1857 Procedimento e punizioni disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1- Con il ricorso in esame, notificato il 17 maggio 2010 e depositato il 9 giugno successivo, l’ispettore superiore della Polizia di Stato, N.C., ha impugnato il decreto del Capo della polizia – Direttore generale della pubblica sicurezza del 12 febbraio 2010, notificato il 18 marzo successivo e recante, a suo carico, l’irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per la durata di mesi uno.

1a- In una alla domanda impugnatoria, sorretta dalle denunce di cui di seguito, è stata proposta anche domanda risarcitoria: sia in relazione al mancato pagamento degli importi di ordinaria retribuzione non corrisposti per il periodo di sospensione dal servizio, sia in relazione al pregiudizio all’immagine, sia in relazione alla progressione professionale.

2- A sostegno della parte impugnatoria sono stati proposti due motivi di ricorso volti a denunciare violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del d.P.R. 731/1981 (primo motivo) e violazione e falsa applicazione degli artt. 19, 20 e 21 dello stesso decreto, in una a difetto di istruttoria e di presupposti, contraddittorietà, irragionevolezza, difetto di motivazione e sproporzione (secondo ed ultimo motivo).

2a- Quanto alla domanda risarcitoria -dopo essersi assunto che l’irrogazione della sanzione "ha causato evidenti danni sia in relazione al mancato pagamento degli importi dell’ordinaria retribuzione non corrisposti per il periodo di sospensione dal servizio, sia in relazione al pregiudizio all’immagine, sia in relazione alla progressione professionale. Inoltre, la durata del procedimento disciplinare ha avuto ripercussioni negative anche sullo stato di salute e psichico del ricorrente"- il relativo quantum viene fissato nella somma, complessiva ed indistinta, di Euro 70.000,00 in relazione al coacervo delle prime voci di danno e nella ulteriore somma di Euro 20.000,00 in esito alla voce finale relativa allo stato di salute e psichico.

3- L’Avvocatura dello Stato si è costituita in giudizio per l’intimata amministrazione ed ha depositato documentazione.

3a- Memoria conclusionale, reiterativa delle già proposte tesi e domande processuali, è stata depositata dal ricorrente in data 17 febbraio 2011.

4- All’udienza pubblica del 23 marzo 2011 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

5- Procedendo con l’esame delle proposte doglianze, va negato ingresso al primo motivo di ricorso recante la denuncia di violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del d.P.R. 737 del 1981 nell’assunto che il procedimento disciplinare è stato attivato dopo lo spirare del termine ivi fissato; ciò perché, secondo la tesi attorea, "avendo avuto origine dalla sentenza del Tribunale di Napoli – Sezione distaccata di Pozzuoli depositata il 9 dicembre 2008 risulta tardivo" poichè "l’atto di contestazione degli addebiti al sig. C. è stato notificato solo l’11 maggio 2009".

La tesi si fonda sulla lettera dell’art. 9, comma 6, del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 ai cui sensi quando da un procedimento penale, comunque definito, emergano fatti o circostanze che rendano l’appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza passibile di sanzioni disciplinari "questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di giorni 120 dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all’Amministrazione".

Se non che risalente e prevalente giurisprudenza, dal Collegio condivisa, ha chiarito che detta previsione settoriale è stata incisa dal sopravvenuto art. 9, comma 2, della legge 7 febbraio 1990, n. 19 e, di poi, dall’art. 5, comma 4, della legge 27 marzo 2001, n. 97, ai cui sensi, in caso di sentenza penale irrevocabile di condanna, il procedimento disciplinare deve avere inizio entro il termine ivi fissato decorrente "dalla comunicazione della sentenza all’amministrazione".

E sul punto non è di poco rilievo la notazione che l’art. 10, comma 3, della legge del 2001 -recante la norma transitoria secondo cui i procedimenti disciplinari per fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore della legge dovevano invece, secondo il previgente regime, essere stati instaurati entro 120 giorni "dalla conclusione del procedimento penale con sentenza irrevocabile"- è stato dichiarato dal giudice delle leggi "irragionevole e contrario al buon andamento".

Da qui la sua illegittimità costituzionale "in quanto la norma transitoria, a differenza di quella a regime, non prevedendo che l’amministrazione sia posta a conoscenza del termine iniziale (sentenza penale irrevocabile di condanna) per l’instaurazione del procedimento disciplinare, ed imponendo altresì lo svolgimento di un’attività per la conoscenza di questo dato, espone l’amministrazione stessa al rischio dell’infruttuoso decorso del termine decadenziale, rendendo così più difficoltosa ed incerta la stessa applicazione delle sanzioni disciplinari" (Corte costituzionale 24 giugno 2004, n. 186).

Ai principi recati dalla normativa sopravvenuta, valida per tutti i pubblici dipendenti e, quindi, anche per i militari, ed alla lettura quale innanzi offertane dalla Consulta (che nei termini di cui sopra ha rimeditato suoi precedenti orientamenti), si è adeguata la prevalente giurisprudenza secondo cui, in definitiva, "dopo la pronuncia della Corte Costituzionale n. 186 del 2004…… il dies a quo per il computo dei termini che decorrono dalla sentenza penale, da qualunque norma siano previsti, non può che coincidere con la comunicazione della stessa alla amministrazione, essendo una diversa interpretazione del tutto irragionevole e contraria al buon andamento della pubblica amministrazione" (Tar Campania, sezione settima, 5 febbraio 2008, n. 546; Tar Sardegna, sez. I, n. 173 del 2006; Cass. sez. lavoro, n. 6601 del 2005).

Aggiungasi che la giurisprudenza, ancora dal Collegio condivisa, ha anche avuto modo di precisare come, ai ripetuti fini della decorrenza del termine per la prosecuzione o il promovimento del procedimento disciplinare a seguito di condanna in sede penale, occorre che l’amministrazione venga a conoscenza "dell’integrale sentenza di condanna irrevocabile e non già del semplice dispositivo, in quanto essa deve avere esatta cognizione dei fatti accertati in sede penale, onde contestarli al dipendente e valutarli in sede disciplinare" (Cons. Stato, sez. sesta, 15 dicembre 2010, n. 8918; sez. quarta, 27 novembre 2010, n. 8278 e già 27 settembre 1996, n. 1061).

5a- Nella fattispecie data, come riportato in seno al decreto di nomina del funzionario istruttore e come si trae dall’attestazione apposta dal cancelliere in ordine alla conformità della copia rilasciata alla Questura di Napoli all’originale, la sentenza è pervenuta all’amministrazione "in data 7 aprile 2009", sicchè del tutto tempestivo risulta l’atto di contestazione degli addebiti notificato l’11 maggio 2009.

Non solo, ma dalla produzione dell’amministrazione si ricava anche la diligenza da essa mostrata, avendo avanzato richiesta di conoscere l’esito "dell’udienza dibattimentale del 9 dicembre 2008 relativa al procedimento penale n. 425/2006 a carico dell’Ispettore superiore C.N." nella stessa data del 9 dicembre e facendo poi ad essa seguito in data 3 febbraio 2009 con la specifica richiesta di ricevere "copia conforme dell’originale del provvedimento" emesso al fine di consentirne "l’esame ai fini disciplinari ai sensi del d.P.R. 737/1981".

5b- Ne deriva la preannunciata infondatezza della doglianza esaminata.

6- Alla medesima conclusione reiettiva deve pervenirsi all’esito del vaglio della secondo ed ultimo mezzo di impugnazione che residua all’esame, dovendosi escludere la sussistenza della violazione degli artt. 19, 20 e 21 del richiamato decreto e l’eccesso di potere, quali denunciati nel sostanziale assunto che la determinazione del Consiglio di disciplina, e quindi, il provvedimento finale, sarebbe(ro) viziata (i):

– per difetto di istruttoria avendo omesso di considerare alcune dichiarazioni e le stesse conclusioni del funzionario istruttore, peraltro riesaminando le risultanze del procedimento penale;

– in conseguenza, per sproporzione fra fatti e sanzione irrogata.

6a- Va premesso che, per consolidata e risalente giurisprudenza, nel procedimento disciplinare nei confronti dei pubblici dipendenti (ivi compresi il personale militare) la valutazione finale della Amministrazione sulla gravità degli illeciti commessi e sulla conseguente sanzione da irrogare costituisce espressione di un’ampia discrezionalità, è sindacabile dal giudice amministrativo unicamente per i vari profili di eccesso di potere, quando vi sia stato un travisamento dei fatti ovvero la relativa motivazione risulti sprovvista di logicità e di coerenza (cfr. Cons. Stato, sez. quarta, 24 febbraio 2011, n. 1203 e 4 giugno 2010, n. 5877; sez. sesta, 10 maggio 1996, n. 670; sez. quinta, 1^ dicembre 1993, n. 1226).

Del pari la più recente giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, 7 gennaio 2011, n. 25, 16 ottobre 2009, n. 6353; idem 21 agosto 2009, n. 5001) ha avuto modo di precisare che sussiste il vizio di eccesso di potere anche quando il provvedimento disciplinare appare ictu oculi sproporzionato, nella sua severità, rispetto ai fatti accertati pur se abbiano dato luogo ad una condanna in sede penale, anche in applicazione dell’art. 444 c.p.p.

7- Orbene, nel caso che ne occupa, la sanzione è stata comminata in quanto il ricorrente ispettore di polizia "libero dal servizio interveniva in difesa di due giovani aggrediti e minacciati verbalmente, per futili motivi di viabilità, da un automobilista. Nella circostanza, qualificandosi, con l’arma in dotazione impugnata con la canna rivolta verso l’alto, intimava di desistere dal comportamento aggressivo, ricevendo a sua volta un violento schiaffo al volto, tanto che nasceva una colluttazione. Nell’occorso esplodeva un colpo mirato alla gamba dell’aggressore, causandogli lesioni. Per tali fatti veniva sottoposto a procedimento penale conclusosi con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione dei reati ascrittigli emessa dal Tribunale di Napoli – Sezione distaccata di Pozzuoli. Nella fattispecie, teneva un comportamento oggettivamente sopradimensionato con una reazione non proporzionata ed adeguata rispetto alla situazione determinatasi, tanto da denotare grave negligenza ed una condotta non conforme al decoro delle funzioni rivestite".

Le tesi difensive del C., sostanziantesi nell’assunto che il ricorso all’arma da fuoco si era reso necessitato "per fronteggiare un’aggressione armata e per far cessare l’incombente pericolo di vita delle persone presenti", sono state ritenute inaccoglibili in quanto non trovavano riscontro "dall’esame delle dichiarazioni testimoniali rese nell’immediatezza dei fatti ai carabinieri di Bacoli…. tutte convergenti, della cui genuinità non si ha motivo di dubitare in quanto acquisite al verificarsi dell’evento, e da cui si traeva che non vi era stata l’estrazione di "alcun tipo di arma" da parte del conducente dell’auto" (ovvero, dell’aggressore).

In tali sensi le conclusioni della commissione di disciplina che, pur dando espressamente atto in seno al verbale dell’esistenza -denunciata in questa sede dal ricorrente- delle dichiarazioni del testimone Giardino, secondo cui "il conducente dell’auto faceva dei gesti tipo volesse estrarre un’arma dalla cinta dei pantaloni inveendo contemporaneamente contro uno dei passeggeri della vespa", nondimeno ha ritenuto di dover concludere nei sensi cennati soppesando questa testimonianza con le altre tre che avevano escluso espressamente l’estrazione di armi: che, peraltro, nemmeno il Giardino assumeva esservi stata.

7a- Ciò posto, va in primo luogo osservato che l’Amministrazione ha ben potuto utilizzare le risultanze istruttorie della sede penale quali elementi fattuali idonei a supportare il giudizio disciplinare, valutandone la rilevanza sotto il profilo disciplinare (cfr., sul punto, Cons. Stato, sez. quarta, 24 febbraio 2011, n. 1203; Cons. Giustizia Amm. va Regione Siciliana, 15 novembre 2006, n. 2609).

7b- Di poi, va rilevato che la ricostruzione in fatto si appalesa corretta e, quindi, non affetta da difetto di istruttoria; nel contempo non appare esservi contraddizione con la relazione del funzionario istruttore, che ha dato contezza del dispiegarsi dei fatti e dei contenuti delle diverse testimonianze rese, senza nel contempo anticipare valutazioni o far luogo ad affermazioni che possano essere ritenute contraddittorie con le conclusioni della commissione: che, in ogni caso, resta l’organismo deputato a valutare la condotta del dipendente.

Ne deriva che non vi è spazio per accogliere la relativa denuncia attorea, non essendo dato nemmeno a questo giudice di impingere più direttamente nel merito della vicenda: riservata a monte alla sede penale, nella quale tuttavia i fatti non sono stati accertati per effetto della sentenza in rito di improcedibilità per prescrizione dei reati ascrittigli, e, di poi, alla sede disciplinare, i cui esiti sono sindacabili all’interno del perimetro fissato dalla giurisprudenza, dal quale nel caso di specie non si è debordati.

Ed invero non appare abnorme la conclusione di ritenere -nelle descritte circostanze, ovvero, per quanto è dato trarre in questa sede, in assenza di un "incombente pericolo di vita delle persone presenti"- sovradimensionato il comportamento del C. che ha esploso un colpo di pistola, causando lesioni (sia pur) all’aggressore conducente dell’auto, a sua volta militare, appartenente alla Guardia di Finanza.

8- Rimane da verificare la proporzionalità o meno della misura sanzionatoria adottata, in relazione alla gravità degli addebiti.

Ebbene, il Collegio non può fare a meno di rilevare come anche sotto tali aspetti il provvedimento appare congruo e conforme a quei criteri di ragionevolezza, equità e gradualità, oltreché di giustizia sostanziale cui deve uniformarsi l’adozione di atti amministrativi dal contenuto così delicato come quello in esame.

L’Amministrazione -con una motivazione ragionevole e rispettosa del principio di proporzionalità- ha ravvisato la gravità dei fatti commessi del ricorrente secondo un obbiettivo metro di giudizio ed ha comminato una sanzione (mesi uno di sospensione dal servizio) che non si appalesa sproporzionata rispetto ad essa (gravità).

9- In conclusione, alla luce della su accertata infondatezza delle doglianze attoree, deve essere respinta la parte impugnatoria del gravame deve essere respinta.

10- Alle medesime conclusioni reiettive può immediatamente pervenirsi per quanto attiene alla domanda risarcitoria richiamandosi il principio giurisprudenziale, ancora di recente riaffermato, secondo cui "l’infondatezza nel merito del ricorso comporta il rigetto della domanda di risarcimento del danno atteso che l’illegittimità del provvedimento impugnato è condizione necessaria per accordare il risarcimento richiesto" (Cons. Stato, sez. quinta, 14 febbraio 2011, n. 965 e sez. sesta, 30 settembre 2008, n. 4702).

11- E’ pur vero che le innovative previsioni recate dal Codice del processo amministrativo in tema di autonomia della domanda risarcitoria, hanno affrancato il modello risarcitorio da una logica ancillare rispetto al paradigma caducatorio, ma è anche vero che una volta che sia intervenuta una sentenza che abbia escluso tale ultimo effetto (caducatorio) a seguito della accertata legittimità del provvedimento impugnato, non è riscontrabile uno degli elementi costituente presupposto per il riconoscimento del diritto al risarcimento, rappresentato dalla colpa.

12a- Nella fattispecie data, infatti, non vi è stata alcuna "lesione della situazione soggettiva tutelata dall’ordinamento", posto che la stessa, quale prospettata ex latere attoreo, non è (stata riconosciuta) sussistente per le ragioni che hanno condotto alla reiezione della parte impugnatoria.

12b- In conseguenza, sempre in assenza di diverse deduzioni al di fuori delle censure esaminate, non sussiste l’elemento della colpa.

13- In conclusione, il ricorso (il coacervo delle domande con esso proposto) va respinto.

14- Le spese di giudizio possono nondimeno essere compensate per giusti motivi legati alla natura della res controversa ed alla peculiarità di alcuni suoi profili.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Sesta)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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