Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 17-01-2011) 05-04-2011, n. 13680

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione L.A. avverso la sentenza del Gip del Tribunale di Latina in data 14 maggio 2010 con la quale, ex art. 444 c.p.p., gli era stata applicata, su sua richiesta, la pena patteggiata in ordine al reato ex art. 495 c.p..

L’accusa era quella di avere falsamente effettuato un riconoscimento di paternità, con dichiarazione all’ufficiale dello stato civile di Formia, fatto commesso nel luglio 2005.

Deduce:

1) la illegittimità della sentenza per la "abnormità derivata dalla ordinanza dello stesso Gip in data 12 gennaio 2010".

Evidenzia la difesa che la materia processuale in esame era stata in un primo tempo qualificata ex art. 483 c.p. ed in relazione ad essa le parti avevano presentato concordemente al Gip una richiesta di patteggiamento.

Il Gip aveva concluso l’udienza camerale, però, osservando che la qualificazione del fatto avrebbe dovuto essere quella ex art. 495 c.p. e che, in assenza di un espresso accordo delle parti, era necessario restituire gli atti al PM. Tale provvedimento era stato denunciato di abnormità, dal difensore, con ricorso per cassazione nel quale si era rilevato che il Gip aveva solo il potere di accogliere o rigettare; allo stato esso risulterebbe ancora pendente, pur corredato da un parere del PG favorevole all’accoglimento.

Nelle more il PM aveva riformulato la imputazione ai sensi dell’art. 495 c.p. e il difensore di fiducia di L. presentava una nuova istanza di applicazione della pena di otto mesi di reclusione, non senza sottolineare che il proprio assistito si protestava innocente e che secondo un certo orientamento giurisprudenziale il fatto contestato non costituirebbe reato.

Si era trattato in sostanza di una richiesta "obbligata" e non concordata, a seguito delle iniziative assunte dal Pm e pur in presenza di una ordinanza del Gip meritevole di riforma perchè aveva costretto ingiustamente il PM a mutare la contestazione di reato.

2) la violazione degli artt. 483 e 495 c.p..

La fattispecie in esame, costituita dall’avere il L. effettuato un riconoscimento di paternità che avrebbe dovuto essere annotato a margine dell’atto di nascita, con efficacia erga omnes, avrebbe dovuto essere qualificato ex art. 483 c.p. che è norma speciale rispetto a quella ex art. 495 c.p..

Il riconoscimento di figlio naturale, infatti, costituisce una dichiarazione di scienza rivolta a conferire certezza al fatto della procreazione e di questo è destinato a provare la verità, con la conseguenza che deve riconoscersi punibile ex art. 483 c.p. come riconosciuto da una parte della giurisprudenza (sent. n. 149 del 1995; sent. n. 101 del 1970);

3) il vizio di motivazione, il Giudice avrebbe preso, come pena base per il calcolo della pena, quella di anni uno e mesi otto di reclusione, mai indicata da alcuna delle parti.

Il PG presso questa Corte ha ritenuto meritevole di accoglimento il ricorso sotto tale ultimo profilo.

Il ricorso è però infondato, potendosi intervenire con mera correzione alla indicazione della pena concordata dalle parti e ratificata dal giudice.

Con il primo motivo la parte denuncia di illegittimità la sentenza impugnata sul presupposto di una sorta di vizio del consenso alla pena patteggiata, scaturito dalla necessità di adeguarsi ad uno sviluppo processuale non conforme alle norme di rito e come tale in precedenza già devoluto alla cognizione della Cassazione. Invero in materia vige il principio, condiviso dalla assoluta maggioranza della giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di patteggiamento, una volta raggiunto l’accordo, non è più possibile revocare unilateralmente il consenso già prestato dalla parte all’applicazione della pena (Rv. 244139; massime precedenti Conformi:

N. 3495 del 1991 Rv. 188722, N. 63 del 1992 Rv. 190603, N. 2379 del 1993 Rv. 195183, N. 5521 del 1996 Rv. 204882, N. 2845 del 1997 Rv.

207828, N. 4199 del 1997 Rv. 209512, N. 4237 del 1997 Rv. 209858, N. 115 del 1998 Rv. 210451, N. 44781 del 2003 Rv. 227700, N. 7563 del 2004 Rv. 227770, N. 19123 del 2004 Rv. 227751, N. 45749 del 2007 Rv.

238495).

D’altra parte non risulta che la richiesta di pena concordata, successivamente recepita dal Gip, fosse affetta da qualsivoglia vizio nella manifestazione di volontà, avendo la parte effettuato una scelta nella strategia processuale, correlata alla iniziativa assunta dal PM. Nè può ragionevolmente sostenersi che il Gip, con il precedente provvedimento di restituzione di atti, abbia coartato le parti posto che, impregiudicata evidentemente la valutazione del ricorso presentato dalla difesa sulla abnormità o meno della regressione, è certo che essa aveva la possibilità, in effetti attivata, di devolvere la decisione del Gip alla Corte di cassazione ed attendere la relativa decisione sui futuribili scenari processuali.

La richiesta di patteggiamento ai sensi dell’art. 447 c.p.p., nel corso delle indagini preliminari, non risulta, quindi, essere stata imposta da ragioni di decadenza o di preclusione, ma da un libero apprezzamento di ragioni di convenienza processuale che non può essere rimeditato attraverso la presentazione del ricorso.

Il secondo motivo non è fondato.

In tanto è da escludere che la situazione in esame sia consistita nella ratifica di un accordo preceduta da riqualificazione giuridica del fatto.

Una simile situazione si presenta quando la diversa qualificazione sia il prodromo dell’accordo e divenga oggetto dell’accordo stesso.

E ciò è tanto vero che la giurisprudenza di legittimità al riguardo osserva che qualora, in sede di accordo delle parti, si sia proceduto alla qualificazione giuridica del fatto in termini più lievi rispetto all’imputazione originariamente contestata, anche eliminando uno dei reati o le circostanze aggravanti, il giudice ha l’obbligo di esporne, sia pure sinteticamente, le ragioni, in quanto l’omissione di detto obbligo impedisce il doveroso controllo sulla legittimità del patto (Rv. 245443; Rv. 234545; massime precedenti Conformi: N. 3464 del 1991 Rv. 186695, N. 5072 del 1991 Rv. 187562, N. 3021 del 1997 Rv. 207683, N. 2429 del 1998 Rv. 211985, N. 12611 del 2006).

L’assolvimento del dovere di motivazione da parte del giudice è finalizzato cioè a verificare che non sia stato ratificato un patteggiamento sul reato anzichè, come consentito, sulla sola pena.

Ma il dovere di motivazione, negli stessi termini, non si configura quando, come nella specie, il Gip si trovi a ratificare un accordo raggiunto tra le parti sulla ipotesi di reato configurata dal PM, senza cioè che egli sia chiamato a esercitare il proprio potere di riqualificazione giuridica del medesimo fatto.

Se il potere non è stato esercitato nella specifica fase della richiesta di patteggiamento, sul Gip non grava alcuno speciale onere di motivazione, diverso da quello ordinario.

Al Gip, nella specie, non incombeva il dovere di motivare la ragione della pur citata "riqualificazione" del fatto ex art. 495 c.p..

Nel ricorso, peraltro, la parte lamenta – evidentemente a titolo di violazione di legge ( art. 129 c.p.p.)- la mancata valutazione della questione della inesistenza del reato a fronte di un falso riconoscimento di paternità, secondo l’interpretazione data da una parie della giurisprudenza di legittimità. Si tratta però di una tesi non condivisibile.

Occorre ribadire che in tema di patteggiamento, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione del fatto contenuta in sentenza deve essere limitata ai casi di errore manifesto, ossia ai casi in cui sussiste l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti margini di opinabilità. (Rv. 246394; massime precedenti Conformi: N. 44278 del 2007 Rv. 238286, N. 45688 del 2008 Rv. 241666).

Nella specie non si apprezza alcun errore manifesto sul punto.

Semmai, la giurisprudenza di legittimità assolutamente prevalente accredita la tesi che commette il reato di cui all’art. 495 c.p. colui che dichiara falsamente al pubblico ufficiale la propria qualità di padre e l’altrui qualità di figlio, in relazione al riconoscimento di paternità compiuto (Sez. 6, Sentenza n. 8996 del 28/06/1994 Ud. (dep. 19/08/1994 ) Rv. 199509).

Si precisa al riguardo, come del resto riferito sia pure criticamente nella sentenza impugnata, che mentre il reato di alterazione di stato di cui all’art. 567 c.p., comma 2 si commette nella formazione dell’atto di nascita, invece le false dichiarazioni incisive sullo stato civile di una persona, rese quando l’atto di nascita è già formato, esulano dalla sfera specifica di tutela dell’alterazione di stato e rientrano nella previsione dell’art. 495 c.p., comma 3, n. 1 (Sez. 6, Sentenza n. 5356 del 24/10/2002 Ud. (dep. 04/02/2003) Rv.

223933); conformi Sez. 6, Sentenza n. 35806 del 05/05/2008 Cc. (dep. 18/09/2008 ) Rv. 241254 ; Sez. 6, Sentenza n. 1064 del 03/07/1990 Ud.

(dep. 30/01/1991 ) Rv. 186269.

Invero, la differenza tra il reato previsto dall’art. 495 c.p. e quello di cui all’ari. 567 c.p., comma 2, consiste in ciò, che la norma di cui al citato art. 495 c.p., punisce l’immutazione del vero in se stessa (senza incidere sul rapporto di procreazione), mentre quella di cui all’art. 567 cpv. c.p. punisce l’immutazione del vero in quanto da essa derivi la perdita del vero stato civile del neonato: i due reati hanno in comune l’elemento del falso ideologico documentale, ma quello di cui all’art. 567 c.p. in più l’elemento dell’alterazione di stato, atteggiandosi come reato complesso (Sez. 6, Sentenza n. 1064 del 03/07/1990 Ud. (dep. 30/01/1991 ) Rv.

186271); conforme Sez. 6, Sentenza n. 6318 del 18/02/1994 Ud. (dep. 30/05/1994 ) Rv. 198884.

In contrario, la parte evoca invero il diverso e risalente orientamento della giurisprudenza di legittimità che ha negato rilevanza ai sensi dell’art. 495 c.p. al riconoscimento di figlio naturale effettuato con falso riferimento all’atto della procreazione, riferimento che non cadrebbe sulle qualità oggetto della condotta di falso p unita ex art. 495 c.p. e che non lederebbe la fede pubblica (v. Sez. 5, Sentenza n. 571 del 02/04/1971 Ud. (dep. 09/06/1971) Rv. 118407; Sez. 5, Sentenza n. 101 del 23/01/1970 Ud.

(dep. 28/03/1970) Rv. 114349; Sez. 5, Sentenza n. 101 del 23/01/1970 Ud. (dep. 28/03/1970) Rv. 114351).

Cita anche, contestualmente l’orientamento che ha inquadrato il fatto nella ipotesi di cui all’art. 483 c.p. con riferimento però al riconoscimento effettuato in atto ricevuto dal notaio (Sez. 5, Sentenza n. 149 del 24/10/1994 Ud. (dep. 11/01/1995 ) Rv. 200453).

Si tratta però di evocazioni e citazioni del tutto generiche perchè non articolate e argomentate con riferimento alla situazione di fatto specificamente oggetto del processo in esame sicchè appare impossibile nella presente sede, di ricorso cioè avverso sentenza di patteggiamento, l’apprezzamento in termini di evidenza previsto anche in relazione alla legittimità della qualificazione giuridica accreditata.

L’ultimo motivo di ricorso coglie solo in parte nel segno.

Il giudice ha recepito l’accordo delle parti proprio nei termini indicati nel ricorso dichiarando nel dispositivo di applicare "la pena finale di mesi 8 di reclusione, con concessione delle attenuanti generiche" ed effettuata la riduzione per il rito.

La pena base è indicata, anche nella parte dedicata alle conclusioni delle parti, in mesi 18, ridotta a mesi 12 di reclusione per le generiche, ridotta a mesi 8 per il rito.

Ne consegue che laddove nel dispositivo è menzionata, alla fine del primo capoverso, "la pena finale di anni uno e mesi otto di reclusione" questa locuzione non può che ritenersi un refuso da erroneo utilizzo di files del computer.

Se ne può dunque disporre semplicemente la eliminazione procedendo nel contempo alla precisazione dell’intero dispositivo nei sensi appresso indicati.
P.Q.M.

Dispone correggersi il dispositivo della sentenza impugnata nei seguenti termini: "applica a L.A., in ordine al reato contestato, qualificato giuridicamente ai sensi dell’art. 495 c.p., con attenuanti generiche e la diminuente del rito, la pena finale di mesi 8 di reclusione.

Pena sospesa. Dispone trasmettersi gli atti all’ufficio dello stato civile di Formia per quanto di competenza". Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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