Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-03-2011) 05-04-2011, n. 13687 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano ha confermato la pronuncia di colpevolezza di F.R. in ordine ai reati: a) di cui all’art. 56 c.p., art. 628 c.p., comma 1 e comma 3, n. 1); b) di cui agli artt. 110 e 609 bis c.p., a lui ascritti per avere, in concorso con altra persona non identificata, cercato di strappare con violenza un i-pod dalla tasca del giubbotto di P.N., nonchè, nelle medesime circostanze, avere costretto la P. a subire atti sessuali consistiti nel palpeggiamento del fondo schiena e della zona pubica.

Secondo quanto riportato in sentenza la vicenda si è svolta all’interno di un autobus. Due nordafricani, saliti qualche fermata dopo la P., si erano seduti nei pressi della ragazza. Poco dopo uno dei due si era alzato e le si era posto a fianco, restando in piedi, mentre l’altro aveva tentato di strapparle l’i-pod dalla tasca. La ragazza aveva cercato di sottrarsi all’aggressione, allontanandosi dal posto, ma era stata bloccata dai due giovani che le avevano infilato le mani nei pantaloni, palpeggiandola. La P. aveva lanciato lo zaino contro i due aggressori ed era riuscita a scendere dall’autobus, che nel frattempo era giunto ad una fermata.

L’unica questione che interessa il giudizio di legittimità e sulla quale risulta focalizzata l’attenzione dei giudici di merito è costituita dalla certezza della identificazione del F. quale autore dell’aggressione in danno della P..

Sul punto è opportuno precisare che la parte lesa aveva descritto uno dei due aggressori come un giovane nordafricano di corporatura snella, alto quanto lei, caratterizzato fisicamente da una cicatrice o una voglia sulla guancia sinistra.

La P. allorchè le era stato mostrato un primo gruppo di fotografie di soggetti già identificati dagli organi di polizia giudiziaria non aveva riconosciuta in nessuna di essere la persona dell’imputato. Successivamente, in sede di ulteriore ricognizione fotografica, aveva riconosciuto il F. come uno dei suoi aggressori e confermato il riconoscimento allorchè ha visto di persona l’imputato.

La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali l’appellante aveva contestato l’attendibilità del riconoscimento effettuato dalla persona offesa.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato, che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione.
Motivi della decisione

Con un unico mezzo di annullamento il ricorrente denuncia errata applicazione della legge penale e carenza o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla mancata assoluzione dai reati ascrittigli.

In sintesi, si reiterano le censure già formulate nella sede di merito con le quali era stata contestata l’attendibilità del riconoscimento effettuato dalla P..

Si osserva che la persona offesa non aveva riconosciuto l’imputato nel corso della prima ricognizione fotografica e che le foto relative a tale ricognizione non sono state allegate al fascicolo del P.M.. Si deduce, quindi, che la sentenza ha apoditticamente affermato che tra le stesse non vi era quella della persona dell’imputato.

Si osserva che la P., nel descrivere l’aggressore, aveva riferito di una bruciatura o come il segno di una voglia, che prendeva anche il collo, mentre lo stesso P.M. nella sua requisitoria di udienza ha specificato che l’imputato recava i segni di una cicatrice, che non era neppure rosata, ma bianca e sottile, lunga ed evidente. Si fa rilevare infine che la persona offesa ha riferito che l’aggressore identificato con il F. era alto quanto lei e, cioè, mt 1,75, mentre in effetti l’imputato è alto mt 1,83.

Si deduce, quindi, che la sentenza impugnata è carente di motivazione in ordine alle ragioni per le quali è stato ritenuto credibile il riconoscimento dell’imputato, malgrado gli elementi evidenziati che ne mettevano in dubbio l’attendibilità.

Si osserva, in particolare, sul punto del valore probatorio della ricognizione fotografica che, considerata la scarsa valenza dimostrativa del mezzo di prova, il grado di attendibilità della stessa non dipende dalla credibilità di chi effettua il riconoscimento, ma dalle modalità formali con le quali viene eseguito, al fine di evitare un fenomeno di integrazione del ricordo con elementi forniti da coloro che ne stimolano la rievocazione.

Si deduce, quindi, che per garantire un maggior grado di affidabilità della ricognizione fotografica dovrebbero essere adottate nel suo espletamento cautele analoghe a quelle previste dall’art. 213 c.p.p..

Il ricorso non è fondato.

E’ appena il caso di ricordare che, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte, il riconoscimento dell’imputato, al di fuori delle ipotesi di ricognizione di persona effettuata con le modalità previste dall’art. 213 c.p.p., trova il suo fondamento nella prova testimoniale proveniente da un soggetto che abbia identificato l’imputato e che su tale identificazione sia chiamato a deporre. Al riconoscimento così effettuato, pertanto, non si applicano le disposizioni previste dall’art. 213 c.p.p., in quanto è inquadrarle tra le prove non disciplinate dalla legge di cui all’art. 189 c.p.p., che devono essere valutate in base ai criteri stabiliti dall’art. 192 c.p.p. (cfr. sez. 1, 200503642, Izzo, RV 230781; sez. 4, 200434354, Taulant, RV 229086; sez. 2, 200346285, Monaco, RV 227605 ed altre).

Sicchè, se il giudice ha dato conto con adeguata motivazione delle ragioni per le quali il riconoscimento dell’imputato da parte della persona offesa chiamata a deporre o di altro teste è ritenuto attendibile, la valutazione di merito sul punto non è suscettibile di censura in sede di legittimità.

Va, infatti, altresì ricordato in proposito che, anche a seguito delle modificazioni apportate all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, comma 1, lett. b), rimane esclusa la possibilità che la verifica della correttezza e completezza della motivazione si tramuti in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (cfr. sez. 4, 10.10.2007 n. 35683, Servirei, RV 237652; sez. 1, 15.6.2007 n. 24667, Musimeci, RV 237207; sez. 5, 25.9.2007 n. 39048, Casavola ed altri, RV 238215).

Orbene, la sentenza impugnata ha esaminato tutti i rilievi dell’appellante sui punti riproposti in sede di legittimità, confermando il giudizio di piena attendibilità del riconoscimento effettuato dalla persona offesa.

I giudici di merito, infatti, hanno osservato che la descrizione del F. effettuata dalla P. corrisponde perfettamente all’aspetto dell’imputato, anche con specifico riferimento alla cicatrice sul volto dell’extracomunitario.

La ragazza ha anche riferito che l’aggressore era poco più alto di lei.

Inoltre, con riferimento all’esito negativo del primo riconoscimento fotografico, la sentenza ha rilevato che doveva escludersi che tra la trentina di foto, tra migliaia, sottoposte alla ricognizione della persona offesa vi fosse anche quella del F..

E’ stato, però, soprattutto osservato che il F. si era procurato di recente la ferita descritta dalla persona offesa e che le fotografie già facenti parte dell’archivio fotografico della polizia giudiziaria contenevano foto del F. in cui non risultava tale segno caratteristico, mentre solo successivamente è stata acquisita una fotografia dell’imputato nella quale è raffigurato con la cicatrice ed è stata inserita tra quelle mostrate alla parte lesa allorchè si è svolta la seconda ricognizione fotografica.

Inoltre, secondo la sentenza, la persona offesa in udienza ha confermato senza ombra di dubbio il riconoscimento dell’imputato, sicchè tale deposizione costituisce l’elemento di prova su cui è fondata la identificazione del F..

Peraltro, con riferimento alle modalità con cui è stata effettuata la ricognizione fotografica nel corso delle indagini preliminari, non risulta essere stata formulata nessuna censura nella sede di merito ed inoltre dalla sentenza si rileva che ogni volta sono state mostrate alla persona offesa numerose fotografie e tra esse anche quelle di persone caratterizzate dalla presenza di una cicatrice.

Sicchè la motivazione della sentenza in ordine alla piena attendibilità del riconoscimento dell’imputato effettuato dalla persona offesa si palesa assolutamente esaustiva ed immune da vizi logici.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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