Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-03-2011) 05-04-2011, n. 13685 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza in data 2.2.2010 la Corte di Appello di Genova confermava la sentenza del Tribunale di San Remo del 12.2.2009, con la quale C.L.U.A. era stato condannato, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di anni 6 e mesi 10 di reclusione per i reati di cui all’art. 572 c.p. (capo a), art. 610 c.p. (capo c), art. 609 bis c.p. (capo e) in danno della convivente B.P.B., unificati detti reati sotto il vincolo della continuazione; nonchè al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separata sede, e con attribuzione di una provvisionale.

Riteneva la Corte territoriale, disattendendo le doglianze difensive, la piena attendibilità della parte offesa, le cui dichiarazioni avevano trovato riscontro in numerosi elementi esterni.

La pena inflitta in primo grado risultava poi congrua ed adeguata, per cui andava confermata.

2) Ricorre per cassazione C.L.U.A., denunciando, con il primo motivo, la mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla affermazione della penale responsabilità per il reato di cui all’art. 609 bis c.p..

La Corte ha riportato quasi pedissequamente le argomentazioni del primo giudice, senza motivare in ordine agli specifici rilievi contenuti nell’atto di appello. Meramente apodittica, invero, è la motivazione in ordine alla discrepanza tra le versioni fornite dalla parte offesa sulla patita violenza sessuale (nella fase delle indagini aveva parlato di un solo episodio, in dibattimento invece di due).

La motivazione, inoltre, è carente in ordine alla attendibilità della parte offesa e completamente assente in riferimento alle modalità della violenza (nonostante la perquisizione fatta lo stesso giorno dai Carabinieri non vennero rinvenuti gli indumenti strappati). Illogica è, infine, te motivazione nella parte in cui dalla testimonianza del ginecologo, che aveva escluso di poter affermare con certezza la perpetrazione della violenza sessuale, vengono tratti argomenti di conferma e nella parte in cui vengono considerati riscontri le risultanze del referto del pronto soccorso (le lesioni ed i traumi accertati potevano essere anche ricondotti al reato di maltrattamenti, per il quale il prevenuto è stato condannato).

Con il secondo motivo denuncia la erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 133 c.p. essendo stata irrogata una pena che si discosta molto dal minimo edittale.

Con il terzo motivo denuncia la mancata assunzione di una prova decisiva per la omessa escussione della sorella dell’imputato in relazione al capo e) dell’imputazione.

3) Il ricorso è manifestamente infondato.

3.1) Il ricorrente, attraverso una lettura "parcellizzata" della motivazione della sentenza impugnata, denuncia la mancata risposta ai singoli rilievi contenuti nell’atto di appello. Non tiene conto, però, che la Corte territoriale, richiamando anche te motivazione della sentenza di primo grado, perviene ad un argomentato giudizio di piena attendibilità della parte offesa le cui dichiarazioni, peraltro, hanno trovato conferma in numerosi elementi esterni. Tali elementi erano stati già evidenziati dai primi giudici in relazione ad ogni singolo reato.

Peraltro, non è neppure esatto che la Corte abbia omesso di motivare o motivato illogicamente in relazione ai singoli rilievi contenuti nell’atto di impugnazione.

In ordine alle presunte contraddizioni della parte offesa ha rilevato, infatti, che esse non inficiavano minimamente il giudizio di complessiva attendibilità.

Quanto alla testimonianza del ginecologo, la Corte territoriale ha ritenuto che essa fosse "neutra" e non fosse idonea, pertanto, a mettere in dubbio l’attendibilità della donna (il teste aveva infatti ricordato che l’assenza, a livello genitale, di segni della subita violenza era normale in una donna che ha portato a termine precedenti gravidanze).

La Corte, invece, ha tratto elementi di riscontro dai referto del pronto soccorso, nel quale risultavano annotate "ecchimosi braccio destro, ematoma polso destro, ecchimosi polso sinistro, ecchimosi sotto scapolare destra e sinistra, ecchimosi faccia laterale coscia sinistra, ematomi e graffi superficiali faccia interna delle cosce".

Segni questi (in particolare le ecchimosi e gli ematomi e graffi alle cosce) riconducigli non tanto ad episodi di maltrattamenti, ma piuttosto alla patita violenza sessuale con le modalità denunciate.

La Corte di merito ha, infatti, rilevato che tale localizzazione confermava che la donna aveva subito una violenta immobilizzazione ai polsi con spinta all’indietro del busto e divaricazione violenta delle gambe finalizzata alla penetrazione, e quindi la piena attendibilità della versione dalla stessa fornita (mentre risultavano palesemente inverosimili le giustificazioni addotte in proposito dall’imputato).

3.2) La Corte ha, poi, adeguatamente motivato in ordine all’esercizio del potere discrezionale nella determinazione della pena, assumendo che l’irrorazione di una pena superiore al minimo edittale si giustificava in considerazione "della gravità dei fatti posti in essere e delle modalità degli stessi oltre che del comportamento processuale dell’imputato improntato alla negatoria dell’evidenza". 3.3) Quanto, infine, al terzo motivo di ricorso, non c’è dubbio che in un sistema processuale come quello vigente, caratterizzato dalla dialettica delle parti, alle quali compete l’onere di allegare le prove a sostegno delle rispettive richieste, il giudice debba limitarsi a valutare soprattutto la pertinenza della prova al thema decidendum. Ogni diversa valutazione, collegata alla attendibilità della prova e quindi al "risultato" della stessa, esula dai poteri del giudice (l’art. 190 prevede invero che le prove sono ammesse a richiesta di parte) e finirebbe per espropriare le parti del diritto alla prova. Tale diritto alla prova non è, però, "assoluto", ponendo lo stesso legislatore dei limiti: il giudice è tenuto infatti ad escludere le prove vietate dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti ( art. 190 c.p.p., comma 1).

Tali principi sono stati reiteratamente ribaditi dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui "il diritto all’ammissione della prova indicata a discarico sui fatti costituenti oggetto della prova a carico, che l’art. 495 c.p.p., comma 2, riconosce all’imputato incontra limiti precisi nell’ordinamento processuale, secondo il disposto degli artt. 188, 189 e 190 c.p.p. e, pertanto, deve armonizzarsi con il potere-dovere, attribuito al giudice del dibattimento, di valutare la liceità e la rilevanza della prova richiesta, ancorchè definita decisiva dalla parte, onde escludere quelle vietate dalla legge e quelle manifestamente superflue o irrilevanti" (cfr. Cass. pen. sez. 2 n. 2350 del 21.12.2004).

Per quanto riguarda il giudizio di secondo grado è altrettanto indubitabile che "…il giudice d’appello, dinanzi al quale sia dedotta la violazione dell’art. 495 c.p.p., comma 2, deve decidere sull’ammissibilità della prova secondo i parametri rigorosi previsti dall’art. 190 c.p.p., mentre non può avvalersi dei poteri meramente discrezionali riconosciutigli dal successivo art. 603 in ordine alla vantazione di ammissibilità delle prove non sopravvenute al giudizio di primo grado" (cfr. Cass. sez, 6 n. 761 del 10.10.2006). Laddove, invece, non venga dedotta la violazione dell’art. 495 c.p.p., il giudice di appello, in presenza di una richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, a norma dell’art. 603 c.p.p., comma 1, dispone l’integrazione istruttoria solo se ritenga che il processo non possa ere deciso allo stato degli atti. La rinnovazione del dibattimento nella fase di appello ha, infatti, carattere eccezionale, dovendo vincere la presunzione di completezza dell’indagine probatoria del giudizio di primo grado. Ad essa può, quindi, farsi ricorso solo quando il giudice la ritenga necessaria ai fini dei decidere.

3.3.1) Il ricorrente si limita ad affermare la evidente decisività della prova. Egli stesso, inoltre, riconosce che è necessario dimostrare che "la parte (la difesa dell’imputato) ne abbia fatto richiesta almeno nel corso dell’istruzione dibattimentale..".

Nonostante tale espresso enunciato, non indica, però, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, se e quando abbia fatto richiesta di "escussione della sorella". Anzi, nell’atto di appello non risulta alcuna doglianza in relazione alla violazione dell’art. 495 c.p.p. e neppure richiesta di rinnovazione del dibattimento ex art. 603 c.p..

3.4) Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria, che pare congruo determinare in Euro 1.000,00, ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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