Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-03-2011) 05-04-2011, n. 13616 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con ordinanza, deliberata il 30 luglio 2010 e depositata il 9 agosto 2010, il Tribunale ordinario di Reggio di Calabria, in funzione di giudice distrettuale del riesame delle ordinanze che dispongono misure coercitive, ha confermato la ordinanza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di quella stessa sede, 16 luglio 2010, di applicazione della custodia cautelare in carcere a carico di M.A., detto N., indagato per il delitto di associazione di tipo mafioso per aver fatto parte della associazione di tipo mafioso, denominata ‘Ndrangheta, con il compito, in seno alla articolazione territoriale, cd. locale, di Roghudi "di assicurare le comunicazioni tra gli associati, partecipare alla riunioni ed eseguire le direttive dei vertici della società e dell’associazione, riconoscendo le gerarchie e le regole interne del sodalizio", nella provincia di Reggio di Calabria e altrove fino alla attualità.

Dopo aver richiamato vari principi di diritto fissati da questa Corte in ordine alla configurazione giuridica del reato associativo, ribadendo che la condotta tipizzata si caratterizza in termini non di "condotta individuale del far parte", bensì di "condotta collettiva dell’associarsi", e dopo aver illustrato il più ampio assetto criminale della ‘Ndrangheta nella provincia di Reggio di Calabria, colle relative articolazioni territoriali e alla luce dello sviluppo dei processi interni di aggregazione e di strutturazione, il Collegio procede a inquadrare la condotta dell’indagato nel particolare contesto del locale di Roghudi con riferimento alla situazione di trapasso di poteri, dopo la morte del capo-locale R.A., detto ‘ N., avvenuta nel gennaio 2010, in concomitanza della reggenza, assunta dal genitore novantenne del defunto, R. S., detto B., affatto interinalmente.

In tale contesto riveste precipuo e decisivo rilievo, sul piano della gravità indiziaria, la considerazione della conversazione tra presenti, intervenuta il 14 marzo 2010, nella abitazione di P. G., detto G., e gli ospiti P.S., "carichista della copiata della santa", e M.G., fratello dell’indagato.

Gli interlocutori, tutti esponenti di rilievo della associazione, trattano il tema della successione del capo-locale e degli assetti interni della articolazione territoriale nella ricerca di linee di equilibrio nell’antagonismo tra le famiglie egemoni Zavettieri e Tripodi.

La conversazione investe la persona dell’indagato, al quale P. fa riferimento, ricordando come nel quadro degli accorai assunti era stata concordata la promozione del fratello di M. G. – " N." precisa immediatamente il germano – al grado di vangelo nella scala gerarchica della ‘Ndrangheta.

Il Collegio – per quanto qui rileva – argomenta: il succitato grado presuppone il possesso dalla dignità criminale della santa, la quale, a sua volta, costituisce una qualifica o "dote" avanzata che, notoriamente, non si ottiene subito dopo la affiliazione; sicchè emerge la piena compartecipazione e integrazione dell’indagato nella cosca; il tenore del dialogo è esplicito; la considerazione del contesto colloquiale, della caratura criminale degli interlocutori e della relazione di parentela che lega uno di costoro all’indagato, conferisce valenza al dato probatorio (dispensando dalla ricerca di riscontri estrinseci) e vale a escludere la possibilità di qualsiasi ipotesi di millanteria o di calunnia; priva di pregio è la deduzione difensiva della residenza anagrafica dell’indagato nella città di Reggio di Calabria; la circostanza non esclude, certamente, la partecipazione al locale di Roghudi, ove M. è possessore- assegnatario di immobile delle case popolari; nè rileva la carenza di indizi circa la perpetrazione dei reati fine; il conseguimento da parte dell’indagato di cariche e gradi all’interno della associazione mafiosa dimostra la adesione alla associazione e, precipuamente, la prestata "disponibilità ad agire come uomo di onore". 2. – Ricorre per cassazione l’indagato, col ministero dei difensori di fiducia, avvocati Pietro Modafferi e Natale Carbone, mediante atto recante la data del 21 settembre 2010, articolato in cinque motivi, coi quali dichiara di denunziare anche promiscuamente, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), inosservanza o "falsa" applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 416-bis c.p. e art. 273 cod. proc. pen. (primo e secondo motivo), in relazione all’art. 273 cod. proc. pen. e art. 25 Cost., comma 2, (terzo motivo), in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 3, art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c-bis) e art. 546 cod. proc. pen. (quarto motivo), nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, ritenuta meramente apparente (quarto e quinto motivo).

2.1 – Con il primo motivo i difensori sostengono: il Tribunale non ha fatto buon governo dei principi di diritto richiamati; ha sviato il punto focale dell’accertamento dalla condotta alla associazione "ex se considerata"; non ha indicato alcun concreto comportamento che rappresenti la estrinsecazione della supposta associazione.

2.2 – Con il secondo motivo i difensori argomentano: la compartecipazione alla associazione mafiosa "deve essere desunta da indicatori fattuali"; è necessaria la "fattiva partecipazione" dell’adepto "al sodalizio delinquenziale"; i giudici di merito hanno omesso di indicare "lo specifico e storicizzato" contributo prestato dall’indagato alla cosca; nè hanno dimostrato che a M. siano addebitabili le specifiche condotte enunciate nel capo di imputazione (assicurazione delle comunicazioni interne, partecipazione alle riunioni, esecuzione direttive, riconoscimento regole e gerarchie);

la individuazione dell’indagato, quale candidato al conseguimento del grado di vangelo è poco credibile; M. non ha, infatti, commesso alcun fatto di rilievo penale nella "supposta posizione di titolare" del grado inferiore della santa; non è sufficiente per integrare il delitto associativo la mera dichiarazione di volontà di adesione alla associazione, in difetto del "passaggio alla azione dei membri del gruppo"; il quadro indiziario è assolutamente evanescente.

2.3 – Con il terzo motivo i difensori censurano la ritenuta violazione del "principio di materialità" delle condotte penalmente rilevanti, rilevando la mancata indicazione di alcun concreto comportamento associativo.

2.4 – Con il quarto motivo i difensori denunziano: la motivazione è assolutamente carente; i giudici del riesame hanno recepito acriticamente le valutazioni contenute nella ordinanza di custodia cautelare in carcere; difettano indizi "atti a collegare in modo concreto e significativo l’indagato all’illecito associativo"; la affermazione della compartecipazione si basa "su dati meramente intuiti o supposti, piuttosto che empiricamente accertati"; la riproduzione delle intercettazioni nel corpo della ordinanza non adempie l’obbligo della motivazione; rende "estremamente difficoltosa" la comprensione del provvedimento e compromette "l’autonomia della struttura logico – argomentativa". 2.5 – Con il quinto motivo i difensori sostengono che le pronunce di legittimità citate dal Tribunale contraddicono l’assunto che la mera "condivisione psicologica del programma criminoso" valga a integrare il delitto di associazione di tipo mafioso e che affatto erroneamente i giudici di merito hanno ritenuto fondata, sul piano della gravità indiziaria, la contestazione della condotta di partecipazione, reputando, a tal fine, "sufficiente la prova della esistenza della associazione". 3. – Con memoria, recante la data del 10 marzo 2011, i difensori insistono per l’accoglimento del ricorso ribadendo la denunzia della inosservanza e della erronea applicazione della legge penale, sotto il profilo che, in difetto dell’accertamento di concrete condotte associative, il delitto non è configurabile.

4. – Il ricorso è infondato.

4.1 – Non merita considerazione nella sede del presente scrutinio di legittimità la quaestio facti appena accennata dal ricorrente, con generica negativa della pertinenza alla sua persona del riferimento degli interlocutori della conversazione intercettata l’imminente conseguimento della grado criminale del vangelo.

L’interpretazione della conversazione costituisce materia di accertamento di merito del quale il giudice a quo (sulla base della considerazione del dato onomastico e della relazione di parentela con l’interlocutore M.G.) ha dato conto con motivazione congrua, immune da vizi logici e, pertanto, sottratta al sindacato di legittimità. 4.2 – Non ricorre il vizio della violazione di legge:

– nè sotto il profilo della inosservanza (per non aver il giudice a quo applicato una determinata disposizione in relazione all’operata rappresentazione del fatto corrispondente alla previsione della norma, ovvero per averla applicata sul presupposto dell’accertamento di un fatto diverso da quello contemplato dalla fattispecie);

– nè sotto il profilo della erronea applicazione, avendo il giudice del riesame esattamente interpretato le norme applicate, alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte.

4.3 – Il conseguimento di grado elevato nella scala della gerarchia criminale (la santa) e la imminente preannunziata progressione alla carica superiore (il vangelo) – secondo quanto rappresentato dai giudici di merito sulla base delle intercettazioni delle conversazioni tra i sodali – costituiscono indicatori fattuali univoci, di sicura valenza, i quali, "sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso", suffragano pienamente la abduzione della organica e "stabile compenetrazione del soggetto nel tessuto organizzativo del sodalizio", costituente "il nucleo essenziale della condotta partecipativa" (Cass., Sez. Un., 12 luglio 2005 n. 33748, Marinino; cui adde: Sez. 1^, 11 dicembre 2007, n. 1470, Addante, massima n. 238838; v., inoltre, sul punto che la rituale affiliazione a cosca mafiosa è "rappresentativa del fatto della partecipazione alla cosca, e non indicativa di un mero dato indiziante": Sez. 2^, 17 gennaio 1997, n. 4976, Accardo, massima n. 207846 e Sez. 4^, 27 agosto 1996, n. 2040, Brusca, massima n. 206319; cfr., da ultimo:

Sez. 1^, 18 febbraio 2010, n. 9091, Di Gati, massima n. 246493).

4.4 – Non è, pertanto, pertinente al caso in esame la considerazione dei difensori circa la giuridica irrilevanza della adesione meramente psichica alla consorteria mafiosa.

E prive di pregio sono le ulteriori deduzioni difensive: a) in diritto circa la supposta carenza dell’elemento materiale della condotta associativa, in difetto dell’accertamento di (ulteriori) condotte espressive dell’affectio societatis ovvero di reati sintomatici della appartenenza alla cosca; b) sul piano della adeguatezza della motivazione, erroneamente ritenuta apparente, per non aver il Collegio dimostrato l’intervento dell’indagato alle riunioni della associazione, nè il positivo assolvimento delle mansioni criminali enunciate nella rubrica.

Sotto tale ultimo profilo, affatto assorbente è, infatti, alla evidenza la considerazione della carriera criminale del ricorrente, laddove non appare seriamente prospettabile – nè il ricorrente, peraltro, prospetta – che gradi, cariche e promozioni siano stati conferiti all’indagato meramente ad honorem ovvero ad pompam da parte degli associati, senza che, in realtà, M. facesse fattivamente parte della cosca mafiosa di Roghudi.

4.5 – Conseguono il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La Cancelleria provvedere agli adempimenti di rito ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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