Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-06-2011, n. 14473 Successione a titolo universale e particolare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 9 e 10 gennaio 1990 B. A. conveniva davanti al Tribunale di Como i fratelli D., B. e B.T., nonchè le nipoti (figlie di B.B.) R. e G.G. e la s.r.l.

La Bilaterale, chiedendo in sostanza di ricostruire e dividere in parti uguali tra i quattro figli il patrimonio relitto della madre C.C..

Tra l’altro, premesso che con atto qualificato come vendita in data 6 dicembre 1985 la defunta aveva ceduto, senza il corrispettivo di alcun prezzo ovvero per un prezzo irrisorio, il suo patrimonio immobiliare alla s.r.l. La Bilaterale, di cui erano socie le nipoti R. e G.G., chiedeva l’accertamento della nullità di tale atto, in quando donazione priva della necessaria forma.

B.T. aderiva alle domande dell’attore.

B. e B.D. eccepivano il proprio difetto di legittimazione in ordine alle domande relative alla vendita in data 6 dicembre 1985.

R. e G.G. e la s.r.l. La Bilaterale eccepivano il proprio difetto di legittimazione passiva in ordine alla domanda di divisione e contestavano la simulazione della vendita in data 6 dicembre 1985.

Con successivo atto di citazione notificato il 10 e 14 giugno B.A. conveniva davanti al Tribunale di Como i fratelli D., B. e B.T., nonchè le nipoti R. e G.G. e la s.r.l. La Bilaterale, riproponendo le domande di cui al primo giudizio, con l’aggiunta di una richiesta di risarcimento dei danni patiti e premessa la qualificazione dell’azione come "petizione di eredità, azione di riduzione, reintegrazione di quote di legittima, azione di divisione, azione di risarcimento danni".

Riuniti i due giudizi, con sentenza in data 21 dicembre 2001 il Tribunale di Como dichiarava che A., T., B. e B.D. erano eredi in parti uguali della defunta madre C.C., escludeva che B.A. avesse esperito un’azione di riduzione a tutela della sua quota di legittima e riteneva che, come erede della defunta, ai sensi dell’art. 2722 c.c., gli era preclusa la prova per testi della simulazione della vendita in data 6 dicembre 1985.

B.A. proponeva appello, che veniva rigettato dalla Corte di appello di Milano con sentenza in data 23 aprile 2005.

I giudici di secondo grado ritenevano che l’attore con la seconda citazione aveva rivendicato all’eredità paterna anche gli immobili di cui alla vendita in data 6 dicembre 1985 ed aveva premesso alle domande finali la seguente precisazione: "in accoglimento delle domande qui proposte petizione di eredità, azione di riduzione, reintegrazione e di quota di legittima, azione di divisione, azione di risarcimento danni". Tali enunciazioni, tuttavia, non bastavano a ritenere effettivamente proposta una domanda di riduzione delle donazioni lesive della sua quota di legittima, laddove le domande finali erano "divisione dell’intera massa ereditaria in quattro parti uguali" – previo accertamento della nullità della donazione mascherata da vendita, ovvero della natura fiduciaria "di comodo" dell’intestazione alla soc. La Bilaterale, senza alcuna indicazione nè della quota di riserva nè della quota disponibile oltre la quale vanno ridotte la donazioni. Ne conseguiva che la prova della simulazione degli atti compiuti dalla madre subiva le stesse limitazioni che sarebbero state opponibili alla dante causa ex art. 1417 c.c., con esclusione della prova per testi e quindi di quella presuntiva.

Ad ogni modo l’attore era decaduto dalla prova testimoniale, non avendo tempestivamente ed esaustivamente proposto le proprie istanze istruttorie nel termine ex art. 244 c.p.c., fissatogli dal g.i..

Per quanto riguardava la prospettata natura fiduciaria della vendita in data 6 dicembre 1985, i giudici di secondo grado ritenevano che la stessa, in considerazione del notevole valore dell’oggetto e della qualità delle persone, non poteva essere provata per testi ai sensi dell’art. 2721 c.c..

Sul punto era stato ammesso l’interrogatorio delle controparti sui capitoli dedotti da B.A., ma gli interrogati avevano escluso la natura fittizia della vendita.

Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione B. A., con quattro motivi.

Resistono con controricorso B.D. e B. B., che hanno anche proposto ricorso incidentale condizionato, con tre motivi, illustrati da memoria, al quale resiste con controricorso B.A..

Altro controricorso è stato proposto da La Bilaterale s.r.l., G. e G.R..
Motivi della decisione

Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi.

Con il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, che possono essere trattati congiuntamente, B.A. ribadisce di avere espressamente proposto (anche) un’azione di riduzione, come risultava dalla formulazione dell’atto di citazione, nel quale era stato precisato che il valore dei beni trasferiti alla soc. La Bilaterale era di molto superiore a quello risultante dall’atto di vendita, per cui erroneamente non è stato ammesso a provare la simulazione di tale atto, in quanto dissimulante una donazione nulla per difetto di forma.

Le doglianze sono infondate.

Occorre ricordare che secondo la giurisprudenza di questa S.C. il legittimario che propone l’azione di riduzione ha l’onere di indicare entro quali limiti è stata lesa la legittima, determinando con esattezza il valore della massa ereditaria nonchè il valore della quota di legittima violata dal testatore (sent. 12 settembre 2002 n. 13310). In particolare, ha l’onere di allegare e comprovare tutti gli elementi occorrenti per stabilire se sia, o meno, avvenuta, ed in quale misura, la lesione della sua quota di riserva, potendo solo in tal modo il giudice procedere alla sua reintegrazione (sent. 29 ottobre 1975 n. 3661). L’azione di riduzione, indipendentemente dall’uso di formule sacramentali, richiede, poi, oltre la deduzione della lesione della quota di riserva, l’espressa istanza di conseguire la legittima, previa determinazione di essa mediante il calcolo della disponibilità e la susseguente riduzione della donazione posta in essere in vita dal de cuius (sent. 16 novembre 2000 n. 1484).

Alla luce di tali principi, essendosi limitato B.A. (a prescindere dal generico riferimento all’azione di riduzione) a dedurre che l’atto di vendita in favore della soc. La Bilaterale dissimulava una donazione (evidentemente indiretta) alle nipoti R. e G.G., ma non anche che tale presunta donazione fosse lesiva della propria quota di legittima (non precisata in relazione all’asse ereditario della madre), correttamente i giudici di merito non l’hanno ammesso a provare la simulazione.

Il terzo motivo del ricorso principale, con il quale B. A. censura l’affermazione della sentenza impugnata, secondo la quale era comunque incorso in decadenza in ordine alle richieste istruttorie aventi ad oggetto la prova della simulazione, viene ad essere assorbito.

Con il quarto motivo del ricorso principale B.A. si duole del rigetto della domanda relativa alla simulazione dell’atto in data 6 dicembre 1985 o della natura fiduciaria dello stesso.

Con riferimento alla simulazione ribadisce la tesi che erroneamente non sono state ammesse le prove testimoniali sul presupposto della mancata proposizione dell’azione di riduzione.

Per la infondatezza della doglianza si rinvia a quanto osservato in sede di esame del primo e secondo motivo.

Secondo il ricorrente in via principale, poi, la sentenza impugnata avrebbe totalmente trascurato di considerare la nullità della donazione dissimulata per difetto del requisito di forma ex art. 782 c.c..

Il ricorrente invoca in proposito anche l’art. 737 c.c..

A prescindere dalla incomprensibilità del riferimento all’art. 737 c.c., che stabilisce il principio della collazione tra i figli legittimi e naturali ed il coniuge in relazione ad una donazione che si assume effettuata in favore delle nipoti e comunque nulla (e quindi inefficace), il ricorrente trascura di considerare che in tanto una donazione dissimulata può essere nulla per difetto di forma, in quanto risulti provata la simulazione dell’atto che la dissimula, prova che nella specie è stata ritenuta inammissibile.

Deduce poi il ricorrente in via principale:

Parimenti la sentenza impugnata ha violato gli artt. 1351 e 2721 c.c., il primo sulla necessità di forma scritta per il preliminare di vendita e il secondo sui limiti di valore per l’ammissibilità della prova per testi.

Osserviamo innanzitutto che entrambe tali limitazioni non si applicano alle obbligazioni unilaterali, quale sarebbe stato l’impegno – invocato ripetutamente, quanto inutilmente dalla de cuius – dei suoi familiari a restituirle le quote della Bilaterale, società che ella riteneva di fiduciaria, o di comodo.

Ma c’è di più. Secondo l’assunto dell’attore, nel dicembre 1983 sono intercorsi tra i soggetti convenuti:

– una vendita di beni immobili ad una società;

– un impegno dei soci di quest’ultima a trasferire alla venditrice, a sua semplice richiesta, le quote della società acquirente.

Diversi i soggetti, diverso l’oggetto, diverse le finalità dei due atti. Per cui si giustifica la diversità di forma, visto che solo il primo atto richiede ad substantiam la forma scritta per il trasferimento della proprietà dei beni immobili (e così per il preliminare, e quindi, in via di interpretazione, anche per il pactum fiduciae); mentre, per il trasferimento delle quote, l’art. 2479 cod. civ. (nella formulazione vigente nel 1983) prevedeva che le quote di società a responsabilità limitata si trasferissero con il solo consenso (salvo le formalità necessarie ai fini dell’opponibilità del trasferimento alla società e ai terzi).

Sicchè non ricorre affatto, per questo secondo atto, il limite previsto dall’art. 1351 c.c..

Tanto meno è applicabile l’art. 2721 c.c. (il cui divieto non investe, lo abbiamo accennato, gli atti unilaterali), anche perchè nella specie, la "stessa qualità delle parti" (parenti tra loro in linea retta), l’età avanzata della de cuius, la sua scarsa conoscenza degli atti giuridici e dei suoi effetti, e la fiducia riposta nei confronti di figli e nipoti, potevano intuitivamente giustificare che ella non si preoccupasse di premunirsi di uno scritto. Tutte circostanze che avrebbero agevolmente consentito di derogare al limite di valore e che invece sono state pretermesse dalla Corte territoriale.

Sostiene, poi, il ricorrente che comunque la natura fiduciaria della vendita in data 6 dicembre 1985 risultava dagli elementi acquisiti al giudizio.

Anche tale doglianza è infondata.

Occorre premettere che la natura di tale negozio fiduciario, secondo la sentenza impugnata non sarebbe stato esaurientemente esplicitato dalla difesa appellante. Ad ogni modo, lo si dovrebbe intendere come assistito da un patto di cessione delle quote de La Bilaterale alla C. o a chi la stessa avesse indicato (cfr. cap. B deduzioni istruttorie di A.): ossia un negozio trilatero con cui i soci della società che acquisiva gli immobili si impegnavano a cedere le suddette quote. L’effetto concreto voluto sarebbe quello di modificare la situazione giuridica avente ad oggetto beni immobili, attraverso il meccanismo di cessione delle quote della fiduciaria, con il coinvolgimento di soggetti diversi dalla stessa acquirente, ossia dei soci sia apparenti (le sorelle G.) che effettivi ( B. e la moglie di D., ovvero B. e D. attraverso l’interposizione della moglie); un negozio complesso e di rilevante sostanziale valore economico …

Ne consegue che il solo fatto della incertezza dell’oggetto di tale negozio fiduciario, sulla base delle prospettazioni dello stesso ricorrente principale, come ricostruito con fatica dalla sentenza impugnata, sarebbe sufficiente a giustificare il rigetto della ammissione delle prove testimoniali, il cui contenuto non viene riprodotto nel ricorso, al fine di valutarne la congruenza.

Ad ogni modo, anche se è vero che le limitazioni di carattere probatorio di cui all’art. 2721 c.c., non sono applicabili agli atti unilaterali (cfr. sent.: 14 luglio 2003 n. 10989; 9 settembre 1991 n. 9480), nella specie l’attuale ricorrente in via principale pretendeva di dimostrare l’esistenza di un pactum fiduciae, cioè di un contratto.

Ciò premesso, va ricordato che secondo questa S.C. in tema di prova testimoniale, ove il giudice di merito ritenga di non potere derogare al limite di valore previsto, per essa, dall’art. 2721 c.c., non è tenuto ad esporre le ragioni della pronunzia di rigetto dell’istanza di prova, trattandosi di mantenere quest’ultima entro il suo fisiologico limite di ammissibilità (sent. 19 agosto 2003 n. 1211).

Per il resto le critiche rivolte alla sentenza impugnata in ordine alla affermazione che il pactum fiduciae non poteva considerarsi provato sulla base degli altri elementi probatori invocati dal ricorrente in via principale si dirigono contro una valutazione di merito incensurabile in sede di legittimità.

Il ricorso incidentale proposto da B.D. e B.B. viene ad essere assorbito.

Il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti delle parti costituite, che si liquidano, per ognuna di esse, come da dispositivo.
P.Q.M.

la Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale; condanna il ricorrente principale alle spese del giudizio di cassazione, che liquida, in favore di ciascuna delle parti costituite, nella complessiva somma di Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre ad accessori di legge e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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