T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 30-03-2011, n. 2820 Associazioni mafiose Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Giova anzitutto indicare gli esatti confini della controversia in merito alla quale è qui chiamato a giudicare il Tribunale riproducendo, nella sostanza, quanto già illustrato nella parte in premessa dell’ordinanza n. 1500 del 2009.

Con il ricorso principale la Società I.I.M. S.r.l. premetteva di essere titolare di una concessione per la gestione del gioco del Bingo esercitata nel Comune di Napoli.

Riferiva che uno dei soci, il Signor Salvatore Vitagliano, possessore del 10% delle quote, era stato inquisito nel corso del 2004 per una presunta commercializzazione di prodotti con marchio contraffatto; dal che ne derivava un procedimento di sequestro dell’intero patrimonio del predetto che colpiva anche la Società. L’estraneità di quest’ultima fu appurata e dichiarata dalla Corte d’Appello di Napoli nel 2008 con revoca del provvedimento di sequestro giudiziario con riferimento alla Società I.I.M..

Chiariva la ricorrente che in tutto il periodo di efficacia del provvedimento cautelare di sequestro giudiziario l’esercizio del gioco del Bingo proseguì indisturbato, ma nell’agosto del 2009, con nota 12 agosto 2009 prot. n. 2009/30927/giochi/BNG, l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato disponeva la sospensione con decorrenza immediata della concessione a suo tempo rilasciata in favore dell’odierna ricorrente, richiamando la nota prefettizia del 24 luglio 2009 prot. n. I/26406/Area 1/Ter/O.S.P., mai comunicata alla ricorrente medesima.

Lamentava la Società ricorrente l’illegittimità del provvedimento adottato nei suoi confronti in quanto la contestata infiltrazione mafiosa che avrebbe visto per protagonista l’attività della Società è stata indicata dall’Amministrazione in modo generico e senza che fosse chiarito in quale modo fossero stati condizionati le scelte e gli indirizzi societari; d’altronde la estraneità dell’attività svolta dalla I.M. rispetto alla posizione del Signor Vitagliano appare confermata dalla decisione della Corte d’Appello di Napoli del 15 maggio 2008, sicché il provvedimento di chiusura si doveva considerare illegittimo e giudizialmente annullato.

2. – Si è costituita in giudizio l’Avvocatura erariale a tutela della posizione delle Amministrazioni intimate producendo documentazione utile ai fini della reiezione della domanda giudiziale proposta dalla Società ricorrente.

Parte ricorrente ha proposto dapprima istanza al fine di ottenere una decisione cautelare in via preliminare, ma l’istanza è stata respinta con decreto presidenziale n. 3945 del 2009. Successivamente, nella sede collegiale, il Tribunale ha accolto l’istanza cautelare proposta dalla Società ricorrente sospendendo, con ordinanza n. 4064 del 2009, l’efficacia del provvedimento impugnato.

3. – Successivamente ai fatti sopra descritti veniva notificata alla Società I.M. la nota dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, ufficio Regionale per la Campania, prot. 042195 del 17 agosto 2009 con la quale, per le stesse ragioni che avevano condotto l’AAMS a disporre la sospensione immediata e la revoca della concessione per il gioco del bingo, l’Amministrazione comunicava l’avvio del procedimento di revoca della licenza relativa alla gestione della rivendita di tabacchi n. 650 in Napoli e, nelle more dell’adozione del provvedimento, ne disponeva la immediata sospensione.

Anche tale atto era fatto oggetto di impugnazione dalla Società III Millenio con ricorso recante motivi aggiunti, riproducendo sostanzialmente le stesse doglianze già rivolte, con il ricorso principale, nei confronti dell’atto di sospensione e revoca della concessione per il gioco del bingo.

4. – In epoca ancor più successiva, e precisamente in data 28 agosto 2009, la Società I.M. proponeva all’AAMS istanza di accesso alla nota prefettizia del 24 luglio 2009 prot. n. I/26406/Area 1/Ter/O.S.P., che tuttavia veniva respinta dall’Amministrazione atteso che il documento richiesto rientrerebbe "tra le informazioni non classificate controllate in quanto gli elementi forniti rinvengono da quelle categorie di documenti che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 24, comma 2, della legge 241/1990 e 3 – punto b – del successivo regolamento di attuazione, adottato dal Ministero dell’Interno con D.M. 415/1994, sono sottratti al diritto di accesso, disciplinato dalla citata normativa, in quanto inerenti a notizie relative all’attività di prevenzione e repressione della criminalità" (così la motivazione del provvedimento in questa sede impugnato e depositato in giudizio).

Sostenendo l’illegittimità della decisione di diniego assunta dall’Amministrazione, la Società ricorrente ne ha preteso il giudiziale annullamento con dichiarazione del diritto all’ostensione del documento richiesto, proponendo domanda ai sensi dell’art. 25, comma 3, della legge n. 241 del 90, pendente iudicio. Il Tribunale, con ordinanza n. 1500 del 2009 ha accolto la domanda ostensiva, limitandola tuttavia a quella parte dei documenti che non "rechi notizie coperte da segreto istruttorio, afferenti a indagini preliminari o procedimenti penali in corso, o in quanto coinvolgenti, a qualunque titolo, terzi soggetti interessati dalle informative di polizia di sicurezza ovvero, ancora ad accertamenti di polizia di sicurezza e di contrasto alla delinquenza organizzata".

5. – In conseguenza dell’accoglimento della domanda di ostensione documentale da parte del Tribunale e dell’esecuzione della stessa ad opera dell’Amministrazione detentrice il documento fatto oggetto di accesso, la Società ricorrente proponeva un ulteriore ricorso recante motivi aggiunti che, sostanzialmente, riproducevano le doglianze già dedotte nei precedenti ricorsi, introduttivo e contenente motivi aggiunti.

Precisava nel contempo parte ricorrente, specificando i termini della domanda risarcitoria già avanzata con il ricorso principale, che l’attività di sala bingo, per effetto del provvedimento di chiusura, si era interrotta per il periodo di 22 giorni e che, quindi, a tale periodo occorre far riferimento ai fini della liquidazione del quantum risarcitorio.

Gli Uffici dell’Amministrazione convenuta, per il tramite dell’Avvocatura erariale, chiarivano di aver dato esecuzione all’ordinanza del Tribunale con la quale era stata disposta la sospensione del provvedimento impugnato e che, in particolare, si era dato luogo al rinnovo della convenzione subordinandone l’efficacia all’esito del presente giudizio

La Società I.M. produceva, infine, memorie conclusive con le quali confermava le già rassegnate conclusioni.

Trattenuta riservata la decisione nell’udienza di merito del 27 ottobre 2010 la riserva è stata sciolta nelle Camere di consiglio del 9 dicembre 2010 e 12 gennaio 2011.

6. – In materia di informativa antimafia la giurisprudenza ha enucleato alcuni principi, ampiamente condivisi e rispetto ai quali, comunque, il Collegio manifesta adesione, che meritano qui di essere sinteticamente riprodotti al fine di delineare il quadro giuridico nel quale si incastona la presente controversia.

Si è, dunque, affermato che:

A) l’informativa prefettizia di cui agli artt. 4 del decreto legislativo 29 ottobre 1994 n. 490 e 10 del D.P.R. 3 giugno 1998 n. 252 costituisce una tipica misura cautelare di polizia, preventiva ed interdittiva, che si aggiunge alle misure di prevenzione antimafia di natura giurisdizionale e che prescinde dall’accertamento in sede penale di uno o più reati connessi all’associazione di tipo mafioso. Non occorre né la prova di fatti di reato né la prova dell’effettiva infiltrazione mafiosa nell’impresa né la prova del reale condizionamento delle scelte dell’impresa da parte di associazioni o soggetti mafiosi, essendo sufficiente il tentativo di infiltrazione avente lo scopo di condizionare le scelte dell’impresa, anche se tale scopo non è in concreto realizzato (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 18 agosto 2010 n. 5880 e 2 ottobre 2007 n. 5069);

B) l’informativa antimafia, dunque, è funzionale alla peculiare esigenza di mantenere un atteggiamento intransigente contro rischi di infiltrazione mafiosa, idonei a condizionare le scelte delle imprese chiamate a stipulare contratti con la Pubblica amministrazione, determinando l’esclusione dell’imprenditore, sospettato di detti legami, dal mercato dei pubblici appalti e, più in generale, dalla stipula di tutti quei contratti e dalla fruizione di tutti quei benefici, che presuppongono la partecipazione di un soggetto pubblico e l’utilizzo di risorse della collettività. La fase istruttoria del procedimento finalizzato a comunicare la presenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi di un’impresa, si concreta essenzialmente nell’acquisizione di tutte le informazioni di cui le autorità di pubblica sicurezza sono in possesso al fine di effettuare, sulla base di tali risultanze, una obiettiva valutazione sulla possibilità di un eventuale utilizzo distorto dei finanziamenti pubblici destinati ad iniziative private o delle risorse pubbliche devolute al settore degli appalti pubblici (utilizzo, che la normativa di settore mira appunto ad evitare). A tal fine, se non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, non possono tuttavia ritenersi sufficienti fattispecie fondate sul semplice sospetto o su mere congetture prive di riscontro fattuale, essendo pur sempre richiesta l’indicazione di circostanze obiettivamente sintomatiche di connessioni o collegamenti con le predette associazioni (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 17 luglio 2006 n. 4574);

C) pertanto la suddetta informativa antimafia, emessa ai sensi dell’art. 10, comma 7, lett. c) del D.P.R. n. 252 del 1998, prescinde completamente da ogni provvedimento penale a carico degli appartenenti all’impresa (sia pure di carattere preventivo o anche assolutorio) e si giustifica considerando il pericolo dell’infiltrazione mafiosa, che non deve essere immaginifico né immaginario, ma neppure provato, purché sia fondato su elementi presuntivi e indiziari, la cui valutazione è rimessa alla lata discrezionalità del prefetto, sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo della illogicità, incoerenza o inattendibilità sicché, se non è accettabile, in presenza di elementi indiziari evanescenti, che venga enfatizzato il rischio di infiltrazione mafiosa al fine di emettere una informativa antimafia, non è altrettanto accettabile che lo stesso rischio venga sottovalutato perché, in sede penale, non sono stati accertati elementi sufficienti per affermare la responsabilità penale; pertanto, l’informativa antimafia non risponde a finalità di accertamento di responsabilità, ma ha carattere accentuatamente preventivocautelare, con la conseguenza che elementi, che, in sede penale, non sono valsi ad accertare la sussistenza di un reato, possono ben essere suscettibili di diversa valutazione in sede amministrativa, al fine di fondare un giudizio di possibilità che l’attività considerata subisca condizionamenti da soggetti legati alla criminalità organizzata. Deve dunque concludersi nel senso che il prefetto, nel rendere le informazioni antimafia richieste ai sensi dell’art. 10, comma 7, lett. c), del D.P.R. n. 252 del 1998, non deve basarsi necessariamente su specifici elementi, ma deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di uno specifico quadro indiziario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell’imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni, per cui il sindacato del giudice amministrativo sotto il profilo della logicità, il significato attribuito agli elementi di fatto e l’iter seguito per pervenire a certe conclusioni, anche perché le informative prefettizie in questione costituiscono esplicazione di lata discrezionalità, non suscettibile di sindacato di merito in assenza di elementi atti a evidenziare profili di deficienza motivazionale, di illogicità e di travisamento (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 aprile 2009 n. 2276)

D) nello stesso tempo però, e sempre con riguardo alle informative di cui all’art. 10 comma 7, lett. c), del D.P.R. n. 252 del 1998, il Prefetto, anziché limitarsi a riscontrare la sussistenza di specifici elementi, deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di uno specifico quadro indiziario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell’imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle Pubbliche amministrazioni; pertanto, si può ravvisare l’emergenza di tentativi di infiltrazione mafiosa in fatti in sé e per sé privi dell’assoluta certezza – quali una condanna non irrevocabile, l’irrogazione di misure cautelari, collegamenti parentali, cointeressenze societarie e/o frequentazioni con soggetti malavitosi, dichiarazioni di pentiti – ma che, nel loro insieme, siano tali da fondare un giudizio di possibilità che l’attività d’impresa possa, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata per la presenza, nei centri decisionali, di soggetti legati ad organizzazioni mafiose (cfr. Cons. giust. amm. Sicilia, 24 novembre 2009 n. 1129, Cons. Stato, Sez. VI, 2 agosto 2006 n. 4737, Sez. V, 3 ottobre 2005 n. 5247 e TAR Lazio, Sez. II, 9 novembre 2005 n. 10892);

E) infine, qualora il giudice penale escluda la sussistenza del reato di associazione di tipo mafioso a carico di una persona, l’Amministrazione può comunque predisporre un’informativa antimafia, potendo individuare elementi di sospetto a carico della medesima, ma ha il dovere di motivare con massimo rigore la sua valutazione sul pericolo di condizionamento mafioso (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 9 settembre 2008 n. 4306).

In estrema sintesi riepilogativa, le informazioni del Prefetto circa la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa nell’impresa, ai sensi delle riportate disposizioni di cui agli artt. 4 del decreto legislativo n. 490 del 1994 e 10 del D.P.R. n. 252 del 1998 non devono provare l’intervenuta infiltrazione, essendo questo un quid pluris non richiesto, ma devono sufficientemente dimostrare la sussistenza di elementi dai quali sia deducibile il tentativo di ingerenza. In altri termini, l’adozione di un’interdittiva antimafia, se deve pur sempre fondarsi su elementi di fatto che denotino il pericolo di collegamenti tra l’impresa e la criminalità organizzata, non presuppone per quei fatti l’accertamento della responsabilità penale, essendo sufficiente che i fatti medesimi presentino carattere sintomatico e indiziante del pericolo in senso oggettivo ovvero della ipotizzabile sussistenza del detto collegamento.

7. – Al fine di applicare le suindicate coordinate ricostruttive della normativa sottesa ad attribuire rilievo alle informative antimafia al caso di specie e tenuto conto che le norme surricordate trovano applicazione in qualunque ipotesi l’Amministrazione affidi utilità attraverso contratti, convenzioni, licenze, autorizzazioni o concessioni (si vedano in proposito l’art. 3 e l’All. 3 del decreto legislativo n. 490 del 1994), occorre indicare i passaggi salienti della documentazione in base alla quale l’AAMS ha disposto il provvedimento di revoca qui impugnato in via principale (vale a dire l’atti di revoca della concessione per il gioco del bingo, mentre con riferimento al secondo atto impugnato con uno dei due ricorsi recanti motivi aggiunti ed inerente alla rivendita di tabacchi si disporrà in seguito).

Dagli atti prodotti dalla Questura di NapoliDivisione anticrimine per il tramite dell’Avvocatura erariale si può constatare, ai fini della decisione della presente controversia, che:

a) con nota n. I/26406/Area 1/ter/O.S.P. del 9 ottobre 2004 la Prefettura di Napoli aveva chiesto informazioni antimafia nei confronti della Società I.I.M.;

b) la Questura, con nota del 13 dicembre 2007, appurava che le quote della Società I.I.M. appartenenti ai fratelli Salvatore e P.V. erano state sottoposte a sequestro e confisca e che "la predetta società è da ritenersi in confisca relativamente all’intero patrimonio aziendale e a parte delle quote" (così, testualmente, nella predetta nota);

c) nella ridetta nota si specificava, inoltre, che la convenzione per l’affidamento in concessione della gestione del Bingo era stata richiesta all’AAMS dall’allora amministratore delegato della società P.V.;

d) infine si evidenziava che i fratelli Vitagliano erano indagati "per aver partecipato all’associazione di tipo mafioso "Alleanza di Secondigliano", in quanto ritenuti imprenditori organici del sodalizio" (così ancora, testualmente, nella nota del dicembre 2007);

e) all’esito di un approfondimento della Questura datato 15 luglio 2009 si appurava che amministratore unico della società era, a quel tempo, Livia Vitagliano, figlia di Salvatore Vitagliano sottoposto a misure di cui alla legge 31 maggio 1965 n. 575 e destinatario di un sequestro di beni poi confiscati, tra i quali compare una quota della Società I.I.M., che viveva nello stesso appartamento del padre ed allo stesso indirizzo presso il quale abita anche lo zio P.V.;

f) si specificava ancora che, sempre a quell’epoca, Salvatore e P.V. non risultavano più titolari di quote sociali per essere la titolarità stata trasferita, in seguito alla confisca, all’Amministratore giudiziario, mentre il patrimonio della Società è stato dissequestrato.

8. – Orbene appare evidente da ciò che si legge nelle note della Questura versate in atti che necessariamente, tenuto conto della interpretazione costantemente seguita delle disposizioni contenute negli artt. 4 del decreto legislativo n. 490 del 1994 e 10 del D.P.R. n. 252 del 1998, l’AAMS ha proceduto all’adozione dei provvedimenti sanzionatori nei confronti della Società I.I.M. per il carattere vincolato di tale attività consequenziale rispetto alle informazioni fornite dalla Questura di Napoli alla Prefettura della stessa città.

Ciò, tuttavia, non significa che i provvedimenti siano scevri da vizi.

Si legge, infatti, nel decreto della Corte d’Appello di Napoli, Sezione III, del 15 maggio 2008 (per come sottolineato da parte ricorrente negli atti difensivi), riferendosi espressamente ad un precedente provvedimento del Tribunale del Riesame di Napoli, del medesimo tenore, che "il sequestro dell’intero patrimonio aziendale risulta giustificato solo per quelle società direttamente coinvolte nei fatti oggetto del procedimento penale, in quanto costituivano lo strumento attraverso cui gli imputati realizzavano la loro condotta associativa e il reato di commercializzazione di prodotti con segni falsi" e che "tra le predette società, come evidenziato dallo stesso Tribunale del Riesame (…), non rientra "I.I.M. S.r.l.", per cui relativamente alla stessa risulta giustificato unicamente il sequestro delle quote sociali facenti capo agli imputati o a loro prestanomi, ma non anche il sequestro dell’intero patrimonio aziendale" (i virgolettati sono tratti dal provvedimento della Corte d’Appello di Napoli).

Deriva da quanto sopra che il giudice penale, che si è occupato funditus della vicenda relativa ai fratelli Vitagliano (per come si è sopra tratteggiato), ha espressamente escluso dalle attività illecite la Società I.I.M., con la conseguenza che, sul versante puramente amministrativo e della sussistenza dei requisiti per essere autorizzato alla gestione della concessione del gioco del Bingo, quella Società, quantomeno per i fatti che hanno dato luogo all’adozione dei provvedimenti sanzionatoriorepressivi qui impugnati, detti provvedimenti dell’AAMS non risultano giustificati, nonostante il contenuto delle informazioni ricevute dai competenti organismi di polizia.

9. – Analoghe considerazioni debbono svilupparsi in merito al ricorso recante motivi aggiunti attraverso il quale la odierna Società ricorrente ha inteso chiedere l’annullamento nei confronti del provvedimento dell’AAMS con il quale è stata disposta la sospensione della licenza per la rivendita di tabacchi n. 650, facendo l’Amministrazione esplicito riferimento alla vicenda che aveva dato luogo all’intervento repressivo avente ad oggetto la concessione per il Bingo e sulla scorta dei surriferiti contenuti delle informative prefettizie.

Conseguentemente anche tale gravame va accolto.

10. – Se per le suindicate ragioni il ricorso principale può essere accolto, per le stesse ragioni e soprattutto per quel che concerne l’assenza di spazi valutativi rimessi agli Uffici dell’AAMS in seguito alle informazioni ricevute dagli organi di polizia, non viene in emersione nella vicenda de qua alcun comportamento soggettivamente rilevante ai fini della imputabilità dei danni eventualmente patiti dalla Società per la temporanea chiusura dell’attività (chiusura peraltro fortemente contenuta nel tempo per effetto dell’accoglimento da parte di questo Tribunale dell’istanza cautelare proposta) – in conseguenza dell’adozione dei provvedimenti sanzionatori qui considerati illegittimi – in capo ai predetti Uffici, di talché le domande risarcitorie avanzate dalla parte ricorrente (con il ricorso principale e con quelli recanti motivi aggiunti) nel presente giudizio non possono trovare accoglimento.

11. – In ragione di tutte le suesposte osservazioni le domande di annullamento proposte dalla Società I.I.M. possono essere accolte, con travolgimento degli atti impugnati. Non può essere accolta, per la ragioni sopra esposte, la domanda risarcitoria.

Le spese seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 26, comma 1, c.p.a., e si liquidano nella misura di Euro. 3000,00 (euro tremila/00), come da dispositivo.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.

Respinge la domanda risarcitoria.

Condanna il Ministero dell’economia e delle finanzeAmministrazione autonoma dei monopoli di Stato, in persona del rappresentante legale pro tempore, a rifondere le spese del presente giudizio in favore della Società I.I.M. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, che liquida in complessivi Euro. 3000,00 (euro tremila/00), oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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