Cass. civ. Sez. V, Ord., 07-07-2010, n. 16089 CASSAZIONE CIVILE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Premesso:

che la società contribuente, illustrando le proprie ragioni anche con memoria, propone ricorso per cassazione, in tre motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio indicata in epigrafe, emessa in esito a rinvio della Commissione tributaria centrale;

– che l’Agenzia resiste con controricorso;

rilevato:

– che, con il primo motivo di ricorso, la società contribuente deduce "insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5; violazione e falsa applicazione della legge, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 3, comma 3" e formula il seguente quesito: se "la sentenza di appello deve prendere in esame tutte le doglianze avanzate dall’appellante e debba decidere sulle stesse con una puntuale motivazione e non limitarsi ad affermare che la parte è stata comunque messa in condizioni di esercitare il proprio diritto di difesa";

– che, con il secondo motivo di ricorso, la società contribuente deduce "violazione e falsa applicazione delle norme di diritto sulla assoluta carenza delle ragioni giustificative dell’accertamento addotte; travisamento del fatto ed erronea applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3" e formula il seguente quesito: se "la base per un accertamento di valore da parte dell’Ufficio deve essere fondato su comprovate e messe in pratica mutate possibilità di valorizzazione del bene e non solo teoriche";

– che, con il terzo motivo di ricorso, la società contribuente deduce "violazione dell’art. 112 c.p.c., sul dovere della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato per aver omesso totalmente di pronunziare su una domanda espressa della ricorrente su un punto decisivo della controversia, con la conseguenza che il provvedimento va censurato con il presente ricorso per cassazione previsto per gli error in procedendo dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4" e formula il seguente quesito: se "il giudice di appello deve pronunziarsi su tutte le questioni di diritto e le domande rivolte dalla parte e tenere conto di tutti i documenti prodotti e fascicolati dalla parte";

osservato:

– che le doglianze non ottemperano le prescrizioni imposte, a pena d’inammissibilità, dall’art. 366 bis c.p.c..

– che deve, invero, osservarsi che le SS.UU. di questa Corte sono chiaramente orientate a ritenere che – dovendo assolvere la funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale – il quesito relativo ad una censura in diritto non può consistere in mera richiesta di accoglimento dei motivo ovvero nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento del motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la medesima Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata; con la conseguenza che il quesito medesimo non può essere meramente generico e teorico ma deve essere necessariamente calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado poter comprendere dalla sua sola lettura, l’errore asseritamente compiuto dal giudice a quo e la regola applicabile (v.

Cass. S.U. 3519/08);

osservato inoltre:

che i motivi di ricorso non ottemperano, nemmeno, alla previsione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, che, nella nuova formulazione di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, stabilisce che "insieme col ricorso debbono essere depositati, sempre a pena d’improcedibilità: … d) gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda", imponendo un onere che questa Corte ha puntualizzato dover essere necessariamente osservato entro quello stesso termine (di venti giorni dalla notificazione del ricorso alle controparti), che l’art. 369 c.p.c., comma 1, fissa per il deposito del ricorso in Cancelleria (cfr., Cass. (v. Cass. ss.uu. 24747/09, 24940/09, 2855/09, 28547/08 e 21080/08;

considerato:

che l’intervenuta cancellazione della società contribuente dal registro delle imprese (dedotta nella memoria ex art. 380 bis, della società medesima, e, peraltro, non documentata in atti) si rivela, nella presente fattispecie, del tutto inidonea a produrre gli effetti estintivi di cui all’art. 2495 c.c., comma 2, essendo temporalmente riferita ad epoca (1985) ben antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 6 del 2003, art. 4 (cfr. Cass. sez. un. 4060/10, 4061/10);

ritenuto:

che, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile nelle forme di cui agli artt. 375 e 380 bis c.p.c.;

– che, per la soccombenza, la società contribuente va condannata al pagamento delle spese di causa,, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte: respinge il ricorso; condanna la società contribuente al pagamento delle spese di causa, liquidate in complessi Euro 6.500,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *