T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 30-03-2011, n. 2823

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In data 3.1.1995 il ricorrente – Maresciallo in congedo – proponeva istanza per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infarto miocardico acuto occorsogli durante l’espletamento del turno di servizio del giorno 17.11.1994, in qualità di Capo della Squadra di comando della Tenenza GdF di Tessera.

La Commissione Medicoospedaliera di Padova giudicava la citata infermità cardiaca dipendente da causa di servizio ed ascrivibile alla 5^ categoria; e, per cumulo con altre affezioni già riconosciute dipendenti da causa di servizio, alla 4^ categoria della Tabella A.

Il Comitato per le Pensioni Privilegiate Ordinarie, con parere n.8108/1998 confermava sia la dipendenza da causa di servizio che l’ascrivibilità tabellare dell’infermità cardiaca.

L’Amministrazione adottava, pertanto, il decreto n.87/2000 con cui accoglieva la domanda del Sottufficiale ai fini dell’equo indennizzo.

Con il ricorso in esame il ricorrente impugna il predetto decreto nella parte in cui determina la misura dell’equo indennizzo sulla base dell’art.22, comma 30°, della l. 23.12.1994 n.724.

Ritualmente costituitasi l’Amministrazione ha eccepito l’inammissibilità e comunque l’infondatezza del ricorso, chiedendone il rigetto con vittoria di spese.

All’udienza del 9.3.2011, uditi i difensori delle parti, i quali hanno insistito nelle rispettive richieste ed eccezioni, la causa è stata posta in decisione.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

1.1. L’eccezione di irricevibilità preliminarmente sollevata dall’Avvocatura Generale dello Stato, secondo cui il ricorso sarebbe tardivo in quanto notificato oltre il termine decadenziale di sessanta giorni dall’adozione del provvedimento, non può essere condivisa.

Invero il ricorrente non agisce per il riconoscimento dell’equo indennizzo (che infatti gli è stato concesso dalla PA), ma per la giusta determinazione (in forza di norme vincolanti che non consentono esercizio di poteri discrezionali) della misura dell’indennità.

Trattasi, dunque, di una questione che investe non già un interesse legittimo, ma un diritto soggettivo.

Il termine per la proposizione dell’azione non è, dunque, quello di sessanta giorni (prescritto per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi), ma l’ordinario termine di prescrizione per far valere in giudizio i diritti soggettivi (Cfr, per un precedente analogo: TAR Lazio, Roma, Sez.III^, 6.3.2003 n.1783; nonché CS., 5^, 23.5.2003 n.2783).

1.2. Nel merito il ricorso è infondato.

Con unico mezzo di gravame il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art.4 del DPR 20.4.1994 n.249, dell’art.22, comma 30°, della L. 23.12.1994 n.724, dell’art.154 della L. 11.7.1980 n.312, e dell’art.91 della Costituzione, nonché eccesso di potere per sviamento, travisamento dei fatti, illogicità ed ingiustizia manifesta, deducendo che l’Amministrazione avrebbe dovuto applicare la normativa in vigore alla data (17.11.1994) in cui egli ha contratto l’infermità (e cioè l’art.154 della L. n.312 del 1980), a lui più favorevole, e non già quella in vigoreal momento della determinazione dell’equo indennizzo (e cioè l’art.22, comma 30°, della l. n.724 del 23.12.1994).

La doglianza non può essere condivisa.

1.2.1. Il ricorrente ha avanzato l’istanza di riconoscimento dell’equo indennizzo in data 3.1.1995 e cioè allorquando era già in vigore la legge n.724 del 1994, che aveva previsto che dall’1.1.1995 si sarebbe dovuto applicare il nuovo (e meno favorevole) meccanismo di calcolo, e ciò anche per gli eventi verificatisi sotto l’impero delle precedente normativa.

E poiché egli non censura tale legge, ma semplicemente il provvedimento che ne fa applicazione, quest’ultimo ben resiste alla censura.

1.2.2. Per sostenere la tesi dell’applicabilità della precedente normativa, il ricorrente afferma che l’Amministrazione avrebbe dovuto avviare d’ufficio il procedimento per il riconoscimento dell’equo indennizzo, e che se lo avesse fatto tempestivamente (e cioè subito dopo la contrazione dell’infarto, nel novembre del 1994) la normativa da applicare sarebbe stata, giocoforza, quella in vigore a quel tempo e cioè quella a lui più favorevole.

Ma anche tale costruzione non regge.

Come puntualmente eccepito dall’Avvocatura Generale dello Stato, l’Amministrazione ha l’obbligo di procedere d’ufficio esclusivamente nelle ipotesi in cui abbia la certezza che l’infermità sia dipesa da causa di servizio (così: CS, V^, 20.4.2000 n.2422, CS, IV^, 22.10.2004 n.6943; TAR Lazio Latina, I^, 1.9.2005 n.660); circostanza, questa, che – secondo quanto emerge dalla documentazione in atti – al momento non constava, e che non era desumibile dalla tipologia dell’infermità e dalle modalità con cui si era manifestata.

2. In considerazione delle superiori osservazioni, il ricorso va respinto.

Si ravvisano giuste ragioni per compensare le spese fra le parti costituite.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando, respinge il ricorso.

Compensa le spese fra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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